Uscito su Dawn, l’etichetta progressive della Pye, nel novembre 1970, questo disco un po’ misterioso è tornato alla luce in una versione rimasterizzata comprensiva di un accurato booklet e bonus track interessanti. Merito della lungimirante Esoteric Recordings (Cherry Red Records), già artefice di nobili ripescaggi che si collegano idealmente e temporalmente a questa release, da Where Fortune Smiles (1970) firmato da John McLaughlin, John Surman, Karl Berger, Dave Holland e Stu Martin ai Colosseum di Valentyne Suite (1969).
Dietro il nome di Atlantic Brigde si cela infatti un quartetto di jazzisti inglesi che avevano deciso in tempi non sospetti di rompere gli schemi e di avventurarsi, senza paura e pregiudizi, in quella terra di mezzo, allora ancora vergine, dove pop e jazz potevano non solo incontrarsi ma anche “mischiarsi” e generare buoni frutti.
Cervello dell’operazione fu il tastierista Mike McNaught che profondamente influenzato da alcune rivisitazioni e arrangiamenti di brani di musica antica, di traditionals e di pop songs creò, insieme al vibrafonista Ron Forbes, i London Jazz Four.
Il loro primo album, uscito nel 1967, era una raccolta di brani dei Beatles riarrangiati da McNaught, ma ancora più interessante fu la seconda prova, An Elizabethan Songbook, una collana di temi dell’età Tudor abilmente jazzati con lo scozzese Jim Philip al flauto. Ebbene, partendo proprio da questa matrice ibrida, McNaught darà forma, alla fine del 1970, agli Atlantic Bridge con sempre Philip al flauto e ai sassofoni, e i giovani Daryl Runswick al basso elettrico e contrabbasso e Mike Travis alla batteria. Per inciso, la stessa sezione ritmica dell’Henry Lowther Band che nello stesso periodo sfornava il brillante e altrettanto “contaminato” Child Song, anch’esso ristampato dalla Esoteric.
Questa volta il ponte verso la musica popolare era gettato senza più remore e McNaught, attratto anche dalle possibilità tecnologiche offerte (overdubbing, multitracking ecc,) da uno studio di registrazione finalmente all’altezza, i Pye Studios in Marble Arch a Londra, si metterà duramente al lavoro e riuscirà a “produrre”, in collaborazione con Runswick una versione sublime in chiave pop-jazz di un hit dell’epoca come McArthur Park di Jim Webb, una mini suite (la durata di oltre sette minuti era un’enormità per un 45 giri), che scalò le classifiche nella primavera del 1968 grazie all’interpretazione teatrale e suadente di Richard Harris (numero due in Usa e numero 1 in UK).
Gli Atlantic Bridge la estesero a quasi undici minuti, la inacidirono, senza però alterarne l’afflato epico, e affidarono al soprano di Philip il compito di svolgere il tema, nonché di divagare nelle parti più jazzy alternandosi con il piano elettrico di McNaught.
Accattivanti e tuttora valide anche le reinterpretazioni di due brani dei Beatles, Something e Dear Prudence, e di due altre composizioni di Webb, Dreams e Rosecrans Boulevard. I due brani aggiunti in questa edizione (I can’t lie you e Hilary Dixon) sono in linea con il sound dell’album. Facevano parte del successivo maxi 45 giri uscito nel 1971 con cui si chiuse la vicenda discografica della band, che includeva anche un brano del disco di Lowther prima citato (si tratta di registrazioni coeve).
L’operazione artistica degli Atlantic Bridge fu molto simile a quella tentata solo pochi anni prima, sempre in terra d’Albione, dal quartetto del pianista Gordon Beck che allineava, oltre a Jeff Clyne al basso e a Tony Oxley alla batteria, il venticinquenne chitarrista John McLaughlin, ormai quasi pronto a spiccare il volo (solo due anni dopo avrebbe dato alle stampe Extrapolation, il suo primo album da solista).
Tra i brani riarrangiati presenti in Esperiments With Pop (l’album, pubblicato nel 1968 dalla Major Minor, è stato ristampato qualche anno fa dall’americana Art For Life), guarda caso, ancora i Beatles con Norwegian Wood e Michelle, e Jim Webb con Up, Up And Away. Purtroppo nessuno dei due esperimenti, nonostante una buona dose di creatività e talento, ebbero successo: la “terra di mezzo” fu fatale a entrambe le formazioni che si dispersero dopo le uscite dei rispettivi album.
A dire la verità gli Atlantic Bridge, come racconta Daryl Runswick nelle note di copertina, sarebbero teoricamente in attività: “Non si è mai deciso, in nessun momento, di sciogliere il gruppo. La dura realtà è che il nostro manager fallì nel trovarci delle date per dei concerti, ed è come se stessimo ancora aspettando una sua telefonata…”.
Per la cronaca, Runswick, dopo il “mancato” scioglimento degli Atlantic Bridge, ha giocato un ruolo di primo piano nel jazz britannico come musicista, suonando con, tra gli altri, Ray Russell, Dick Morissey, John Dankworth, Harry Beckett, Tony Coe, Don Rendell, Ian Hamer, e ricoprendo i ruoli di band leader, compositore, arrangiatore e produttore (ad esempio, per Keith Tippett).
Recentemente, la piccola etichetta ASC ha pubblicato The Jazz Years, compilation di registrazioni inedite risalenti agli anni Sessanta e Settanta. Non manca una prima cover di McArthur Park eseguita e registrata nel gennaio 1970 dai London Jazz Four in procinto di cambiare casacca e trasformarsi negli Atlantic Bridge.
Più defilata la carriera di Mike Travis, ma sempre di sostanza. Basterebbe solo citare la militanza del batterista nei primi Gilgamesh di Alan Gowen e le collaborazioni con Hugh Hopper. McNaught, scomparso nel 2015, dopo l’exploit, si fa per dire, nei London Jazz Four/Atlantic Bridge e un breve passaggio nell’Henry Lowther Band si dedicò alla composizione e agli arrangiamenti lavorando per il cinema, la televisione, il teatro, la pubblicità e collaborando con, fra gli altri, Elton John, Harry Nilsson, Randy Crawford, Bonnie Tyler, Lionel Bart, Micky Dolenz e con la cricca dei Monty Python.
- Gordon Beck, Experiments with Pop, Art of Life, 2011.
- London Jazz Four, An Elizabethan Songbook, Arkit, 2011.
- London Jazz Four, Take a New Look at The Beatles, Arkit, 2005.
- Henry Lowther Band, Child Song, Esoteric, 2013.
- Daril Runswick, The Jazz Years, ASC, 2017.