Nonostante lo storico Eric Hobsbawm lo consideri “breve”, il Ventesimo secolo ha visto scoppiare un impressionante numero di guerre, tutte disastrose. Tuttavia, quella che più delle altre ha lasciato il segno nella società contemporanea è stata una guerra senza armi né vittime (perlomeno, non intese nel senso comune del termine); una guerra che, per lungo tempo, è stata dominata da Jack Tramiel e dal suo Commodoro: è l’Home Computer War. Anche se, a ben vedere, la Guerra dei Computer non è mai finita, sono lontani gli anni in cui i colossi dell’hi-tech come Texas Instruments, Atari, Commodore, Sinclair e Tandy Corporation combattevano per imporsi su un mercato del tutto nuovo, stabilendone le regole e infrangendole sistematicamente con pratiche non sempre ortodosse e talvolta persino autodistruttive. Attraverso le testimonianze di coloro che, combattendola, hanno cambiato per sempre il nostro modo di lavorare, giocare, e persino pensare, il docufilm The Commodore Wars – 8-bit Generation di Tomaso Walliser ripercorre le tappe di questo “rituale di suicidio di massa” che per almeno un decennio ha visto la partecipazione di aziende provenienti da almeno tre continenti.
Le parole di Michael Tomczyk, braccio destro di Tramiel e responsabile dello sviluppo e del lancio di una delle macchine più famose targate Commodore (il VIC 20), danno un’idea dell’aria che si respirava in prima linea: “Non sapevo che mi sarei arruolato per combattere una guerra. Stavo per diventare un testimone oculare, uno storico, un ufficiale di alto rango, e un membro del cast di personaggi provenienti da tutto il mondo che includeva samurai, politici tagliagole, giovani geni sorridenti, nerd, hacker, stregoni, robot, commando e milionari” (Tomczyk, 1984).
L’arte della guerra
La tradizione di trattati di strategia militare è lunga: dall’Arte della cavalleria (IV secolo a.c.) di Senofonte agli scritti del generale dell’esercito prussiano Carl Philipp Gottlieb Von Clausewitz (Della Guerra, 1832 ca.), passando per l’Arte della Guerra di Niccolò Machiavelli (1521), sono tanti i volumi dedicati all’argomento, e spesso la loro influenza va ben oltre il motivo per cui sono stati concepiti.
I princìpi della guerra del Maestro Sun, meglio noto come L’arte della guerra, è un’opera scritta circa 2.500 anni fa da Sun Tsu, generale e filosofo cinese dell’antica scuola di strategia (bing jia), una corrente delle “Cento Scuole di Pensiero” sviluppatesi in Cina nell’arco di tempo noto come periodo delle Primavere e degli Autunni (722-481 a.C.).
Una delle peculiarità dell’Arte della Guerra è che, pur essendo interamente dedicato al conflitto tra gli stati, “ha avuto un’enorme influenza sui princìpi politici, sul modo di pensare e sui modelli di comportamento quotidiano dell’Asia orientale” (Corneli, 1991), ed è considerato ancora oggi un manuale di riferimento per la cultura cui appartiene. Come nei casi sopra citati, dunque, anche l’opera del maestro Tsu offre preziosi insegnamenti in qualunque situazione di conflitto, anche non necessariamente bellico. Come nota Alessandro Corneli, infatti, “innumerevoli edizioni del trattato e di altre opere della stessa scuola appaiono ogni anno a Hong Kong, Singapore e Taiwan con finalità istruttive per il business e il management di aziende e società commerciali” (Corneli, 1991); non certo una novità, dato che lo stesso autore afferma che il trattato viene usato da lungo tempo anche dai businessmen giapponesi. Non è un caso, dunque, che proprio la filosofia giapponese fosse un punto di riferimento imprescindibile per l’azienda che cambiò per sempre la storia dell’informatica.
Fare i giapponesi
Jack Tramiel non si intendeva di informatica, ma aveva una sua filosofia molto “giapponese” riguardo gli affari, e voleva che tutto il suo esercito di collaboratori la condividesse e la seguisse; per questo motivo, ripose tutta la sua fiducia sulle poche persone che riteneva leali, e per rendere la sua azienda forte e compatta eliminò tutti gli intermediari, mettendo in atto una strategia nota come “integrazione verticale”. “[Jack] credeva molto nella lealtà. […] Vedeva gli affari come una religione, e aveva anche una rigida filosofia del business”, ricorda Tomczyk nel documentario.
Reduce da Auschwitz, Tramiel partì per gli Stati Uniti in cerca di libertà, e si arruolò nell’esercito americano per estinguere un debito che sentiva di avere nei confronti della nazione che lo aveva salvato, dimostrando di cavarsela piuttosto bene con la manutenzione delle macchine da scrivere. Una volta congedatosi, continuò a lavorare con le macchine da scrivere, montandole e assemblandole, sino al 1966 quando, in seguito a una serie di guai finanziari che non lo riguardavano direttamente ma dei quali subì le dure conseguenze, l’imprenditore Irving Gould investì un’ingente somma di denaro per salvare la neonata Commodore, reindirizzando Tramiel verso il business delle calcolatrici, andando incontro, dopo poco tempo, all’ostilità della Texas Instruments che produceva e vendeva i chip. Naturalmente, questo non turbò affatto Tramiel che, come ricorda Al Charpentier, “diceva sempre: gli affari sono come la guerra. Ed era così che vedeva la competizione”. Per questo, “cercava sempre un modo per surclassarla, danneggiarla o eliminarla, se possibile”.
Difficile dire se Tramiel conoscesse Sun Tsu; probabilmente sì, vista la sua passione per la filosofia giapponese. Ciò che è certo, è che rispose alle provocazioni della Texas Instruments seguendo uno dei consigli del maestro: “il bravo generale impone […] la sua volontà al nemico e non consente che sia questo a dettarla a lui” (Corneli, 1991). E di certo questo non fu l’unico consiglio che seguì. Per esempio, si dimostrò un abile conoscitore di quello che il maestro Tsu chiama l’“artificio della deviazione”: “dopo aver sviato il nemico, prendere una lunga e tortuosa strada e, pur essendo partiti dopo di lui, raggiungere l’obiettivo per primo” (Corneli, 1991).
I giapponesi stavano arrivando, e con i loro prezzi minacciavano di compromettere il mercato occidentale. L’unico modo per non farsi trovare impreparati era dunque “fare i giapponesi”, offrendo il miglior prodotto al minor prezzo possibile, anche se questo comportava guadagni inferiori. Per raggiungere il suo obiettivo, Tramiel prendeva decisioni diametralmente opposte rispetto a quelle di imprenditori della vecchia guardia come Ray Kassar (Atari): anziché puntare tutto su un prodotto, spremendo l’azienda, preferiva proporre nuovi prodotti sempre più innovativi e sempre più economici, anticipando le mosse degli avversari. Vinse così la battaglia delle macchine da scrivere, quella delle calcolatrici portatili, quella dei calcolatori e, infine, quella degli home computer.
Il Commodoro è morto. Lunga vita al Commodoro
Nel 1984 Tramiel abbandonò l’azienda, ma lasciò in eredità il famigerato Commodore 64, che si rivelò il computer più longevo della storia degli home computer, con oltre settanta milioni di pezzi venduti tra il 1982 e il 1994. Il successo di questa straordinaria macchina, ça va sans dire, visto il periodo, si deve proprio all’altissima qualità dei giochi, che nulla avevano da invidiare a quelli sviluppati per le console dedicate.
Opere come Attack of the Mutant Camels (Jeff Minter, Llamasoft, 1983), Turrican (Manfred Trenz, Rainbow Arts, 1990), così come molti dei giochi della nostrana Simulmundo, hanno indiscutibilmente contribuito ad alzare l’asticella dell’arte videoludica, come ribadisce Marco Accordi Richards, direttore del Museo del Videogioco di Roma (VIGAMUS) : “anche se non è stato il primo pc della storia, il Commodore 64 è stato comunque il primo ad avere una potenza di calcolo tale da permettere agli artisti che progettavano videogiochi di esprimere il loro potenziale”.
Nonostante in vent’anni il panorama dell’informatica sia decisamente cambiato, ancora oggi il C64 è tenuto in vita da numerosi commodoristi convinti, che continuano imperterriti a collezionare, programmare e sperimentare, dando vita a una comunità basata sulla collaborazione e il libero scambio di informazioni. In questo senso, un caso interessante è quello di Retro Gamer CD (RGCD), nato nel 2006 come magazine in formato cd e, dal 2009, collettivo dedito allo sviluppo e alla produzione di videogame per diverse piattaforme retro, tra le quali il C64.
Sino a pochi anni fa RGCD indiceva un concorso dedicato ai nuovi giochi su cartuccia (per C64, naturalmente) che, nel 2014, è stato vinto dall’italiano Antonio Savona con P0 Snake, un’interessante variante di Nibbler (Rock-Ola, 1982) prodotta prima in versione cartuccia da RGCD e, in seguito, distribuito in formato digitale, su floppy e su nastro da Psytronik Software, riscuotendo un discreto successo.
Pur trattandosi, come dichiara lo stesso autore, di un semplice esercizio per ripassare il linguaggio Assembly, P0 Snake è il segno di un cambiamento di mentalità, perché frutto della collaborazione con altri appassionati: “da giovane vedevo questi gruppi che si facevano una guerra spietata”, racconta Savona, “ora mi sembra una grande famiglia e tutti hanno voglia di aiutarti. […] Io non avevo «storia» nel C64, e non c’era alcuna garanzia che avrei terminato il gioco, quindi il fatto che delle persone si mettessero a lavoro per me, gratis e senza nessuna prospettiva certa, mi sembrava incredibile”.
- Brian Bagnall, Commodore: a Company on the Edge, Variant, 2012.
- Alessandro Corneli (a cura di), L’arte della guerra. Sun Tsu, Napoli, Guida, 1991.
- Roberto Dillon, A Commodore 64 Retrospective, Singapore, Springer, 2015.
- Michael S. Tomczyk, The Home Computer Wars. An Insider’s Account of Commodore and Jack Tramiel, Greensboro (North Carolina), COMPUTE! Publications, 1984.
- Trenz Manfred, Turrican, Rainbow Arts, 1990 (videogame).
- Jeff Minter, Attack of the Mutant Camels, Llamasoft, 1983 (videogame).
- Antonio Savona, P0 Snake, Psytronik, 2015 (videogame).