Le immagini-meme sono tre. La prima è un video di Fanpage, girato nel Duomo di Napoli da Luca Iavarone e Simone Petrella il 19 settembre 2013, giorno in cui si celebra il santo patrono di Napoli e della Campania con il relativo “miracolo” dello scioglimento del sangue: un turista giapponese con indosso una maglia del Napoli, stessa “faccia ‘ngialluta” (faccia gialla) di quella attribuita popolarmente al santo (soprattutto se ritarda il miracolo), non capisce la domanda rivolta dal giornalista e risponde semplicemente, indicandosi: “Sono giapponese”.
La seconda è un murale che si staglia su via Duomo, all’ingresso del popolare quartiere di Forcella, sulla facciata cieca di un palazzo, una gigantografia del santo rielaborato ai tempi della trap nel 2015 da Jorit Agoch, street-artist che ha colorato le periferie cittadine con altri simili murales (tra cui quello dell’unico vero contendente al titolo di santo patrono di Napoli, Maradona, a San Giovanni a Teduccio).
La terza, invece, risale allo scorso anno, quando il vicepresidente della Camera e futuro Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, bacia la teca che contiene il sangue appena sciolto.
Corsi e ricorsi della devozione popolare
Napoli è sempre stata devotissima al suo santo. Falsa è la storia, su cui ricamò Alexandre Dumas ma già smentita da Benedetto Croce, secondo cui i “lazzari” sostituirono San Gennaro con Sant’Antonio da Padova quando la faccia ‘ngialluta si degnò di sciogliere il suo sangue nel 1799, sotto gli occhi dello scettico ma scaltro generale Macdonald, futuro maresciallo di Napoleone, nei giorni della Repubblica Napoletana (Croce, 2007). Così come falsa è la storia del “declassamento” di San Gennaro all’indomani del Concilio Vaticano II, che avrebbe condotto la Curia di Napoli a una vera e propria guerra contro Roma, sostenuta dai napoletani al grido di “San Gennà futtatenne!” (San Gennaro, fregatene!).
Lo slogan, efficace, era vero, ma in Vaticano si era semplicemente cercato di fare ordine tra i patroni di portata nazionale e quelli di portata locale; e San Gennaro, pur celebrato a Little Italy, in Russia e persino in Australia, non ha mai superato, in Italia, i confini della Campania (cfr. de Ceglia, 2016). Né i napoletani lo accetterebbero.
Lo dimostra la querelle che indignò la città nel 2016, quando l’allora Ministro degli Interni Angelino Alfano cercò di riformare la barocca Deputazione del Tesoro di San Gennaro, composta da ex aristocratici di fede borbonica, ponendola sotto il controllo della Curia e quindi di Roma. Si dovette fare marcia indietro, perché secondo la Deputazione il Tesoro è di proprietà dei soli napoletani, non della Chiesa.
In un periodo in cui, sotto la secessionista amministrazione del devoto Luigi De Magistris, Napoli ambisce a ritornare ai fasti di capitale in moto centrifugo da Roma, strizzando gli occhi ai neoborbonici, la risposta della Deputazione scatenò facili entusiasmi. Ma la verità è che l’entusiasmo popolare verso il santo del “miracolo” è tornato in auge solo in anni davvero recenti. Negli anni Settanta il sindaco comunista Maurizio Valenzi, molto amato dai napoletani perlomeno fino all’indomani del terremoto del 1980 (fu anche il più duraturo prima di Antonio Bassolino), la teca del sangue non la baciò mai, e nessuno se ne scandalizzava.
Nel 1969 il cardinale Corrado Ursi, arcivescovo di Napoli, bandì il culto delle “anime pezzentelle”, forse l’aspetto più caratteristico di quella grandiosa credenza di origine medioevale, poi sancita dal Concilio di Trento, che fu l’invenzione del Purgatorio (cfr. Le Goff, 2014).
Il culto di San Gennaro s’inscriveva in questa logica: si pregava il santo perché intercedesse presso i suoi “superiori” per qualche grazia, spesso legata alle anime dei propri cari defunti che si credeva (e sperava) bloccate nel Purgatorio in attesa che devozioni e intercessioni ne accelerassero l’ammissione in serie A.
La gente del popolo venerava le ossa dei morti anonimi di cui erano pieni (soprattutto in seguito a periodiche epidemie) gli ossari ricavati dalle cavità naturali, come il Cimitero delle Fontanelle, alla Sanità, non lontano dalle Catacombe paleocristiane dove le spoglie di San Gennaro trovarono la loro prima dimora in epoche antiche. Per decenni, dopo il decreto di Ursi e il fisiologico calo devozionale prodotto dalla secolarizzazione, le Fontanelle vennero pressoché dimenticate, per tornare in auge in anni recentissimi come tappa imperdibile di un nuovo Grand Tour.
Le stesse Catacombe di San Gennaro, rifugio antiaereo per migliaia di napoletani durante la Seconda guerra mondiale, furono chiuse per anni e oggetto di saccheggi e superfetazioni cementizie, per essere riaperte al pubblico soltanto nel 1969. Ma solo da pochi anni sono diventate, anch’esse, centro vitale di un turismo internazionale attratto soprattutto dalla ricerca del folklore locale.
Il primo ritratto del Santo martire risalente al V secolo. Si trova all’interno delle catacombe di San Gennaro.
Fede e scienza sulle barricate
Corrado Ursi e Aldo Caserta, che il cardinale aveva nominato prima ispettore alle Catacombe di San Gennaro e poi cappellano prelato del Tesoro del santo, si impegnarono tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta a regolamentare e normalizzare il culto di San Gennaro.
Nel 1965 Ursi aveva messo al bando le villane esternazioni delle “parenti” del santo durante la funzione che precede lo scioglimento del sangue. Il cardinale, “molto sensibile alle indicazioni del Concilio Vaticano II per quanto riguarda la religiosità popolare da armonizzare con le esigenze della liturgia”, trasformò la cerimonia in un evento dal “clima serio e raccolto” (Caserta, 2005).
Sono gli anni di Operazione San Gennaro di Dino Risi (1966), commedia all’italiana che dileggia con affetto la devozione locale.
Sono gli anni delle prime ricognizioni scientifiche, effettuate sulle ossa inumate nel Duomo e sulla pietra conservata nel santuario della Solfatara, a Pozzuoli, su cui il martire sarebbe stato decapitato. Dalla Curia si annunciava la costituzione di un centro di studi storico-scientifici sui fenomeni di sangue paranormali, per svolgere analisi comparative anche su altri presunti casi di scioglimento di sangue raccolto nei reliquari. Il risultato è l’analisi, per la verità piuttosto dubbia, svolta nel 1988 con spettroscopie un po’ antiquate dall’équipe di Pier Luigi Baima Bollone, medico legale dell’Università di Torino, che avrebbe confermato la presenza di tracce di sangue.
Ma nel 1991 il chimico Luigi Garlaschelli e il medico e neurologo Sergio Della Sala annunciarono con una lettera su Nature di aver replicato lo scioglimento del sangue attraverso una mistura chimica dotata di proprietà tissotropiche, ossia in grado di passare dallo stato solido a quello liquido attraverso scuotimento (Garlaschelli, Ramaccini e Della Sala, 1991).
I due scienziati, membri del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (poi sulla Pseudoscienza) da poco istituito per volontà di Piero Angela, e di cui essi avrebbero poi assunto ruoli direttivi (Della Sala ne è oggi presidente), considerarono il caso chiuso. La Pontificia Facoltà Teologica di Napoli rispose replicando, con lo scopo di smentirlo, l’esperimento di Garlaschelli. Ne nacque l’ennesimo scontro nella lunga storia dei contrasti tra scienza e fede, nonostante i tentativi della Curia negli anni precedenti di dimostrare una qualche conciliabilità tra le due componenti: Ursi e Caserta si guadavano bene dal parlare in quei tempi di “miracolo”, preferendo la più cauta definizione di “fatto prodigioso”.
Erano devoti, certo, ma non bigotti; la disputa sull’articolo di Nature spinse Caserta su posizioni più radicali, in successivi articoli in cui rendicontava di analisi che smentivano quella di Garlaschelli, al punto che il giornalista e studioso di folklore napoletano Maurizio Ponticello lo descrisse come “preso da una spericolata foga persecutoria, ponendosi su uno scranno inquisitorio da abito talare postridentino” (Ponticello, 2016), benché Caserta in quegli anni si fosse ritirato in una casa di riposo nel profondo hinterland napoletano.
Tutto si può chiedere a San Gennaro, anche di intercedere per la buona riuscita del furto del suo tesoro, come raccontò Dino Risi nel film Operazione San Gennaro (1966).
Il sangue fa 18
Iniziava così quel fenomeno di rintuzzamento (i napoletani direbbero “rizelamento”) della fede popolare, colpita nel vivo dallo scetticismo internazionale.
Archiviata la stagione post-conciliare per una Chiesa più progressista e razionalista sotto i colpi del pontificato conservatore di Giovanni Paolo II e del suo braccio destro Joseph Ratzinger, alla guida dell’ex Sant’Uffizio come difensore della vera fede, la prelatura locale tornò a rilanciare con forza il miracolo, tanto che il nuovo sindaco comunista Bassolino, a differenza del suo predecessore, si convinse a baciare la teca.
Negli ultimi anni l’entusiasmo popolare intorno al miracolo di San Gennaro è tornato ai massimi livelli, la funzione del 19 settembre attira migliaia di persone e anche i nuovi arcivescovi di Napoli non mancano di collegare possibili “ritardi” dello scioglimento a prospettive calamitose, per quanto Caserta invitasse a non considerare l’evento della liquefazione “foriero di bene o di male, di avvenimenti lieti o tristi, con accostamenti arbitrari, spesso soggettivi o fantasiosi” (Caserta, 2002). Ma intanto molti napoletani hanno anche ripreso a giocare al lotto il numero che nella Smorfia napoletana è collegato al sangue, il 18, nei giorni della liquefazione (che sono, ricordiamolo, oltre al 19 settembre anche il primo sabato di maggio e il 16 dicembre).
Il miracolo di San Gennaro è entrato così a far parte di quel “gran bazar dei riti e dei segni” che lo studioso di religioni contemporanee Olivier Roy ha analizzato nel 2008 nel suo libro La santa ignoranza (Roy, 2017). Un bazar reso possibile da religioni à la carte in cui la preferenza va puntualmente agli aspetti più miracolistici della fede, come le apparizioni di Medjugorje, gli esorcismi e le presunte capacità di glossolalia (il “dono” di parlare lingue esistenti ma ignote a chi le usa, che gli Apostoli avrebbero ricevuto dallo Spirito Santo nella Pentecoste). La glossolalia, in particolare, è uno degli elementi peculiari di quel fenomeno in clamorosa ascesa in tutta la cristianità rappresentato dal movimento carismatico-pentecostale definito anche “cristianesimo magico” (Marzano, 2009), caratterizzato altresì da “preghiere ossessive, svenimenti improvvisi (chiamati «riposi nello Spirito») e anche da rituali di liberazione dal demonio o di miracolose guarigioni fisiche”, nonché dalla lettura della Bibbia con intenti divinatori, sul modello dei tarocchi e dell’I Ching (Marzano, 2018).
Un movimento a cui papa Bergoglio strizza continuamente l’occhio, nella speranza di riconquistare posizioni rispetto al pentecostalismo evangelico che sta convertendo masse umane in Africa e America Latina a ritmi vertiginosi. In questa nuova battaglia (gli evangelici pentecostali stanno iniziando a dilagare anche in Campania, soprattutto tra gli immigrati), San Gennaro non può che tornare a essere, come in passato, il generalissimo dell’esercito della Santa Fede.
- Aldo Caserta, San Gennaro in un romanzo giallo, Ianuarius, vol. 82 n. 7-8, luglio-agosto 2001.
- Aldo Caserta, Dal XVI (1905) al XVII (2005) centenario del martirio di S. Gennaro: sintesi storica, Ianuarius, 2005.
- Francesco Paolo de Ceglia, Il segreto di san Gennaro, Einaudi, Torino, 2016.
- Luigi Garlaschelli, Franco Ramaccini, Sergio Della Sala, Working bloody miracles, Nature, vol. 353, 10 ottobre 1991.
- Marco Marzano, Cattolicesimo magico. Un’indagine etnografica, Bompiani, Milano, 2009.
- Marco Marzano, La chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata, Laterza, Bari-Roma, 2018.
- Maurizio Ponticello, Un giorno a Napoli con san Gennaro, Newton Compton, Roma, 2016.
- Olivier Roy, La santa ignoranza, Feltrinelli, Milano, 2017.
- Dino Risi, Operazione San Gennaro, Rai Cinema – 01 Distribution, 2011 (home video).