Nel 1984, un giovane e brillante dottorando in letteratura di nome Kim Stanley Robinson pubblica un romanzo di science fiction intitolato The Wild Shore. In quell’anno lo scrittore era poco più che trentenne e aveva sostenuto la tesi di dottorato sull’opera di Philip K. Dick. L’argomento gli era stato consigliato da Fredric Jameson, noto filosofo e critico letterario, considerato dai più di stampo marxista. L’interpretazione per cui vi sarebbe una impronta, potremmo dire genetica, con cui Jameson avrebbe indirizzato Robinson, sia nella scoperta della science fiction sia nella lettura politica e di stampo socialista da applicare alla sf stessa, sebbene sia indiscutibile nei suoi fondamenti, d’altro canto impedisce di evidenziare le differenze esistenti tra l’allievo e il maestro, e soprattutto non lascia emergere l’autonomia di Robinson, che ha ampiamente dimostrato nel corso del tempo di possedere una cifra stilistica e narrativa autonoma e specifica.
Jameson, oltre a non essere un narratore (ma questo è un distinguo solo apparente), non ha sostenuto appieno il valore dell’ecologia e della critica ambientale con la forza e la continuità che invece hanno caratterizzato il pensiero e l’opera di Kim Stanley Robinson. Obiettivo unico, indiscusso e costante di tutta la narrativa di quest’ultimo è mostrare il legame indissolubile che esiste tra lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la distruzione dell’ecosistema. Non vi è per lui alcuna differenza tra il superamento del capitalismo inteso come l’obiettivo di una nuova società civile, e la ricostituzione di un moderno patto tra gli uomini e il pianeta che ci ospita. Jameson solo molti anni dopo, nel saggio Archaeologies Of The Future. The Desire Called Utopia And Other Science Fiction del 2005 dedicherà un capitolo, l’ultimo, una sorta di chiusa, all’ex allievo, concentrandosi sulla Mars Trilogy e sulla visione utopica del socialismo concretizzato in alcuni aspetti della società marziana che Robinson vi aveva tratteggiato.
Ecologia e Utopia
In ogni caso, ciò che è pregnante sottolineare è la coerenza di Kim Stanley Robinson con la sua scelta originaria. Sin dalle sue prime opere è il narratore che è in lui ad avere preso il sopravvento. Si è elevato sia sul filosofo sia sul sociologo, sull’economista come sull’epistemologo. In lui si esprime la voce narrante della terra urlante, il racconto della crisi ambientale che attanaglia il pianeta. Questo è il fardello retorico di cui si è fatto portavoce sin da quell’ormai lontano 1984, missione che fino ad oggi ha proseguito, raccontandoci ciò che sbagliamo e cercando di mostrarci come potremmo rimediarvi. Perché questa opzione, la possibilità di porre rimedio alla catastrofe, magari appare solo come un’ipotesi sullo sfondo, un’idea tratteggiata metaforicamente, ridotta entro limiti ristretti, condizionata da molti vincoli, sottoposta a ben precise leggi sia fisiche che economiche, ma in tutti i suoi romanzi è sempre esistita, non è mai scomparsa. Soprattutto non si è mai piegata alle esigenze di un utopismo di facciata, un onirico mondo ideale che si nutre della speranza, ma che in realtà ottiene solo l’obiettivo di allontanare il dato di realtà, la realizzazione di ciò per cui si lotta. La possibilità del futuro, per Kim Stanley Robinson si misura costantemente con la ruvida realtà, senza concedere nulla a ipotesi non fondate, e questo lo conferma in ogni suo lavoro, sin dalle origini.
Kim Stanley Robinson.
The Wild Shore venne pubblicato la prima volta in Italia nel 1990 da Interno Giallo, compianto editore che nella sua breve vita ha dimostrato uno sguardo particolarmente acuto, portando sul nostro mercato autori che ancora oggi risultano di nicchia, dopo tre decenni dalla loro prima pubblicazione. Il romanzo prese il titolo de La costa dei barbari, la traduzione era opera di Gaetano Luigi Staffilano. Oggi la serie Jumbo di Urania lo ripubblica nella medesima versione, che obiettivamente non ha risentito del tempo trascorso. Il romanzo era il primo atto di una sorta di trilogia, nota come Trilogia delle Tre Californie, o anche come Trilogia di Orange County. I romanzi hanno in comune il territorio in cui si svolgono, ovvero la contea di Orange, nella California del sud, ma mostrano tre ipotesi di futuro alternative, tre possibili orizzonti per lo stesso mondo. Il primo racconta un futuro post apocalittico, il secondo un mondo distopico e il terzo una utopia. Gli altri due romanzi del trittico si intitolano The Gold Coast e Pacific Edge, e furono pubblicati rispettivamente nel 1988 e nel 1990. Il primo dei due venne tradotto sempre per Interno Giallo nel 1994 da Grazia Alineri, mentre il terzo è tutt’ora inedito. Mondadori ha annunciato la pubblicazione anche di questi due romanzi nella collana Jumbo nel corso del prossimo anno, e se del primo manterrà traduzione e titolo della precedente versione, La costa delle palme, per il terzo si attendono notizie da Segrate per traduzione e titolo. Solo a titolo statistico, limitandosi ai romanzi, e quindi tralasciando i molti racconti e la produzione non-fiction, le opere di Kim Stanley Robinson mai tradotte in italiano in questo momento sono dodici, e alcune di quelle già pubblicate sono molto difficilmente rintracciabili sul mercato. La traduzione di Pacific Edge è perciò un importante passo avanti, ma certamente non si può evitare di sottolineare quanto la strada per una completa ricezione anche sul nostro mercato di un autore di tale levatura sia purtroppo ancora lunga e accidentata.
I temi e gli eventi narrati nel romanzo
La costa dei barbari descrive la condizione in cui si ritroverebbero gli abitanti superstiti di una America che, dopo aver perso una guerra atomica, è ridotta ad una economia di sussistenza, senza più alcun accesso alla tecnologia, costretta perciò al duro confronto quotidiano con la natura di una costa – appunto – selvaggia. Robinson è qui evidentemente influenzato dal Dick di Cronache del dopobomba (Dr. Bloodmoney), a sua volta ispiratosi allo Stanley Kubrick de Il Dottor Stranamore. È certamente un tema particolarmente scottante all’inizio degli anni Ottanta, quando Robinson scrive, e i lettori in quel momento vi erano particolarmente sensibili. Il racconto è visto con gli occhi di un ragazzo, Henry Fletcher, che vive, insieme ad alcune altre famiglie, circa una sessantina di persone, in un piccolo villaggio in riva al mare, dove vivono grazie alla pesca e a una minima agricoltura che produce frutti poveri e insufficienti.
Le bombe erano esplose settant’anni prima, ed ora Henry vive insieme al suo gruppo di amici, più o meno coetanei, con cui lavora e si confronta quotidianamente. Il suo gruppo rappresenta agli occhi del lettore la nuova generazione, quella cresciuta nel mondo seguito all’apocalisse. Henry nel villaggio ha una sorta di maestro, il vecchio Tom, un sopravvissuto alla catastrofe, ed è a lui, e ai pochi come lui ancora vivi, che i giovani sono costretti a rivolgersi per avere una istruzione di base e un’idea di cosa fosse e come funzionasse il mondo precedente. La vita a San Onofre, questo il nome del paese, da un lato vive in una quotidianità senza ambizioni, in un mondo fatto di routine e di lavoro, dall’altro si confronta con una sorta di eterna apocalisse, un reiterarsi continuo delle condizioni che hanno portato alla catastrofe. I nemici, visti come tali in una sorta di paranoia di stampo assolutamente dickiano, sono di volta in volta identificati con russi, cinesi o giapponesi, ma nel novero dei diversi, di coloro di cui diffidare, sono inseriti anche canadesi, messicani e perfino i nativi americani. In realtà anche gli abitanti degli altri villaggi o delle diverse realtà con cui entrano in contatto sono – agli occhi dei fondatori – figure di cui bisogna diffidare, e ciò provoca una sorta di perenne inquietudine.
Lo scenario: San Onofre
È un mondo, quello di Henry, evidentemente pieno di pregiudizi e di timore. Paura che assume un tono e un carattere decisamente più concreto e realistico quando, come accade periodicamente, vengono aggrediti dal cielo se tentano di ripristinare le ferrovie, o dal mare attraverso un costante pattugliamento delle coste da parte di navi misteriose. È un pericolo reale per gli abitanti? Qual è la effettiva situazione nel resto del mondo? Che ruolo hanno queste persone che si avvicinano al piccolo mondo del villaggio? Queste e altre domande latenti emergono improvvisamente alla ribalta quando giungono inaspettatamente nel villaggio alcuni uomini provenienti da San Diego. Harry e Tom li seguono nella loro città, dove ricambiano la visita, e di fronte alla realtà decisamente più numerosa e sviluppata con cui si ritrovano a confrontarsi, hanno reazioni profondamente diverse. Il sindaco di San Diego gli propone una alleanza per combattere i non meglio identificati nemici, e da un lato Tom è molto diffidente, convinto di trovarsi di fronte a un focolaio di oppressione e rischio, dall’altro Henry vede solo la possibilità di allargare gli orizzonti, ai suoi occhi claustrofobici, in cui la sua generazione è costretta a vivere. Nel villeggio quindi, al ritorno dei due, si crea e diventa sempre più aspro un vero e proprio conflitto generazionale, nutrito dall’ignoranza del proprio passato e di cosa è il resto del mondo. È evidentemente inquietante vedere come dalla fazione che vuole costruire una sorta di resistenza armata, siano sostenuti argomenti stile Make America Great Again, con decenni di anticipo su Donald Trump e i suoi sostenitori.
Kim Stanley Robinson utilizza in questo conteso un escamotage letterario classico, per inserire all’interno del racconto un’ampia mole di informazioni che devono pervenire ai personaggi: la scoperta del libro. Tom e Henry a San Diego sono venuti in possesso di un libro scritto pochi anni prima da un americano che avrebbe fatto il giro del mondo, per poi ritornare nella loro terra. Le considerazioni che ne emergono e le letture che ne danno i personaggi danno modo all’autore di esporre tesi ed opinioni sui temi più diversi, a partire dalla politica e dall’ecologia, oltre che sulla storia e la letteratura. Senza dubbio si vuole lasciare affiorare il valore salvifico di quest’ultima, perfino in un mondo perduto come quello che viene descritto, e per il giovane Henry, in balia degli eventi in un mondo incontrollabile, la lettura e la scrittura sono elementi cruciali nel suo diventare uomo. Bildungroman perciò, senza alcun dubbio, La costa dei barbari è un esordio ove si possono vedere in nuce molti dei temi che poi saranno propri della maturità di Kim Stanley Robinson, così come la sua lettura va certamente integrata e correlata con quella degli altri due romanzi a cui si è accennato. Per quanto non vi sia un racconto condiviso, sono tre visioni dello stesso oggetto, che assume una luce differente a seconda della direzione da cui viene visto.