Le metamorfosi della fantascienza è il titolo del celebre testo di critica di Darko Suvin pubblicato per la prima volta nel 1979 dalla prestigiosa Yale University Press e portato in Italia dal Mulino nel 1985. Un anno prima di quell’apparizione, che sembrò sdoganare definitivamente il genere a livello di critica internazionale, in Italia si tenne uno storico convegno a Palermo, il primo organizzato da un ateneo italiano sulla fantascienza, destinato a produrre una vasta eco. A queste due pietre miliari si è ispirato il convegno organizzato dall’Università di Napoli L’Orientale per iniziativa delle cattedre di Oriana Palusci e Paola Gorla, docenti di Letteratura angloamericana e ispano-americana dell’ateneo napoletano, con il titolo Mutazioni e metamorfosi. Linguaggi e modelli narrativi della fantascienza: prospettive critiche in Italia, tra il 16 e il 18 novembre. L’impronta di un’università come l’Orientale, tra le prime in Italia a introdurre corsi di cultural studies, studi postcoloniali e gender studies, e a dedicare buona parte della sua offerta formativa allo studio delle lingue e culture extra-occidentali, ha permesso al convegno di offrire forse per la prima volta nel nostro paese una lettura a 360° del lato meno conosciuto della fantascienza, quello rappresentato dai “reietti dell’altro pianeta”, per citare la traduzione italiana di una delle opere più celebri di Ursula Le Guin: ossia il tema dell’identità di genere e quello dei rapporti di potere tra centro e periferia.
Letteratura di genere
Sul primo versante, numerose saghe e blockbuster hollywoodiani degli ultimi anni stanno insinuando un certo focus su personaggi femminili. Protagoniste femminili sono presenti in franchise storici come Star Wars o Star Trek Discovery. La Warner/DC Comics sta mettendo sotto i riflettori Wonder Woman. I cinecomics Marvel si stanno preparando ad accogliere Capitan Marvel. Insomma, nel flusso audiovisivo mainstream qualcosa si sta muovendo. Vero che nella quasi totalità dei casi la donna si sostituisce all’uomo replicandone strategie e muscolarità: però almeno viene messo in discussione lo stereotipo dal punto di vista fisiognomico (ben diversamente dai cliché del fumetto di fantascienza classico, come messo in luce con ironia da Daniele Barbieri nel suo intervento sui ruoli femminili in storie come Flash Gordon).
Più libera da vincoli industriali rigidi quali quelli di Hollywood o dei serial televisivi, la fantascienza letteraria può spingersi, e si è spinta, ben oltre. È il caso intanto di autrici “di grido” come Pat Cadigan, Lois McMaster Bujold, Catherine Asaro, fino alle più recenti Ann Leckie e Aliette de Bodard, per le quali secondo il critico Salvatore Proietti non si tratta solo di avere autrici di fantascienza “che vendono”, ma che a vario genere affrontano il discorso femminista proponendo, specie le ultime, visioni del futuro in cui i ruoli di genere sono spesso completamente superati, come avviene nella trilogia di Ann Leckie inaugurata con Ancillary Justice (in corso di traduzione anche in Italia), dove i personaggi sono tutti definiti con pronomi femminili ma non hanno distinzioni di genere. Per tacere di Margaret Atwood, sempre seguitissima in Italia, e il cui romanzo Il racconto dell’ancella (cfr. Atwood, 2017) è ora al centro della serie TV The Handmaid’s Tale, rilanciando la distopia femminista nel mainstream. Meno famosa, ma sulla falsariga di Atwood, si è mossa anche Maggie Gee, tradotta anche in Italia da piccolo editori, e che nel suo Il pianeta di ghiaccio (cfr. Gee, 2007) coniuga la prospettiva ecologica e la ricerca di un equilibrio tra i generi: come ha osservato Domenico Gallo, il romanzo esplora infatti i risultati di una radicalizzazione del clima che produce, come conseguenza, una radicalizzazione della società, una polarizzazione insanabile tra uomini e donne, con la costruzione di strutture sociali inedite.
Una scena della serie tv The Handmaid’s Tale, trasposizione dell’omonimo romanzo di Margaret Atwood.
Le cose si fanno ancora più interessanti nel caso di Suzette Haden Elgin, che nella sua serie degli anni Ottanta Native Tongue (inedita da noi) ha inventato un intero linguaggio “femminista”, il láadan, fondato sull’ipotesi che le lingue occidentali sono state costruite per esprimere il pensiero maschile piuttosto che quello femminile: una lingua che ha oggi molti studiosi amatoriali appassionati, come ha raccontato Eleonora Federici, le cui aree di ricerca sono gli studi di traduzione, i linguaggi del turismo e della pubblicità, gli studi di genere, l’utopia e la fantascienza. Ripensando a Leckie o ancor prima a La mano sinistra delle tenebre di Le Guin, il tema del linguaggio e delle costruzioni sociali è sempre stato presente nel discorso femminista, ma anche in quello post-coloniale. Lo ha osservato tra gli altri, nel corso del convegno, Mirko Casagranda analizzando Cloud Atlas di David Mitchell (2012), in particolare le neo-lingue inventate dall’autore nella parte futuristica del romanzo (portato sullo schermo dai fratelli – ora sorelle – Wachowski), che Casagranda analizza con gli strumenti dei Postcolonial Englishes, svelando l’attenzione di un autore occidentale come Mitchell per i rapporti di potere attraverso la lingua.
Fantascienza in scena
A proposito di rapporti di potere: in un’epoca di centralità del racconto audiovisivo su tutte le altre forme narrative risulta molto interessante l’analisi di contributi espressivi apparentemente marginali come quello apportato dal teatro alla fantascienza. Curiosamente fu proprio un’opera teatrale a donare alla storia della fantascienza e della tecnologia uno dei suoi termini più usati: la parola robot, dallo spettacolo R.U.R. (1920) di Karel Čapek. A differenza dell’audiovisione a cui siamo abituati tra cinema e serie tv, sul palcoscenico teatrale avviene un lavoro di sottrazione rispetto a ciò che si vede: l’unità di luogo lavora facendo continuo riferimento a un potente fuori campo spesso costituito dalle svolte tecnologiche e scientifiche in atto. La fantascienza in scena finisce pertanto per conferire una dimensione più intima alle storie disinnescando i salti propri del montaggio audiovisivo, costringendo lo spettatore a una maggiore concentrazione sui personaggi e sulla performance attoriale.
È il caso di A number, spettacolo teatrale ideato da Caryl Churchill, che ha portato a teatro il dibattito su clonazione e tecnofobia, discusso da Serena Guarracino. Il tema è quello classico della clonazione, ma qui l’atto stesso della clonazione finisce col mettere in discussione il controllo della società patriarcale, perché viene vissuto quasi come un furto dell’identità del clonato. La scoperta di essere un clone o di essere stato clonato mette in ogni caso in discussione uno statuto di originalità e unicità. La componente tecnologica implicata passa subito sotto accusa, ma nel processo emerge con chiarezza che le responsabilità ultime sono nei difetti della società e della mentalità dominante. Il controllo del processo riproduttivo è del resto un tema ricorrente nella fantascienza concepita da donne. L’identità dei protagonisti di queste storie (non necessariamente personaggi femminili) deve spesso affermarsi risolvendo un conflitto tutt’altro che risolto nella nostra società: quello tra corpo sessuato e corpo gestante.
Una scena del film Cloud Atlas, tratto dal romanzo omonimo di David Mitchell.
Nuove mappe del futuro
Spostando il focus su questi temi, assistiamo a una femminilizzazione della fantascienza che si stacca dalle codifiche di genere per creare uno spazio autonomo, come ha affermato Nicoletta Vallorani. Oltre a essere docente di Letteratura inglese e Studi culturali all’Università di Milano, Vallorani è stata la prima e unica vincitrice di un Premio Urania (il massimo riconoscimento per le opere inedite di fantascienza in Italia); riprendendo un punto da lei già sollevato alla convention 2017 di “Stranimondi” di Milano, ossia quello della marginalità delle scrittrici italiane di fantascienza rispetto al mondo anglosassone, Vallorani ha fatto notare che se lì il premio di riferimento, lo Hugo, ha visto quest’anno solo due uomini tra i cinque finalisti, incoronando vincitrice Nora K. Jemisin – che oltre a essere donna è anche nera – mentre il Nebula 2017 è stato assegnato a Charlie Jane Anders, in Italia nelle ultime edizioni del Premio Urania il numero di finaliste è aumentato senza peraltro essere mai assegnato a una scrittrice, cosa accaduta l’ultima volta nel lontano 1992.
D’altro canto, aumenta l’interesse dell’editoria nostrana per le autrici di fantascienza: oltre alla serie di Ann Leckie, Fanucci ha appena fatto uscire il romanzo d’esordio della giornalista di tecnologia Annalee Newitz (Autonomous), mentre Zona42, dopo Selezione naturale di Tricia Sullivan (2016), e la prossima traduzione del suo Occupy Me (2016), ha da poco edito Laguna (2017) della nigeriana Nnedi Okorafor. Per non parlare della produzione di Future Fiction, che negli ultimi mesi ha portato in Italia novelle di scrittrici occidentali (la greca Natalia Theodoridou con l’antologia Gli undici numeri sacri dell’anima meccanica, che esplora i temi del corpo artificiale e femminile; la canadese Nina Munteanu, ecologista e tecnologa; la russa Ekaterina Sedia), ma anche le indiane Swapna Kishore e Vandana Singh. Non è un caso che diverse di queste autrici affrontino, spesso con più capacità dei loro omologhi maschili, questioni relative alle ambiguità della tecnologia e del progresso scientifico. Affrontando temi quali l’ecologia e il potere derivante dalla tecnologia, la fantascienza contemporanea si pone il problema etico della gestione delle risorse economiche e sociali; e probabilmente le donne sono in grado di incorporare con maggiore spontaneità ed equilibrio il problema della volontà di potenza rispetto alla Natura e al governo dei cambiamenti sociali. Queste fantascienze ci parlano d’altronde di macchine o tecnologie che cominciano come elettrodomestici per servirci e che finiscono col diventare un surrogato di una presenza femminile in via di estinzione, attaccata da più parti.
Non abbiamo spazio qui per trattare dei molti altri temi sollevati nel corso della tre giorni, in particolare il focus dedicato nell’ultima giornata ai fumetti (anche qui con una grande attenzione alla “rimediazione” dei topos provenienti dal mondo arabo o indiano), le nuove complesse dinamiche tra utopie e distopie – con una forte propensione contemporanea per le ucronie, come ha osservato acutamente Umberto Rossi – e i rapporti, sempre rivelatori, tra fantascienza e immaginario pseudoscientifico (basti citare il dottissimo intervento di Francesco Marroni sull’ispirazione che Edgar Allan Poe e Howard P. Lovecraft trassero dalla teoria della Terra cava, che riecheggia le altrettanto deliranti teorie contemporanee dei terrapiattisti). Il grande apporto di questo convegno, di cui si auspica una pronta pubblicazione degli atti per una maggiore diffusione dei suoi risultati, è stato quello di offrire uno sguardo nuovo sulle metamorfosi della fantascienza contemporanea e su quanto la critica non solo letteraria, ma sociale e culturale (con i cultural studies in prima linea), possa contribuire a svelare le radici che legano la fantascienza al nostro immaginario contemporaneo.
- Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, Ponte alle Grazie, Firenze, 2017.
- Maggie Gee, Il pianeta di ghiaccio, Barbera Editore, Firenze, 2007.
- Suzette Haden Elgin, Native Tongue, The Feminist Press, New York, 2000.
- Swapna Kishore, Segreti sopiti, Future Fiction, Roma, 2017.
- Ann Leckie, Ancillary Justice – La vendetta di Breq, Fanucci, Roma, 2014.
- Ann Leckie, Ancillary Sword – La stazione di Athoek, Fanucci, Roma, 2015.
- David Mitchell, Cloud Atlas – L’atlante delle nuvole, Frassinelli, Milano, 2012.
- Nina Munteanu, La natura dell’acqua, Future Fiction, Roma, 2016.
- Annalee Newitz, Autonomous, Fanucci, Roma, 2017.
- Nnedi Okorafor, Laguna, Zona42, Modena, 2017.
- Ekaterina Sedia, Larisa Komarova trova l’amore, Future Fiction, Roma, 2016.
- Vandana Singh, Entanglement, Future Fiction, Roma, 2017.
- Tricia Sullivan, Selezione naturale, Zona42, Modena, 2016.
- Tricia Sullivan, Occupy Me, Gollancz, Londra, 2016.
- Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, Il Mulino, Bologna, 1985.
- Natalia Theodoridou, Gli undici numeri sacri dell’anima meccanica, Future Fiction, Roma, 2017.
- Caryl Churchill, A Number, prima teatrale 2002; trasposizione televisiva BBC-HBO Films, 2008.
- Bruce Miller, The Handmaid’s Tale, TIMvision, 2017-in corso.
- Lana Wachowski, Lily Wachowski, Tom Tykwer, Cloud Atlas, Eagle, 2017.