Tra il 1970 e il 1971, la ditta Nucleus fece gli straordinari. In due anni, Ian Carr e soci dettero alle stampe, sotto l’ombrello della Vertigo, ben tre album, Elastic Rock, il loro splendente debutto, We’ll Talk About It Later e Solar Plexus, partecipando, inoltre, alle registrazioni di due lavori collettivi che oggi, a ragione, sono considerati delle pietre angolari del jazz britannico ed europeo. Il primo è Septober Energy (1971) dei Centipede, doppio album prodotto da Robert Fripp con protagonista una big band di cinquanta elementi capitanata da Keith Tippett che raccoglieva la meglio gioventù jazzistica d’oltremanica di allora e proponeva una miscela di jazz e rock, pieni orchestrali e vuoti minimali, sperimentazione e melodia.
La seconda è Chitinous (1971) a firma del Chitinous Ensemble, altro grande organico diretto da Paul Buckmaster, violoncellista, compositore e arrangiatore britannico noto soprattutto per la collaborazione con Miles Davis per l’album On The Corner. Un ensemble fautore di una musica concettuale ricca di suggestioni che pescavano dalla musica classica e contemporanea con incursioni in territorio jazzistico.
Tutti lavori che, occorre dirlo con franchezza, passarono quasi inosservati dal grande pubblico e raccolsero critiche, nella maggioranza dei casi, non benevole. Tra questi, c’è il citato Solar Plexus, suite finanziata da una borsa di studio dall’Arts Council con Carr nella versione inedita di compositore leader, ruolo che nei lavori precedenti aveva lasciato al collega Karl Jenkins che si era preso anche l’onere e l’onore di firmare i brani più rappresentativi e iconici della band, da Elastic Rock a Song for the Bearded Lady.
Se, infatti, nei primi due album Carr era più che altro concentrato nella ricerca di una sintesi felice tra istanze jazzistiche e pattern ritmici di matrice rock e funk, in Solar Plexus il trombettista d’origine scozzese decide di fare tesoro delle esperienze maturate sino ad allora, creando una partitura che si basa fondamentalmente su due temi, il primo angolare con un andamento altalenante e il secondo diatonico: temi che s’intrecciano tra loro e che vengono enunciati all’inizio della suite nell’intro al VCS3 da Keith Winter, tastierista già con la New Jazz Orchestra di Neil Ardley.
Il risultato è una musica che si discosta in parte dal canone jazz rock che aveva contraddistinto i primi due lavori dei Nucleus per aprirsi ai nuovi orizzonti: dalla musica elettronica a quella contemporanea. Tanto che in Solar Plexus sono evidenti anche schegge di sperimentalismo e di avanguardia assimilate da Carr e soci durante le registrazioni di Septober Energy e di Chitinous. Questa lunga premessa è necessaria per introdurre una delle nuove scoperte di Jazz in Britain, etichetta specializzata nel riportare alla luce session e concerti inediti dell’era d’oro del British Jazz (tra gli ultimi ritrovamenti, un concerto del Ray Russell Sextet del 1970 e i nastri preparatori di Tanglewood 63 di Michael Gibbs).
In questo caso, il “tesoro” (disponibile sia nel formato mini Lp sia cd) è rappresentato dalla première assoluta di Solar Plexus registrata dal vivo in studio il 24 ottobre del 1970 e trasmessa alla radio dalla BBC la sera del 27 ottobre. Sebbene la suite, che verrà pubblicata ufficialmente l’anno successivo dalla Vertigo, sia proposta da un “doppio quintetto” (in realtà un ensemble di dieci elementi) in una versione non definitiva con passaggi ancora acerbi e da mettere a punto, le sue architetture sonore brillano, come corpi celesti, di luce propria. Anzi, la patina di “immaturità” le rende forse ancora più interessanti. L’unico brano che manca all’appello e che probabilmente al momento della registrazione radiofonica era ancora in fase di gestazione è Changing Times; per il resto la scaletta della session ricalca quella del disco. In Solar Plexus, Carr è bravo nell’incorporare in una dimensione “sinfonica”, da musica colta, i tratti salienti del suo alfabeto: dall’omaggio ai padri del jazz, con lo swing elastico di Snakehips’ Dream, all’impressionismo in chiave rock di Bedrock Deadlock. E, come un autentico leader, dà grande spazio ai solisti che partecipano alla session.
A brillare due nomi su tutti: Harry Beckett, protagonista di uno splendido solo al flicorno nella parte finale di Spirit Level, e Brian Smith, indiavolato al soprano nel vorticoso uptempo di Torso. Due anni più tardi, nel 1973, Carr tenterà un’operazione simile con Labyrinth, suite anch’essa finanziata dall’Arts Council con il nostro affiancato sempre da una formazione allargata dei Nucleus con Norma Winstone, Kenny Wheeler e Tony Levin: un lavoro forse un po’ troppo pretenzioso e dotato di una potenza comunicativa inferiore a quella di Solar Plexus. Da non dimenticare, infine, che Solar Session rappresenta l’ultima occasione per ascoltare i membri originali dei Nucleus in azione. Nel giro di tre mesi e dopo la registrazione dell’album (Solar Plexus viene inciso a Londra il 14 e il 15 dicembre 1970) il gruppo si sfalderà. Della compagine fondatrice resterà solo il fido Brian Smith. E per Carr si aprirà una nuova stagione.
- Ian Carr with Nucleus – Solar Plexus, in Torrid Zone (The Vertigo recordings, 1970 – 1975), Esoteric/Cherry Red, 2019.
- Centipede, Septober Energy, RCA Japan, 2019.
- The Chitinous Ensemble, Chitinous, Vocalion, 2005.