Lee Smolin è uno che va controcorrente. Nel 2006 pubblicò The Trouble with Physics (da noi tradotto con il titolo L’universo senza stringhe): fu l’inizio della cosiddetta “guerra delle stringhe”, che vide contrapporsi gli stringhisti, accusati da Smolin di aver occupato tutte le cattedre di fisica teorica negli Stati Uniti per inseguire un’astrusa teoria che da quarant’anni non aveva prodotto nessun risultato concreto, e gli anti-stringhisti, sostenitori di teorie concorrenti nell’ambito della gravità quantistica, come la loop quantum gravity. Smolin è anche un convinto realista. Già nel suo primo libro, La vita del cosmo (1997), prendeva le distanze dal successo di teorie a suo dire “metafisiche”, come il principio antropico, proponendo come alternativa la teoria della “selezione naturale cosmologica” per spiegare perché l’universo è adatto alla vita. Con La rinascita del tempo (2013) si è opposto alla moda di considerare il tempo un fenomeno “emergente”, sostanzialmente illusorio, proponendo una cosmologia in cui il tempo è assoluto mentre è lo spazio a essere emergente.
Il suo nuovo libro La rivoluzione incompiuta di Einstein prende ora di mira la meccanica quantistica. A differenza della teoria delle stringhe, la meccanica quantistica non è un’ipotesi priva di riscontri empirici: è ciò su cui si basa tutta la moderna elettronica, è replicabile in esperimenti alla portata di un laboratorio liceale e continua ad apportare nuovi sviluppi tecnologici, come il teletrasporto quantistico e il futuro computer quantistico. Smolin non ce l’ha con la fisica, ma con la filosofia della meccanica quantistica: perché se c’è una teoria su cui la disputa filosofica non è mai cessata dai primi sviluppi agli inizi del Novecento è proprio la fisica dei quanti. Come riassume Smolin:
“Dietro a questa discussione che va avanti da un secolo vi è un disaccordo fondamentale sulla natura della realtà – un disaccordo che, non risolto, si intensifica generando una discussione sulla natura della scienza. Alla base dello scisma vi sono due domande. Innanzitutto, il mondo naturale esiste indipendentemente dalla nostra mente? Per essere più precisi, la materia ha un insieme stabile di proprietà in sé e per sé, a prescindere dalle nostre percezioni e conoscenze? In secondo luogo, queste proprietà possono essere comprese e descritte da noi? Possiamo capire le leggi della natura tanto da spiegare la storia dell’universo e predirne il futuro?”.
L’ortodossia corrente, l’interpretazione di Copenaghen, risponde di no: sostiene che tutto ciò che possiamo conoscere del mondo quantistico, alla scala delle particelle subatomiche, e dunque dell’essenza della realtà che percepiamo, siano gli osservabili: i risultati di un’osservazione. John Stewart Bell coniò, all’opposto, il concetto di esseribile (“beable”): i risultati di un’osservazione sono le proprietà reali del sistema misurato. Smolin si schiera da questo lato, lanciando agli ortodossi l’accusa di essere “motivati da sentimenti mistici e preconcetti metafisici”. Il rischio è di “rinunciare al progetto secolare del realismo, che non è altro che l’aggiustamento continuo, un poco alla volta con il procedere della conoscenza, del confine tra la nostra conoscenza della realtà e il dominio della fantasia”.
Queste tesi sono state sostenute in anni recenti da diversi fisici, come Jim Baggott nel suo Farewell to Reality (2013), il cui sottotitolo recita “come la fisica moderna ha tradito la ricerca della verità scientifica”, o Sabine Hossenfelder in Sedotti dalla matematica. Come la bellezza ha portato i fisici fuori strada (2019). Per Smolin, è tempo di riprendere le obiezioni di Einstein all’interpretazione di Copenaghen. Finora, dopotutto, Einstein ha sempre avuto ragione: perché la sua idea che alla meccanica quantistica manchi un tassello, sia cioè una “teoria incompleta”, dovrebbe essere rigettata solo perché la teoria funziona? Il successo fenomenologico di una teoria non dovrebbe essere confuso con la sua coerenza ontologica.
Non è vero, chiarisce Smolin, che la formulazione matematica della meccanica quantistica di John von Neumann e poi i teoremi di Bell abbiano escluso l’ipotesi di “variabili nascoste” in grado di spiegare le bizzarrie della meccanica quantistica. Ciò che Bell ha escluso sono solo le teorie locali a variabili nascoste: egli ha dimostrato cioè che la meccanica quantistica è una teoria non-locale, in cui non vale il principio per cui un oggetto è influenzato direttamente solo dalle sue immediate vicinanze. Esiste quindi la possibilità di riprendere il programma di Einstein e cercare delle soluzioni deterministiche alla meccanica quantistica. Smolin non è ovviamente il primo a riprendere questo programma. Nel suo libro, riepiloga i diversi tentativi precedenti, come la teoria dell’onda pilota di David Bohm, o l’ipotesi che il collasso della funzione d’onda (ciò che dall’indeterminismo quantistico produce un mondo macroscopico deterministico) avvenga spontaneamente a causa della gravità, ipotesi proposta in diverse formulazioni da Roger Penrose e da Gian Carlo Ghirardi con la teoria GRW (Ghirardi-Rimini-Weber).
Nessuna di queste proposte, tuttavia, è riuscita a scalfire l’ortodossia dell’interpretazione di Copenaghen. Anzi, ciò che meraviglia Smolin è che le principali alternative prese in considerazione siano teorie ancor più antirealiste come l’interpretazione a molti mondi di Everett-DeWitt, che postula l’esistenza di universi paralleli.
Ripensare la teoria della gravità quantistica
Smolin propone diverse teorie alternative, ma non ne ha una davvero definitiva. Se il profluvio di ipotesi lascia piuttosto costernati (soprattutto ricordando che Einstein nel 1905 pubblicò sei articoli, ognuno dei quali propose teorie radicali ma esatte), a Smolin va riconosciuta l’onestà intellettuale di non pretendere di avere ragione. Egli sostiene piuttosto che sia tempo di comprendere che se, dalla morte di Einstein, nessuno sia ancora stato in grado di ottenere l’unificazione della gravità con la meccanica quantistica – il sogno della “teoria del tutto” – probabilmente è perché la teoria, nella sua attuale formulazione, è sbagliata. Se non si risolve questo problema, se non si riesce cioè a trasformarla in una teoria realista, allora ogni progetto di unificazione della fisica è destinato a naufragare. Nel suo libro, Smolin elenca i princìpi che, a suo dire, dovrà rispettare una futura teoria della gravità quantistica; i due fondamenti sono il determinismo e il relazionismo. Smolin non vuole tornare allo spazio-tempo assoluto di Newton, ma al relazionismo di Leibniz: sì, è vero, ognuno di noi è una monade con una differente visione dell’universo; ma, unendo le diverse visioni, potremo avere un quadro preciso della realtà com’è.
Sarà da queste teorie che verrà la nuova fisica del XXI secolo? Forse, o forse aveva ragione Richard Feynman, che a Smolin, com’egli ammette, replicò una volta “che l’idea che gli avevo descritto non era abbastanza folle da avere la possibilità di funzionare”.
- Jim Baggott, Farewell to Reality, Constable, Londra, 2013.
- Sabine Hossenfelder, Sedotti dalla matematica. Come la bellezza ha portato i fisici fuori strada, Raffaello Cortina, Milano, 2019.
- Lee Smolin, La vita del cosmo, Einaudi, Torino, 1998.
- Lee Smolin, L’universo senza stringhe, Einaudi, Torino, 2007.
- Lee Smolin, La rinascita del tempo, Einaudi, Torino, 2014.