Contro casa e famiglia,
storie di Alba de Céspedes

Alba de Céspedes
Invito a pranzo
Cliquot, Roma, 2024

pp. 304, € 20,00

 

Alba de Céspedes
Invito a pranzo
Cliquot, Roma, 2024

pp. 304, € 20,00

 


“Ci colpisce un’immagine significante del passato: da una parte una scala di cui l’uomo sale orgogliosamente i gradini, dall’altra una scala viene percorsa all’inverso dalla donna che la scende faticosamente. Quel po’ di orgoglio che le è concesso in una fase della sua vita non le basta per sorreggerla fino alla sua conclusione”
(Lonzi, 2023).

Così rifletteva Carla Lonzi, tra le fondatrici negli anni Settanta di Rivolta femminile, uno dei movimenti a favore delle donne più attivi in Italia. Cosa è cambiato rispetto a queste righe? Si direbbe molto, se si esaminiamo la struttura sociale attuale, o proprio nulla, se le pagine della Lonzi vengono ascoltate nel loro monito più deflagrante, a non salirci proprio su quella scala. Eppure ci abbiamo provato e per molti metri ci siamo riuscite a invertire la direzione di quella rampa. Come immaginarsi una meta all’incontrario, è stata ed è lezione di coloro che hanno sperimentato l’indecisione del passo destinato, prima, e il coraggio di non proseguire nella direzione obbligata, poi, al di là del genere, del tempo, del luogo. Qualcuna, in particolare, ci ha provato da sempre e senza proclami a sabotare la cultura patriarcale, e con molto di più di un “po’ di orgoglio”; qualcuna lo ha fatto in anni insospettabili e più rischiosi, quelli senza obiezione per costituzione, quelli del Ventennio e delle sue macerie. È quanto testimoniano le protagoniste di tutta la letteratura a firma Alba de Céspedes. Cliquot edizioni di recente ha riproposto dell’autrice Invito a pranzo, raccolta di diciotto racconti scritti tra il 1936 e il 1954, la cui essenza si definisce proprio nei sì e nei no delle donne degli anni bellici e postbellici. La silloge vide la prima pubblicazione nel 1955 ma, come già avvenuto per L’anima degli altri e Prima e dopo, la casa editrice, per vocazione attenta ai legami passato-presente, ha voluto suggerirci anche questo testo della de Céspedes, a lungo dimenticato.

Intellettuale a tutto tondo
Nata nel 1911, Alba de Céspedes, la nieta del salvatore della patria, come fu definito suo nonno per aver avuto un ruolo cruciale nel processo di indipendenza di Cuba dalla Spagna, figlia di padre cubano e di madre italiana, ha attraversato quasi tutto il secolo scorso tra Cuba, Francia e, soprattutto, Italia, scoprendosi scrittrice, giornalista, sceneggiatrice, drammaturga, partigiana, fondatrice della rivista di politica, arte, cultura, Mercurio. Il suo nome, nella traduzione “alba dei prati”, risulta quasi profetico per la capacità della scrittrice di anticipare temi familiari prima che sociali, emersi a voce piena quasi vent’anni dopo, come la Lonzi ci dimostra, e per la militanza inesauribile che fa della parola coscienza e resistenza. Le donne descritte dalla de Céspedes fanno della scrittura la loro avanguardia, proprio come lei. Anzi, si ha quasi la percezione che, quanto più la sofferenza sia profonda, tanto più la parola sappia farsi incanto. Il lettore si sente al contempo partecipe di un dramma emotivo e di un prodigio di bellezza stilistica.

“Mamma, perdonami / di non aver sposato / il ragazzo del quarto piano / che aveva un bell’avvenire assicurato / all’Esattoria Comunale. / Perdonami per la veste nuziale / che non potrai / comperarmi. / Non sono quella / che sognavi, / ma non sono nemmeno / quella che tu piangi”
(de Céspedes, 2023).

Sono i versi di una delle poesie scritte dall’autrice mentre viveva a Parigi e assisteva al maggio rivoluzionario del Sessantotto, con l’occhio vigile di chi aveva conosciuto già in famiglia la fortuna della libertà. Fin da queste poche righe si evince una sensibilità diversa, alimentata dal protagonismo di politica e cultura in casa de Céspedes e da un padre fiducioso nella scrittura di sua figlia, dai sei anni di lei fino a quando la rivide al suo capezzale. Così, tra quei giovani che speravano in un altro mondo mentre il mondo disperava della loro irregolarità, Alba si immedesima in chi la fortuna di una famiglia pari a alla sua non l’ha conosciuta, in una ragazza qualunque della protesta e nella sua richiesta del perdono. Perdono alla madre per non aver ricalcato il modello delle garanzie borghesi, della convinta approvazione sociale, dell’orgoglio senza giustificazioni e spiegazioni sulla propria idea di felicità. La famiglia, per altre luogo del divieto e della colpa, è stata invece per Alba lo spazio della possibilità e della appropriazione di sé. Da qui, la generosa volontà di fare della sua scrittura una riviera di libertà per tutte, fin dagli anni Trenta.

Profili femminili in anticipo sui tempi
Nei racconti di Invito a pranzo questa attenzione è rivolta a donne molto diverse tra loro; a chi vive i legami familiari con respiro sincopato e a chi ribalta con prontezza la sottomissione in giustapposizione. Insomma, donne all’incontrario su quella scala immaginata dalla Lonzi, in anticipo sui tempi e sugli umori più rivoluzionari. Per tale ragione si vuole provare a dimostrare come le donne di questi racconti costituiscano come una staffetta di emancipazione femminile insieme a tutte le protagoniste dei romanzi più noti della de Céspedes. È il caso della protagonista del racconto che dà il titolo all’intera silloge. Siamo alla fine della guerra, i fiori tornano a intonarsi all’arredo in una casa piena di libri, sulla tavola si compone una figura di due amorini di porcellana pregevole, un’allegria esclamativa si fa spazio tra la cura delle vivande e la tovaglia azzurra, fuori le lucciole sfiorano il buio con il loro scintillio. Una coppia romana festeggia il rientro dal Nord liberato di Lello, fratello di lui, e dell’ospite d’onore, un ufficiale inglese. Per l’occasione il marito della protagonista, rispolvera dopo tanto tempo, quello della guerra e della fuga, la giacca delle grandi occasioni, seppur lisa. Ma l’animo è rimasto integro, e solo questo conta. La serata si anima di entusiasmo fino a che il discorso scivola vero la politica, l’Italia, gli aiuti alleati ricevuti contro il fascismo e la necessità per gli italiani, a detta del generale inglese, di dimostrarsi all’altezza degli stessi. È questo il momento in cui la protagonista sa dirsi a bassa voce quanto gli uomini sembrano volersi nascondere in un silenzio che sa solo di remissione.

“Io non potevo più resistere; dissimulata dal lungo ricadere della tovaglia mi torcevo a una a una le dita, fino a farne scricchiolare le giunture; non potevo sopportare l’idea che noi fossimo ancora un popolo da giudicare, un popolo sul quale un qualsiasi capitano Smith sentisse il dovere di dare la sua opinione”.

É la protagonista, e non altri, a risentirsi per la durezza delle sentenze di chi, come il capitano Smith, dopo aver frequentato le migliori scuole, aver girovagato per i diversi continenti, avere tra le dita le sigarette più costose e la presunzione di sapere, non ha alcuna coscienza delle vite fatte a pezzi di tanti italiani e dei loro tremori tra gli abbracci, dei falsi nomi all’occorrenza e dei pugni stretti dalla rabbia, di un’identità senza più respiro e della memoria da cancellare per darsi ancora una ragione. Gli uomini a quel pranzo non ardiscono ribattere come necessario. Si giustificano, si scagionano, si discolpano. Stanno davvero a provare a un perfetto sconosciuto perché sia valsa la pena salvare gli italiani.

“Non bastava, come prova di civiltà, aver fabbricato quelle porcellane né aver scritto i libri stipati negli scaffali che foderavano le pareti della biblioteca. Bisognava di nuovo dimostrare, provare, passare tutti insieme, quarantacinque milioni, un lungo esame”.

Lei, sola donna a quella tavola, si indigna. Prova una triste pietà per gli uomini di famiglia, così rimpiccioliti dall’affanno delle loro motivazioni. Lei sola ha la precisa contezza di esserci trasformati in un popolo suddito di un nuovo padrone. E dissente con un forte “no” dentro l’anima, unico luogo deputato alla parola ardita delle donne di un’Italia “liberata”, ma anche il luogo dove ciascuna comincia a fare politica. Parimenti vediamo nella protagonista di uno dei romanzi più famosi della de Céspedes, Quaderno proibito (1952), l’interiorità di una donna profilarsi come scenario di un malcontento severo, progressivamente rovesciato in disapprovazione rispetto alla subalternità femminile. Una domenica mattina degli anni Cinquanta Valeria ritrova sugli scaffali del tabaccaio, dove era entrata per le sigarette del marito, un quaderno nero, lucido, simile a quelli della scuola. È rapita dal desiderio di averne uno per sé. Lo chiede con voce sottile. “Non si può, è proibito”, la replica del commerciante. Di domenica una legge vietava la vendita di prodotti che non fossero tabacchi. Ma lei insiste e lo ottiene. Così, quel quaderno apre subito davanti a sé un immaginario di eversione. Ne è proibita la vendita, prima, né è proibita la sopravvivenza, dopo, nei mille nascondigli che Valeria ricerca per impedirne la lettura al marito e ai figli. Però, è proprio grazie a quello spazio intimo che la protagonista impara a chiarirsi pensieri sepolti in fondo all’anima. Impara a recuperare il tempo della notte, del silenzio e della solitudine, per ribellarsi almeno con la penna ai ripetuti “mamma” con cui si chiede a tante donne attenzione agli altri e rinuncia a sé. L’intimità di un quaderno proibito le consegna la forza della disobbedienza quantomeno tra quelle pagine, una connotazione di autonomia impossibile nelle pareti domestiche.

Alba de Céspedes (Roma, 11 marzo 1911 – Parigi, 14 novembre 1997).

Autonomia che sa guadagnarsi con più forza un’altra delle donne di Invito a pranzo, Maria del racconto La sposa. Anche in queste pagine la tavola è il luogo della presa di coscienza femminile. La protagonista è stata figlia di un matrimonio di silenzi e rancori, di un padre piegato dall’alcol e di una madre nobilitata dal sogno di una casa tutta per sua figlia e per sé, fatta di gerani colorati alle finestre e del suono del vento oltre i vetri. Il sogno annega nel fiume dove sua madre si lascia morire, però Maria sembra ritrovare speranza di avvenire in Giovanni, anni dopo, in un paesino del Nord, dove lei serve ai tavoli e lui è militare. Un viaggio sfiancante li porta alla casa di lui in aperta campagna, dopo le nozze e le promesse, ma la libertà finisce a una tavola a cui lei non è neppure invitata dai cognati. Per lungo tempo rimane relegata al focolare e al buio della casa, come non esistesse, fino a che qualcosa cambia. La protesta interiore della donna si fa voce allorché, con tutta la forza possibile, la protagonista siede arditamente a tavola, a capotavola, e proclama fieramente “Sono incinta”. La vita dentro la sua vita la incoraggia all’affermazione di sé stessa e a occupare il ruolo dignitoso che a lei spetta. Risolutezza pari a quella del primo romanzo della de Céspedes, Nessuno torna indietro (1938), in cui Emanuela, una delle otto protagoniste, costretta per troppi anni a nascondere una bimba nata prima del matrimonio, vive il suo giorno di riscatto. D’un tratto si avvede che sua figlia non è il segno di un errore, come la società vuole imporle, ma l’attestazione orgogliosa del suo libero arbitrio, la fiducia in una società rinnovata, che non faccia di lei una “impura”. Non a caso la scrittrice farà pronunciare a Xenia, un’amica di Emanuela, le parole più provocatorie del romanzo in questione:

“Ma è davvero pura la donna risoluta a prendersi un amante? O è impura anche se intatta?”
(de Céspedes, 2022).

Provocazione alla società accolta con maggiore fermezza da Laura tra le donne più rivoluzionarie di Invito a pranzo, la cui storia (Il muro del liceo è il racconto) pure qui corre parallela a quella di Alessandra, protagonista del romanzo forse più conosciuto della de Cèspedes, Dalla parte di lei (1949). Pronte a supportare uomini ambiziosi, entrambe queste donne si rivedono in vite sfocate e senza legami reali, se non quelli supposti nella propria immaginazione, sempre più supplichevole di attenzioni dietro il muro delle spalle maschili. Dietro quelle spalle, in storie riflesse, Laura e Alessandra decidono e guadagnano la rivalsa, nel modo più estremo possibile, con un colpo implacabile e sanguinario.

“Egli è ora, insomma, come io avevo sempre sognato che fosse. Sicché mi viene fatto di sospettare che solo il gesto violento da me compiuto gli abbia dato la consapevolezza del suo amore e il modo di riconoscermi per quella che, amata da lui, avevo ambito di essere”
(de Céspedes, 2021).

Come evidente, Alba de Céspedes ci ha guidato fin dai primi decenni del secolo scorso tra diversi personaggi femminili, che non chiedono alla società lo spazio dove morire ogni giorno un po’ di più o dove raccontarsi favole di sopravvivenza, ma dove un padre sappia incoraggiare sua figlia a scrivere poesie. Come ad Alba accadde.

Letture
  • Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, Mondadori, Milano, 2021.
  • Alba de Céspedes, Nessuno torna indietro, Mondadori, Milano, 2022.
  • Alba de Céspedes, Quaderno proibito, Mondadori, Milano, 2022.
  • Alba de Céspedes, Le ragazze di maggio, Mondadori, Milano, 2023.
  • Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. E altri scritti, La Tartaruga, Milano, 2023.