Si sa come va la vita. Impieghiamo un’eternità a costruire la nostra impenetrabile roccaforte, poi basta un attimo per cancellare tutte le nostre certezze. Il castello di sabbia si disgrega in un istante, travolto da un’unica devastante onda che oltrepassa il limite segnato fino a quel momento dalla risacca. Sembra un concetto banale e inflazionato, ma è il punto di forza su cui è costruita The Affair – Una relazione pericolosa, la serie televisiva statunitense targata Showtime e creata da Sarah Treem e Hagai Levi, già celebre per la serie In Treatment (2013), tre stagioni realizzate e una quarta in programma. Il plot non ha pretese e non intende distinguersi per l’originalità degli argomenti trattati. Non prefigura scenari apocalittici o fantascientifici, non costruisce un immaginario narrativo costellato di personaggi atipici e dimensioni ultraterrene, non narra le vicende di miti storici o di particolari momenti del passato. Innanzitutto, The Affair – Una relazione pericolosa non è questo.
In un certo senso, se si leggesse soltanto la sinossi della serie, si potrebbe pensare a una soap opera sullo stile di Beautiful: come ogni estate, una coppia della classe medio-alta di New York va in vacanza al mare dai genitori di lei. Noah è uno scrittore che intende partorire la sua seconda opera (la prima è stata un flop) e che per sopravvivere fa l’insegnante, Helen lavora nella boutique finanziata da mamma e papà, che al contrario del marito è uno scrittore famoso e apprezzato in tutta la nazione. Hanno quattro figli e la famiglia è sempre stata da copertina, invidiabile ed esemplare come la famiglia Mulino Bianco. Il primo giorno di vacanze, però, si crea la crepa, l’imperfezione, lo tsunami: la vita di Noah si scontra con quella della cameriera Alison nel ristorante in cui lavora. A partire da un semplice sguardo si scatena una serie di eventi che potrebbe spazzare via tutti i sostegni su cui si era fondata la candida vita dei personaggi. La trama appare frivola e adatta a essere inserita nel palinsesto di Canale 5 alle ore 14:00 circa. Ma gli autori di The Affair – Una relazione pericolosa sono dei veri e propri Re Mida, riuscendo a trasformare in oro un plot da telenovela.
Il lato oscuro della telenovela
Sullo sfondo c’è un omicidio. Non sappiamo chi sia la vittima né chi sia il carnefice, non sappiamo come, quando, dove e perché sia avvenuto. Lo spettatore sa solo che qualcuno è stato ucciso e che in qualche modo Noah, Helen e Alison c’entrano qualcosa, perché è attraverso le loro voci che il puzzle viene man mano ricomposto. La bravura degli autori risiede nella strategia narrativa della serie. Tutti gli eventi legati alla relazione pericolosa tra Noah e Alison e all’assassinio vengono narrati in maniera originale, almeno per una serie televisiva. Ciascun episodio è suddiviso in due capitoli indipendenti. Nel primo, Noah o Alison raccontano il proprio punto di vista, nel secondo è l’altro personaggio a presentare la propria prospettiva, ma ripercorrendo sempre le stesse situazioni. Lo spettatore, infatti, è costretto a guardare per due volte consecutive le stesse sequenze, ma da “soggettive” diverse. È così che il racconto prende forma attraverso voci e punti di vista dissimili, che di volta in volta aggiungono nuovi dettagli alla storia, consolidano la posizione di un personaggio o indeboliscono quella di un altro, alimentano ulteriori dubbi o ne chiariscono altri, giustificano determinati comportamenti o ne invalidano altri, iniettando molteplici verità nel corpo narrativo complessivo. È questa la forza della serie: la ripetizione che diventa un’analisi approfondita sulla natura dell’uomo e sulla sua inclinazione alla menzogna o all’incessante spirito di autoconservazione.
La narrazione si basa su scarti temporali, reiterazioni, anticipazioni e rimandi. La coerenza narrativa viene mantenuta dalle tematiche affrontate, ossia il tradimento e l’assassinio, che meglio di qualunque altra tematica si prestano al gioco conflittuale e discrepante di cui necessita la storia. Si tratta di un modo di raccontare atipico nel mondo della serialità, difficilmente rintracciabile in altre opere appartenenti al genere. È molto più semplice effettuare un paragone con il mondo cinematografico in senso stretto, con film del calibro di Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, o la trilogia sulla morte Amores Perros (2000), 21 grammi (2003) e Babel (2006) di Alejandro González Iñárritu. Se una fase del cubismo pittorico è definita analitica, perché i pittori di questo movimento tendevano a raffigurare il soggetto guardandolo da punti di vista differenti, non è un azzardo definire la strategia narrativa di The Affair – Una relazione pericolosa come vero e proprio cubismo cinematografico, perché ormai le narrazioni seriali contemporanee percorrono prevalentemente i binari televisivi ma sono fatte della stessa materia di cui è fatto il cinema.
Se le serie tv rappresentano la possibilità per l’universo cinematografico di esaltare la cura di ogni singolo dettaglio a causa dei tempi più ristretti imposti al cinema, The Affair – Una relazione pericolosa non solo lo fa in modo esemplare ma va anche oltre, esaltando il relativismo dei dettagli stessi e della verità, una verità che si smarrisce nel vortice delle opinioni contrastanti e nell’una, nessuna o centomila traiettorie narrative segnate da ogni singolo personaggio.
- Akira Kurosawa, Rashōmon, A & R Productions And Distribution Snc, 2015 (home video).
- Alejandro González Iñárritu, Amores Perros, Pulp Video, 2014 (home video).
- Alejandro González Iñárritu, 21 grammi, Rai Cinema, 2011 (home video).
- Alejandro González Iñárritu, Babel, Rai Cinema, 2010 (home video).