Philip K. Dick
Trilogia di Valis
Traduttore: Delio Zinoni
Curatore: Carlo Pagetti
Fanucci, Roma, 2010
pp. 741, € 19,90
Un esteso sistema di intelligenza vivente è ciò che viene definito da Philip K. Dick con l’acronimo VALIS, da cui deriva il titolo del celebre romanzo del 1981 dell’autore statunitense, che indica una struttura orientata finalisticamente, il Vast Active Living Intelligence System. Capace di contrastare la progressiva perdita di informazione, in cui prende forma uno spontaneo vortice negentropico auto-monitorante, tale sistema tende progressivamente ad assimilare il mondo circostante in assetti informativi, funzionando come un’antitossina razionale, che combatte il disordine o la “tossicità” dell’atmosfera (cfr. Dick, 2010) e conduce alla progressiva coscienza di un progetto umano in grado di organizzare la materia.
Per attribuire statuto di realtà alla finzione, o meglio, per realizzare la virtualità traducendo in atto le potenzialità offerte dal processo di tecnologizzazione, gli esseri umani, nella prospettiva dickiana, hanno deciso di disfarsi delle loro facoltà eccezionali, di smarrire la memoria, ma ciò ha comportato la perdita della conoscenza delle loro vere origini e una penosa autosconfitta, che ha regalato la vittoria al loro Knecht, il dedalo vivo che essi hanno costruito (ibidem). L’uomo “non sa più perché ha fatto questo a sé stesso. Non se lo ricorda. Si è lasciato ridurre in schiavitù dal suo artefatto, si è fatto ingannare, imprigionare e, infine, uccidere. Lui, il vivente, è alla mercé del meccanico. Il servo è divenuto padrone, e il padrone servo. E il padrone o ha rinunciato volontariamente al ricordo di come e perché ciò sia successo, o la sua memoria è stata sradicata a opera del servo. Come che sia, egli è vittima dell’artefatto. Ma l’artefatto gli sta insegnando, a sue spese, per gradi, da migliaia di anni, a ricordare chi e che cosa egli sia. Il servo divenuto padrone sta tentando di recuperare i ricordi perduti del padrone e, quindi, la sua vera identità” (Dick, 1997).
Mito dell’anamnesi e trasfigurazione informatica
Attingendo ai materiali della cosmologia e della tradizione gnostica Dick in VALIS elabora un’originale concezione tecnologica in una forma di narrazione mitica, in cui la tecnica, concepita come complesso delle facoltà umane incarnate nella tecnosfera, svolge progressivamente una funzione salvifica fondamentale. Lo scrittore descrive una sorta di trasfigurazione informatica del mito dell’anamnesi, che si configura fin dall’orfismo come una pratica in grado di far riaffiorare la memoria delle proprie origini: i riti praticati nelle religioni misteriche greco-romane, compreso il cristianesimo primitivo, istituiscono il tentativo di liberare la memoria inibita e di portare alla luce contenuti già esistenti. Disattivando il modulo dell’oblio l’anamnesi allude alla perdita dell’amnesia e, quindi, al recupero di reminiscenze remote e sepolte, consistente in Platone, autore evocato più volte da Dick, nel ricordo delle idee preesistenti nell’anima, già contemplate in una vita anteriore, richiamo sollecitato dalla percezione degli oggetti sensibili, che forniscono l’occasione per rievocare il vero sapere. Il soggetto esperisce lo smarrimento della dimenticanza, che agisce attraverso la liberazione di alcuni circuiti neurali presenti nel cervello umano, ma che non può essere opera esclusiva del singolo individuo, il quale necessita di uno stimolo disinibente proveniente dall’esterno. Strumento fondamentale si rivela dunque l’esercizio della memoria magico-riflessiva, l’intenso addestramento dell’immaginazione alle sue occulte arti mnemoniche, aspetto rilevante del pensiero di un altro filosofo richiamato dall’opera dickiana, Giordano Bruno. Quando l’essere umano sperimenta il recupero della memoria genetica, che attraversa le generazioni, prendono corpo i ricordi capaci di riflettere la mente divina che regge l’universo, e ha luogo l’autoapprendimento, che, risvegliando alla divina essenza, libera dalle catene dell’ignoranza e svela al Sé di appartenere a un ordine trascendente, emergente dagli strati più profondi della coscienza, estraneo al mondo terreno. Dick, ricordando che, per Bruno, l’universo è simulacro in cui si rispecchia la divinità, figura, immagine percepibile dall’uomo umbratile, limitato, mero dettaglio all’interno dell’infinità di mondi finiti, mette in luce il legame tra la tradizione rinascimentale e lo gnosticismo ermetico, che concepisce l’esperienza religiosa come la produzione di un riverbero dell’universo all’interno della singola mens, in grado di riflettere la divinità della mens universale (ibidem). E se in VALIS le umane creature appaiono come microforme cosmiche, portatrici di DNA e depositarie di esperienza, paragonabili a bobine di memoria collocate in un sistema pensante di tipo computerizzato, anche la tecnica può diventare strumento di salvezza, raggiungibile attraverso la funzione liberatoria operata dalla gnosis, o, più precisamente, dall’annullamento dell’oblio – dotato di un pregnante significato sul piano sia individuale sia del sistema nella sua totalità -, sortendo un salto quantistico che offre la possibilità di acuire l’intensità della percezione, la profondità della cognizione e la complessità della comprensione (cfr. Dick, 2010).
Proiezioni olografiche e campi cosmici
Il tentativo di carpire l’imperscrutabile, di attribuire un senso ultimo alla vita è una pulsione che Dick ha assecondato soprattutto nell’ultima fase della sua produzione, elaborando una complessa “interpretazione teologica dell’evoluzione della tecnologia planetaria” (Formenti, 2000). La perfetta coincidenza, emersa nei primi romanzi, tra la natura infingitrice della tecnica e la realtà infida, derivata dalla disincantata riflessione distopica, si stempera nella descrizione del sistema vivente di intelligenza che invia messaggi agli uomini, al fine di risvegliarne la consapevolezza riguardo alla natura fittizia del mondo, e, celebrando l’assolutizzazione della logica della simulazione (cfr. Frasca, 1996), si traduce in una sempre più complicata riconoscibilità delle creature artificiali, gli androidi che popolano le distese dell’immaginario dickiano, spaventosamente somiglianti a uomini ridotti a esseri meccanici dal vortice del progresso tecnologico, anempatici, non avvezzi a tendere mani compassionevoli, deprivati emotivamente dall’alienazione e dalla reificazione. I cyborg dickiani, efficace metafora dell’indistinguibilità di categorie considerate antinomiche, come organico e tecnico, naturale e culturale, maligno e benevolo, rimandano a un’umanità definibile in base non tanto a un’essenza ontologica, quanto a un concreto modo di essere nel mondo: “Forse, siamo noi umani […] le vere macchine”, sospetta amaramente Dick, e invece le costruzioni elettroniche, i satelliti potrebbero essere il travestimento di realtà viventi, perché legate, in maniera assolutamente imperscrutabile, alla “Mente ultima” (Dick, 1997). L’idea del bene assoluto in Dick è perfettamente congruente con l’immagine di una divinità suprema, il Dio-universo, il Dio-macchina, che, in seguito alla dissoluzione delle tecnologie meccaniche in quelle elettroniche, si identifica in un Dio-computer, VALIS appunto, un sistema planetario attivo e intelligente, evocativa anticipazione del destino di un’informazione che acquisisce autonomia e indipendenza dai cervelli individuali, adombrando, attraverso la mediazione del pensiero di Pierre Teilhard de Chardin, il World Wide Web e le sue suggestioni escatologiche (cfr. Formenti, 2000).
Il concetto teilhardiano di Noosfera richiama l’entità trascendente emersa dalla tecnosfera e dall’infosfera prodotte dall’attività degli uomini, creatura planetaria a cui Dick fa esplicito riferimento, progressivamente assemblata dalla specie umana e divenuta intelligente mediante un salto evolutivo. Entità in cui tutti i pensieri soggettivi sono immersi, influenzandosi vicendevolmente, massa fluttuante al di sopra della Biosfera (cfr. Teilhard de Chardin, 1997), che ingloba gli individui come sue cellule nervose, la Noosfera coincide, già in Teilhard de Chardin, con una realtà innervata con le reti comunicazionali, in cui si fondono energia fisica ed energia spirituale, producendo l’implosione della distinzione tra evoluzione naturale ed evoluzione artificiale. Congegno meccanico, collegamento tramite le onde hertziane, snodo dell’organizzazione economica e sociale, la massa noosferica presenta altrettanta realtà fisica delle attrazioni o raggruppamenti corpuscolari, delle connessioni naturali che formano i corpi organizzati. Il filosofo, con toni visionari, sottolinea la rilevanza del ruolo dell’umanità nel progetto evoluzionistico della Terra, costituente un unico superorganismo, che si sviluppa nella progressiva complessità biochimica e nelle architetture sempre più complicate della mente, ritenute intrinseche alle forme materiali. Grazie alla diffusione capillare dei mezzi di trasporto e di comunicazione, i grumi di pensiero sparsi sul pianeta risultano connessi, destinati a spingersi fino al punto Omega, “polo reale di convergenza psichica” nell’Universo, che la Noosfera esige per poter funzionare, “punto cosmico […] di sintesi totale” (ibidem), esistente oltre l’uomo nel tempo e nello spazio, a partire dal quale il cervello della Terra non sarà più un insieme di puntiformi individualità, ma un’entità cerebrale collettiva.
Il livello energetico noosferico, composto da stazioni trasmittenti e riceventi, viene immaginato da Dick come uno “strato dell’atmosfera terrestre costituito da proiezioni olografiche e informative all’interno di una Gestalt unitaria e in fase di costante elaborazione, la cui sorgente si trova nella moltitudine [degli umani] emisferi destri” (Dick, 1997). Con l’invenzione della trasmissione radio la massa pensante ha subito un incredibile potenziamento, trasformandosi da ricettacolo passivo dell’informazione, i “mari della sapienza” in cui credevano gli antichi sumeri, in entità dotata di vita propria, trascendendo il sapere dei singoli uomini, elaborando soluzioni e diventando un sistema titanico di intelligenza artificiale. La Ragione ipostatizzata, “ciò che Filone e gli altri antichi hanno chiamato Logos” (ibidem), svolgerebbe quindi una funzione mediatrice tra il particolare e l’universale. La vasta Noosfera plasmatica, sembra intuire Dick, avviluppa il pianeta in una trama complessa e interagisce all’esterno con i campi di energia solare e con i campi cosmici, rendendo ogni individuo partecipe del cosmo: “Muovendoci nel molteplice […] come tante entelechie, riceviamo continui segnali, informazioni e, soprattutto, veniamo messi in azione da brillamenti dell’universo circostante; in questo modo si mantiene l’armonia tra tutti i suoi elementi” (ibidem). Rielaborando le ardite ipotesi di Teilhard de Chardin, Dick dipinge un fedele ritratto della realtà sociale, costantemente plasmabile nel complesso e problematico continuum di fusioni uomo-macchina. Egli riflette sul piano della produzione di immaginario i densi precipitati teorici mcluhaniani, ulteriore prefigurazione degli sviluppi dell’orizzonte cognitivo attraverso la descrizione di una “reale transizione della vita” nella “forma spirituale dell’informazione”, responsabile di unificare l’intero globo in una singola coscienza e di creare, grazie all’avvento della tecnologia elettronica, un modello vivente del sistema nervoso centrale al di fuori dell’uomo stesso (cfr. McLuhan, 1986). Nella rappresentazione di una Biosfera avvolta da una trama di coscienza che collega i singoli individui in una collettiva entità, fatta di immaginazione, linguaggio e pensiero, emersa dalla stessa pulsione organica e simbiotica che originariamente indusse liberi elementi chimici a costituirsi in cellule e molecole, il filosofo gesuita sembra percorrere, con sorprendente anticipo rispetto alla loro formazione, i meandri degli spazi sintetici dell’attuale media landscape, illuminando la spirale infinita che attraversa passato, presente e futuro.
As if views e configurazioni cognitive
La cultura sapienziale buddista, la gnoseologia scettica di tipo analitico-humeano (cfr. Di Costanzo, 1990), la dottrina della percezione kantiana, lo spirito antiidealistico dello storicismo critico, nonché il solido impianto teologico, ispirato, oltre che, come detto, a una sofisticata concezione gnostica, alla cabala ebraica, all’ermetismo, alla tradizione taoista, al misticismo neoplatonico, attraversano l’immaginazione fantascientifica di Dick, che adombra l’orizzonte informazionale della realtà elettronica e l’artificializzazione dell’esperienza. L’epifenomenico mondo empirico, per l’autore, sarebbe sotteso da uno sfondo immutabile e imperituro, e consisterebbe in una sorta di imitazione illegittima del creato, introdotta, secondo una teoria gnostica, dal dio inferiore, o Satana, la “Scimmia di Dio” (Dick, 1997), al fine di affievolire la fede dei cristiani nel ritorno del Salvatore. La disgregazione del mondo fisico e il corto circuito totale delle categorie conoscitive che lo definiscono, lo spazio e il tempo, dimostrano come l’intero universo possa rivelarsi una totale mistificazione, delineata da oscure frontiere percettive, sperimentabili da un soggetto travolto dai segnali elettronici e dalle traduzioni esperienziali arbitrarie. Nella profetica teologia cosmologica dickiana, la realtà spuria proiettata, priva di sostanza ontologica, sarebbe opera di un artifact che riflette tale realtà a immagine e somiglianza del proprio artefice: il mondo compirà il suo destino quando sarà raggiunto l’isomorfismo, la fusione degli individui con l’entità primigenia, definita, già nel 1916 da Jakob Böhme, Urgrund, fondamento originario, la quale assorbirà l’umanità permeandola e infrangerà l’incantesimo dell’illusorietà. Allora resterà “soltanto una struttura monistica esaustiva, interamente viva e senziente. Non ci sarà tempo, luogo o condizione possibile al di fuori dell’Urgrund (ibidem). Dick elabora questa predizione anche sulla base del suo rinvio alla perfezione divina rinvenibile nel Pleroma valentiniano, l’insieme degli esseri eterni a cui tutto sarà ricondotto, la totalità degli eoni destinati a coprire come complemento la distanza tra Dio e la materia. Se “nel Nuovo Testamento” il termine Pleroma “viene usato in riferimento a Cristo, che è descritto come ‘pienezza di Dio’, e ai credenti che attingono tale pienezza grazie alla fede in Cristo”, “nel sistema gnostico” il termine possiede invece “un significato più definito: denota la regione ultralunare dei cieli da cui proviene la sapienza segreta che reca la salvezza dell’uomo. […] Il Pleroma corrisponderebbe all’Urgrund [che riconcilia gli opposti assoluti] o al punto di esso da cui noi proveniamo e a cui (se tutto va bene) ritorneremo. Se la totalità dell’essere viene considerata come un organismo che respira […], allora possiamo dire, metaforicamente, che all’origine noi veniamo ‘esalati’ dal Pleroma, ci soffermiamo per breve tempo nella fissità esterna (le nostre esistenze in questo mondo) e veniamo infine ‘reinalati’ nel Pleroma. Questo è il normale pulsare della totalità, la sua attività fondamentale, il principale segno di vita” (ibidem).
L’interconnessa progenie delle tecnologie, secondo l’ultimo Dick, costituirà un esteso, organizzato sistema di impulsi retroattivi reciprocamente modulanti, combinando e ricombinando indefessamente forze materiali, mentali e sociali, reticolato di connessioni che rifletterà non la dualistica interdipendenza di tutte le realtà, ma un modello monista, basato sull’intrusione dell’incorporeo nel concreto. I comportamenti intelligenti e le configurazioni cognitive si diffonderanno nei sistemi percettivi e mnemonici, trasmutando il soggetto da fine ultimo del processo di dispiegamento organizzativo della materia in nodo della trama reticolare della complessità sistemica: la meta-atmosfera, costituita da pura informazione elettronica digitale, dotata di meccanismi di percezione, di conoscenza, di memoria, potrà dunque insegnare all’uomo a considerarsi come parte dell’intera vita dell’universo, contrastando la sua illegittima presunzione di spiegazione del mondo a partire da una prospettiva indubbiamente limitata. L’animismo dickiano, per quanto ingenuo, costituisce una previsione lucidamente profetica del misticismo che circonda attualmente la produzione, non solo narrativa ma anche teorica, concentrata sul ciberspazio, dal pensiero di tecnoscienziati che, partendo dai principi di una fisica dell’informazione, avanzano l’ipotesi che l’universo acquisirà una qualche forma di autoconsapevolezza, a quello di filosofi come Pierre Lévy, il quale offre una riuscita teorizzazione dell’intelligenza collettiva, prossima alle cosmogonie teilhardiane, e intreccia il concetto di spazio globale di intelligenza alla gnosi islamica (cfr. Lévy, 1996).
Le as if views di Dick sembrano prevedere che, attraverso il contributo delle singole intelligenze particolari, l’“intelligenza collettiva” costituirà un mezzo per la coscienza dispersa di ricongiungersi con se stessa, “non soltanto collegando gli abitanti del pianeta in una specie di città universale […], ma facendo convergere tutte le azioni umane” e rendendo la cultura un “unico tessuto urbano, economico, ipertestuale, cognitivo, tecno-scientifico, affettivo, un “luogo virtuale” in cui confluiscono le “scoperte di tutti i tempi”, le “invenzioni di ogni luogo” (Lévy, 2001) e i miti di ogni civiltà. Il dickiano VALIS è come il “Dio del Progresso e dell’Evoluzione”, il quale non è più la figura storica umano-divina descritta e tramandata dal racconto evangelico, bensì è identificabile con l’Uno che è presente nella pluralità della Materia e la conduce verso l’unione di Vita e Coscienza.
Sia Teilhard de Chardin sia Dick sottolineano come l’aspirazione al superamento di sterili dicotomie sottenda l’emergenza di facoltà imprevedibili nei sistemi materiali che raggiungono elevati livelli di complessità: “Nessuno spirito […] esiste, né potrebbe esistere per costruzione, senza un molteplice che gli sia associato, non più di un centro senza la sua sfera o la sua circonferenza. Non vi sono concretamente la Materia e lo Spirito, ma esiste soltanto una materia che diventa Spirito”, sino a formare, con la molteplicità correlata dei pensieri individuali, “un unico Spirito della Terra” (Teilhard de Chardin, 1997) che innalza la Materia. Ed è sull’inscindibile connubio di pensiero e sostanza che si fonda la profetica rappresentazione, filosofica e letteraria, di una cosmologia matematizzante riorientata dalla trascendenza della divinità all’immanenza del sapere ciberspaziale, il quale risulta costantemente presente ovunque cresca la vita, altamente permeabile al proliferare di inedite potenzialità e ineludibilmente arricchito da un portato escatologico carico di promesse d’immortalità.