“Dopo che la psichedelia ebbe spalancato le porte della percezione, la sfida fu quella di fare ordine all’interno delle sue prolisse nevrosi espressive – e del caos che potevano potenzialmente generare – e di sperimentare con la forma, la struttura e le dinamiche: l’imperativo era creare nuove geometrie musicali”
(Barnes, 2021).
Queste parole, scritte con rara efficacia da Mike Barnes nel suo bel libro Storia del Progressive Rock illustrano con chiarezza il passaggio dal calderone creativo psichedelico della swinging London alla strutturazione per generi che avviene in ambito rock tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del secolo scorso. Il concetto chiave è proprio quel “fare ordine” che delinea quel processo di creazione di generi musicali, primo fra tutti il progressive rock, che comporta, per l’appunto, un mettere a posto le molteplici influenze esplose dal beatlesiano Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band in poi. Sistematizzarle, dargli una forma, una geometria per l’appunto. Quasi a voler rifuggire quel caos creativo che pullulava nell’underground londinese.
Una vendemmia con i fiocchi
Il 1971 vede praticamente compiuta questa operazione (ovviamente del tutto inconscia) con una serie di uscite discografiche significative, importanti: Pawn Hearts (Van Der Graaf Generator), Tarkus (Emerson Lake & Palmer), Nursery Crime (Genesis), Acquiring the Taste (Gentle Giant), Fragile e Yes Album (Yes), Aqualung (Jethro Tull), Islands (King Crimson). Ai quali vanno aggiunti i Caravan di In the Land of Grey and Pink, i Pink Floyd di Meddle (se ne parlerà in un prossimo articolo, ndr), ma anche Le Orme di Collage o il Concerto Grosso dei New Trolls, tanto per rimanere in ambito nazionale. Insomma, non proprio l’anno d’oro del rock come riportato dal recente libro di David Hepworth, 1971. L’anno d’oro del rock, Big Sur, 2021, ma certamente importante per una serie di tendenze che proveremo ad analizzare e di cui se ne celebrano i fasti a più riprese di recente, dal titanico box Unburied Treasure dei Gentle Giant uscito due anni fa (ben trenta i cd ospitati) al recentissimo The Charisma Years (1970 – 1978) dei Van Der Graaf Generator (qui i dischetti sono solo diciassette a cui si aggiungono tre blu-ray).
A prima vista l’elenco dei dischi usciti non sembra avere un forte substrato comune, a parte il ricadere più o meno complessivamente nella categoria progressive, che indubbiamente conosce fama e popolarità proprio in questo periodo. Ma l’etichetta ha bisogno di sostanziali ed effettive esplicazioni e non solo di essere un comodo cassetto dove infilare dischi più o meno complessi. C’è una scena molto divertente e allo stesso tempo indicativa, riportata da Mike Barnes nel suo libro, che illustra perfettamente uno dei cambiamenti radicali nel mondo del rock, più o meno dall’avvento di In the Court of Crimson King:
“A un concerto allo Speakeasy, nel 1969, alcuni membri dei Tyrannosaurus Rex (probabilmente Steve Took) e dei Deviants invasero il palco nel tentativo di fermare l’esibizione dei King Crimson… Qualche tempo dopo Mick Farren, il cantante dei Deviants, disse a Richard Williams di Melody Maker: il fatto è che siamo contrari a quanto sta accedendo nella cosiddetta scena pop undergorund. Non ci interessa dare prove di abilità, e nemmeno tutta quella roba tecnica che fanno i King Crimson. È una cosa sterile”
(Barnes, 2021).
Se vogliamo trovare un minimo comun denominatore dei dischi e dei gruppi sopra elencati, e che nei fatti caratterizza il termine progressive, la coppia virtuosismo/complessità sembra esserne uno dei più evidenti. Ed è quello contro il quale si scaglia, nella sua ingenuità, Steve Took, rivendicando in qualche modo l’autentica ispirazione artistica scevra da tecnicismi propria del mondo psichedelico e alternativo di fine anni Sessanta. Questo processo parte dalla rivisitazione o dal riadattamento del repertorio classico/sinfonico in ambito rock e che da elemento esotico ne diventa fattore strutturale. Modifica in maniera profonda l’approccio compositivo. Se prima si partiva dalla forma canzone o dalla forma blues, per poi allargarne i confini, tra improvvisazioni, intermezzi, cambi improvvisi, ma tutto pur sempre legato e collegato in un modo armonioso, ora si compone per quadri che poi vengono assemblati insieme a formare composizioni estese dove non c’è necessità di ritornelli o strofe. La suite Tarkus, degli Emerson Lake & Palmer è assai significativa sotto questo punto di vista: con i suoi sette Movimenti collegati uno all’altro senza soluzione di continuità, Tarkus “is the archetypal progressive rock multimovement suite” (Macan, 1997). D’altronde la passione di Keith Emerson per il mondo sinfonico era nota già dai tempi dei Nice. Ma anche i Genesis o Van Der Graaf Generator e Gentle Giant procedono su questo versante compositivo.
Una generazione di musicisti “virtuosi”
È una ricerca di complessità che sottende una volontà di elaborare una musica alta, colta e certo lontana dalla fase adolescenziale dove tutto era possibile ma, per l’appunto, in maniera disordinata, confusa. Indubbiamente l’approccio “sinfonico” è centrale in questa elaborazione. Non va dimenticato che spesso abbiamo a che fare con musicisti che, rispetto alla prima ondata di rock inglese, più autodidatta o di derivazione blues, ha studiato musica, conosce l’armonia e possiede un’indubbia abilità strumentale. The Yes Album e Tarkus ci mostrano in maniera evidente l’attuazione del binomio virtuosismo/complessità, con i richiami al mondo classico e romantico, un’alta dose di tecnica strumentale e spettacolarità, ed una esaltazione di quella figura di rock star che poi il punk, a metà anni Settanta, distruggerà inesorabilmente. Da questo punto di vista, le esperienze di Van Der Graaf Generator e Gentle Giant sono differenti, se non altro per il poco seguito che hanno in patria, al contrario di quanto accade da noi. La loro elaborazione artistica è inserita in un’estetica più introversa, intima, leggermente distante dallo sfoggio di destrezza e maestria. Le scure atmosfere disegnate da Peter Hammill e dai suoi Van Der Graaf Generator richiedono pazienza e attenzione, esigono un impegno assoluto e tendono a formare circoli esclusivi, piccole schiere di eletti con i quali condividere passioni e incubi. Il discorso vale anche per i Gentle Giant, pur in un quadro leggermente meno ossessivo e inquietante.
Se Pawn Hearts e Acquiring the Taste, rispettivamente dei Van Der Graaf Generator e dei Gentle Giant, lavorano in un ambito più intimista, sorretti da atmosfere barocche, richiami rinascimentali, universi fantasy e dilemmi filosofici, Nursery Crime, dei Genesis, è più estroverso, teatrale, carico di un romanticismo che tocca sensibilità antiche e forme classiche, con sottili linee melodiche che richiamano un certo folk inglese. Un altro importante aspetto che funge da collante per questi lavori, e per il progressive in generale, è la quasi totale assenza dell’elemento nero, afroamericano.
Non è esagerato affermare che il rock con il prog diventa europeo. Da una parte perché i riferimenti sono alla musica classica europea e questo indubbiamente permette la nascita delle scuole nazionali, mentre gli Stati Uniti, maggiormente legati alla musica afroamericana, rimangono sostanzialmente fuori dall’ondata prog. Sotto questo aspetto Greg Lake, come riportato nel libro di David Weigel Progressive Rock, è molto chiaro:
“Quasi tutto il rock aveva alla base il blues e il soul e in misura minore il country and western e il gospel. Molta musica progressive, invece, si rifà piuttosto a radici europee”
(Weigel, 2018).
Dall’altra, l’elaborazione di forme musicali elaborate riflette maggiormente la complessità delle tematiche affrontate dai testi. Questo è un altro fattore che influenza profondamente l’estetica musicale del prog e di questi album in particolare. Spesso la musica soggiace all’esigenza di comunicare verbalmente le inquietudini, le riflessioni, gli incubi e le visioni veicolati dai testi. Dal rapporto dell’uomo con la religione (la seconda facciata di Aqualung ma anche The Only Way-Hymn, da Tarkus) alle pulsioni autodistruttive dell’umanità (Lemmings, da Pawn Hearts), le riflessioni sulla solitudine dell’uomo (A Plague of Lighthouse Keepers, sempre da Pawn Hearts), la guerra (Yours Is No Disgrace, da The Yes Album), o le inquietanti storie fiabesche (Nursery Crime e Acquiring the Taste).
Tutto il corpus letterario mostra la tendenza a rappresentare le angosce e le paure dell’essere umano, appena velate da momenti di cruda ironia (Harold the Barrel, da Nursery Crime, oppure Jeremy Bender e Are You Ready, Eddy? da Tarkus), come fosse ormai privo di prospettive future (la fine di Woodstock e del suo sogno), in un lavoro che si fa sempre più artistico, per nulla secondario rispetto alla musica. È anche questa esigenza comunicativa, di alto valore letterario, a condurre la musica verso un paesaggio multiforme e articolato, in stretto rapporto per l’appunto con il testo.
Un vuoto di colore Nero
La mancanza dell’elemento afroamericano porta con sé anche il ridimensionamento dell’improvvisazione, che parte importante aveva giocato durante l’esplosione psichedelica. A parte i King Crimson, che infatti manterranno stretti legami con l’area della libera improvvisazione e del jazz inglese, il resto dei gruppi prog avranno poche sortite in questo campo, preferendo sviluppare per l’appunto l’elemento formale, la geometria, piuttosto che l’aspetto improvvisativo. Anche armonicamente abbiamo un’estetica particolare, spesso caratterizzata da triadi in luogo di accordi di settima, e che fornisce quel colore plumbeo, a volte opprimente. Non a caso la scuola di Canterbury si differenzierà dal prog classico proprio per un’apertura armonica che è assente da gran parte dei dischi progressive. Basta confrontare la suite della seconda facciata di In the Land of Grey and Pink dei Caravan con A Plague of Lighthouse Keepers, da Pawn Hearts dei Van Der Graaf Generator, e ci troveremo di fronte mondi musicali assai diversi pur lavorando, ambedue, su quadri, interludi, sezioni, in breve su forme musicali elaborate, inserite all’interno di suite musicali estese, multiformi per l’appunto. Altro elemento importante, che deriva in un certo qual modo dall’abbandono dell’estetica afroamericana, è la complessità ritmica, l’utilizzo, esasperato in alcuni casi, di tempi dispari.
A volte quest’uso è funzionale alla composizione, o ai testi, ma in altri casi è frutto proprio della coppia virtuosismo/complessità, un semplice esibire le proprie capacità tecniche. Dal 5/4 di Tarkus agli 11/8 di Man-Erg dei Van Der Graaf Generator o di Pantagruel’s Nativity dei Gentle Giant, oppure al 7/8 all’interno di The Cloth Thickens (una delle sezioni di A Plague of Lighthouse Keepers da Pawn Hearts), è tutto un susseguirsi di ritmi inusuali e rapidi e numerosi cambi di tempo. Ma è un momento in cui il rock si vuole colto, complicato, per nulla avvezzo a far ballare il suo pubblico. Esige una completa attenzione, sia per quanto riguarda la parte melodico armonica, che quella ritmica e infine per quanto riguarda i testi.
I cambiamenti di ritmo sottolineano questa scelta, ne sono una componente ineliminabile e per tutta la prima parte dei Settanta sarà patrimonio comune di molte band. A fianco della preminente influenza classico sinfonica le musiche del prog sono a volte attraversate da venature jazz, come nel caso dei King Crimson di Islands.
Pur essendo i precursori e per certi versi i veri capiscuola del prog, i King Crimson mantengono all’interno della loro musica degli spazi poco geometrici, aree improvvisative e momenti di libertà che certo non troviamo nei Gentle Giant o nei Van Der Graaf Generator, nonostante l’evidente influenza che Fripp e le sue varie versioni dei King Crimson esercitano su questi gruppi. Ed è assai particolare che proprio il gruppo che, si può dire, ha lanciato il genere progressive, sia in parte distante dalla ricerca assoluta di forme classiche e di rigida organizzazione interna che troviamo nei due gruppi prima menzionati o in Emerson Lake & Palmer. È come se la linfa improvvisativa scorra ancora con forza all’interno delle musiche dei Crimson e sfoci in zone non predeterminate, cosa che invece non avviene negli Yes, dove l’estremo virtuosismo incanala gli estri improvvisativi all’interno di rigidi percorsi. Ma, a differenza delle cupe atmosfere, della gravità e pesantezza che spesso troviamo in gran parte dei dischi e dei gruppi qui toccati, The Yes Album e Fragile sembrano invece evocare paesaggi luminosi, un certo senso di ottimismo e, soprattutto per quanto riguarda Steve Howe, una molteplicità di influenze che ne fanno uno dei migliori chitarristi della storia del rock. Come giustamente sottolinea Bill Martin nel suo Listening to the Future, Van Der Graaf Generator e Yes possono essere considerati i due poli opposti di un’estetica che da Thanathos si muove verso Eros, sempre in una costante ricerca delle pulsioni e delle contraddizioni dell’essere umano (cfr. Martin, 1998).
Resta da indagare un’altra componente musicale di una certa importanza: il patrimonio folk inglese. Più suggestione che vero e proprio materiale sonoro riutilizzato, le tenui atmosfere popolari sembrano aleggiare in Acquaring the Taste, in Nursery Crime e, ovviamente, in Aqualung dei Jethro Tull.
Tuttavia, la ballata folk inglese ha una sua cantabilità lineare, una reiterazione che il progressive rock rifugge, teso alla continua elaborazione di temi. È quindi un elemento che scorre sottotraccia, soprattutto per quanto riguarda le ambientazioni e non tanto dal lato compositivo. Proprio quando questo elemento è più presente, come con Aqualung, ecco che ci troviamo di fronte una musica alquanto differente dal resto dei dischi prog fin qui analizzati. A differenza degli altri lavori abbiamo ancora a che fare con elaborazioni a partire dalla canzone, con ritornelli, assoli, cambi e finali, ancora un vago sapore di blues e quel soffio jazz dovuto al flauto in stile Roland Kirk di Ian Anderson. Se proprio vogliamo essere coerenti con le nostre analisi, il vero disco prog dei Jethro Tull sarà Thick as a Brick, non certo Aqualung.
Rivisitando eroi e icone del progressive rock: Robert Fripp, la creatura Tarkus e il vagabondo Aqualung.
Per concludere, siamo in presenza di una straordinaria rivoluzione, non solo formale, ma di contenuti e di approcci compositivi, oltreché strumentale. Una rivoluzione che infrange i confini del rock elevandolo a musica colta. Ma questo avviene a scapito di un’istintività e disordine creativo che probabilmente erano il riflesso artistico delle società in preda ai profondi mutamenti e alle speranze del Sessantotto. Una certa disillusione, che da Woodstock alle violenze di Altamont si fa ampiamente strada, produce quel senso di ripiegamento, quella svolta possiamo dire intimista da una parte e professionale dall’altra, che porta il rock in un territorio maturo, serio, altro e oltre le visioni di un futuro migliore evocate dai movimenti degli anni Sessanta. A cinquant’anni dall’uscita di questi dischi, non possiamo far altro che continuare a goderne e darne, allo stesso tempo, una lettura storica che inquadri nel giusto contesto musiche a volte appesantite dallo scorrere degli anni, sebbene ancora ricche di indubbio fascino.
- Caravan, In the Land of Grey and Pink, Deram, 2019.
- Emerson Lake & Palmer, Tarkus, BMG, 2021.
- Genesis, Nursery Crime, Charisma, 2018.
- Gentle Giant, Acquiring the Taste, Alucard, 2020.
- Jethro Tull, Aqualung, Chrisalys, 2021.
- King Crimson, Islands, Wowow Entertainment, 2021.
- Van Der Graaf Generator, Pawn Hearts, UMC, 2021.
- Yes, The Yes Album, Atlantic, 2019.
- Yes, Fragile, Atlantic, 2019.
- Mike Barnes, Storia del Progressive Rock, Odoya, Città di castello (PG), 2021.
- David Hepworth, 1971. L’anno d’oro del rock, Big Sur, Roma, 2021.
- Edward Macan, Rocking the Classics. English progressive rock and the counterculture, Oxford University Press, New York Oxford, 1997.
- Bill Martin, Listening to the Future. The time of progressive rock 1968-1978, Open Court, Chicago and La Salle, 1998.
- David Weigel, Progressive Rock. Ascesa e caduta di un genere musicale, EDT, Torino, 2018.
- Donato Zoppo, Prog. Una suite lunga mezzo secolo, Lit Edizioni, Roma, 2012.