Cosa fareste se aveste tredici anni, una bicicletta e un’incredibile voglia di fuggire?
Dove fuggireste e da cosa fuggireste?
Billy Hoopdriver sa rispondere a queste domande. Billy Hoopdriver, il protagonista del nuovo romanzo per ragazzi di Pierdomenico Baccalario, si mette in sella alla sua Azzurra e fugge da un padre che crede di odiare e fugge verso la casa di riposo dove l’attende il nonno, personaggio ai limiti del mitico e del mitopoietico. Nel mentre, tutt’intorno, infuria una pandemia che ha messo, sta mettendo e metterà in ginocchio l’economia e il tessuto sociale del mondo intero. Di fronte ha duecento miglia da percorrere, insieme a lui viaggiano capitoli di storia fondamentali della musica rock.
Tuttavia, per citare uno dei monologhi cult del cinema italiano anni Novanta, Radiofreccia:
“Credo che c’ho un buco grosso dentro, ma anche che, il rock n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx”
(Ligabue, 2018).
Tutto questo il giovane Billy lo sa come non lo sa. Più che altro lo avverte, lo sente nelle gambe che spingono sui pedali, nella sua fame di crescere e nei suoi elenchi infiniti che paiono nascondere qualche forma di leggero autismo, lo percepisce nella volontà di perdersi nelle storie e nelle leggende con cui suo nonno ha infarcito la sua infanzia, costellando il soffitto della sua cameretta con stelle così brillanti da bruciarsi, a volte, troppo in fretta: le stelle del rock. Eppure Billy non lo comprende ancora appieno: sfiora il sesso (la figura di Annabelle, caratterizzata dal suo amore per i fiori, è candida come una margherita e sanguigna come una rosa), la morte, la paura, il dolore, il sangue, il fango, insomma la vita. Billy scappa dall’infanzia e compie un vero e proprio rito di iniziazione attraverso lo spazio e il tempo e questo “gli permetterà di vivere esperienze inedite e distante a pochi, di affermare la propria capacità di sopravvivenza e d’imporsi sulle avversità, in altre parole di diventare grande” (Galli Laforest, 2020).
La campagna inglese, i suoi paesaggi e i suoi personaggi sono sentieri da percorrere affinché Billy, nel bene e nel male, si possa allontanare da tutto per ritrovarsi e per capire che non si scappa da sé stessi, nemmeno se si è Eddie Merckx.
“Adesso era mio.
Ci avevo scaricato sopra tutti i pezzi che potevo.
Mi infilai gli auricolari, senza accenderlo ancora. Slacciai la catena, aprii piano la porta di casa, spinsi Azzurra e uscii con lei, fuori, nel buio”.
Il libro è un romanzo di formazione che balla sulle note nostalgiche di una musica che non appartiene alla generazione di Billy, ma che l’autore spera in tutti in modi di riuscire a trasmettere ai giovani lettori. E sebbene qualche volta si storce il naso per la volontà quasi paternalistica di mettere in luce una visione nostalgica del buon rock, non si può non apprezzare le perle che il nonno/Baccalario regala su alcuni personaggi che il buon rock l’hanno fatto per davvero. Tuttavia, sono regali che possono gustarsi lettori “adulti” o coloro che già masticano (grazie ai genitori o a una loro coscienza musicale) questo genere, altrimenti, dispiace dirlo, a un ragazzino di tredici anni il nome di Robert Fripp o di Brian Jones farà lo stesso effetto di Wolfgang Amadeus Mozart o Ludwig van Beethoven, con la differenza che gli ultimi due li ha studiati a scuola. Pertanto, si ha davvero voglia di essere etichettati come “boomer” e se sì, a che pro?
La musica è rottura: rompe le pareti, rompe le convenzioni, rompe le orecchie, rompe le emozioni, rompe le scatole. La musica è di qualcuno appena poco prima di darle un nome, poi scivola via con le emozioni, pompa energia per pedalare lontani da tutto, scuote in un pigro martedì pomeriggio e getta a capofitto in cassetti di memoria di cui si dava perduta la chiave. La musica “ha onde come il mare/ti fa andare e poi tornare” (Luca Carboni, 2006), ma la musica è anche altro (“Metti un po’ di musica leggera/perché ho voglia di niente” cantano Colapesce e Dimartino, 2021), la musica è quello che si sente sulla pelle e sulle orecchie e ognuno è libero di sentire quello che vuole, nonostante venga in mente la massima di George Orwell in La fattoria degli animali, che adattata suona così: “Tutta la musica è uguale, ma alcuni generi sono più uguali degli altri”.
Alcune delle illustrazioni realizzate da Chiara Irene Conte per Hoopdriver.
Pierdomenico Baccalario, forte della sua lunga esperienza nella letteratura per ragazzi, decide di mettersi in cattedra e, rischiando di farsi dare del sopracitato boomer, dispensa storia della musica; e lo fa con coscienza e anche un pizzico di arroganza, quella che contraddistingue chi crede che il passato sia sempre migliore del presente ed è afflitto dalla sindrome di Gil Pender, il protagonista di Midnight in Paris, il film di Woody Allen del 2011. Lo fa come chi ne sa più dell’ascoltare e che è pronto a consigliare con pazienza e sapienza: in un momento effimero e pesante allo stesso tempo, dove una hit ha la vita di un moscerino da frutta; dove la fagocitazione e la bulimia musicale a cui ci ha viziato Spotify ci rende onnipotenti; dove l’esagerazione è di casa e il ribelle ha migliaia se non milioni di follower su Instagram o TikTok, ecco, Baccalario ricorda che i veri ribelli avevano chitarre elettriche, facevano riff da capogiro e vivevano vite spericolate, vite come quelle dei film, vite come quelle di Steve McQueen. Billy pare essere il figlio che i nostalgici del rock vorrebbero, colui che ascolta in cuffia i vecchi vinili, che sbobina le vecchie cassette, che riordina i cd, un Rob Fleming di Alta Fedeltà (ovvero il romanzo High Fidelity di Nick Hornby, 1995) di tredici anni, insomma, una creatura mitica anacronistica e fantastica. Ma sarebbe possibile? Può darsi, anzi, quasi sicuramente: da qualche parte una ragazzina picchia sulla batteria con l’energia di Michael Shrieve, o un bambino canta con l’intensità emotiva di Patti Smith o con la carica di Bruce Springsteen. La musica è espressione di sé stessi, veicolo di parole per esprimere disagi, angosce, paure e desideri e se qualcuno si ritrova nelle parole di Paul Simon e qualcun altro in quelle di Ketama126 è solo una questione di gusti.
Billy Hoopdriver con il suo fuggire e superando il confine che separa la sua esistenza da ragazzino con la sua bicicletta usa la musica per veicolare le sue emozioni. Catalizza i suoi pensieri sul padre che non ha il coraggio di cambiare, sul nonno che forse non vedrà più e che forse l’ha infarcito di bugie, sulla bella Annabelle, sul gentile signor Richmal e sul fosco poliziotto Mike. Alla ricerca di sé stesso e di una sua identità Billy sarà costretto a modellarla e plasmarla, a renderla invisibile per poter sopravvivere all’avventura.
“Ero invisibile come papà, come il nonno, che aveva pubblicato un LP invisibile, come avrebbe voluto essere Lukas, quando aveva detto che tifava per l’Everton. Come il parrucchiere invisibile che aveva tagliato i capelli di Annabelle Nash, e che ora, sempre invisibile, li accarezzava in cerca del loro potere perduto. Invisibile come il ladro che nella casa delle rose aveva rubato ai morti anche il cane da guardia. Come il nipote inesistente del signor Richmal.
Come mia madre.
La mia vita era un baraccone dell’invisibilità.
Ma nessuno ci fermò.
Nessuno osò guardarci”.
Ma è grazie a un fascicolo fotografico del Guardian, regalato dal signor Richmal, che Billy comincia a dare un nome alle cose che lo circondano, e il primo passo per cominciare a capirle veramente è chiamarle con il loro nome. Ecco, allora, che l’invisibilità di Billy non è più assenza di personalità, ma fusione in una Natura ricca e viva, più ricca e viva di qualsiasi altra cosa che in quel momento possa esistere. Quando la società e le persone, si ritrovano relegate in casa, il giovane protagonista comincia a capire che non ha più bisogno di avere sempre lo shuffle attivo per interpretare il mondo, ma il mondo intorno, con i suoi fiori e i suoi animali, può prestare la sua musica per capire cosa vuol dire crescere.
“Più tempo passavo a guardare quelle cose, e più mi sembrava di essere nella foresta di Brecon Beacons da sempre, e che io e Shackleton fossimo gli unici esseri viventi rimasti al mondo, anche se stavamo seguendo il sentiero delle quattro cascate che ogni domenica doveva essere percorso da decine di famigliole felici.
Ma non era domenica.
E il mondo non era più quello di prima.
Era una sensazione potente. Una comunione che non avevo mai provato prima”.
La conclusione del libro non ha importanza, l’incontro con il nonno può o non può avvenire, poco cambia, oramai Billy è maturato e il mondo non è più quello di prima. In questo romanzo di formazione contemporaneo, in cui “diventare grandi non significa entrare nel mondo dei padri, ma immancabilmente scapparne” (Galli Laforest, 2020), si ritrova il piacere di veder crescere il protagonista e di vederlo interpretare quello che gli capita grazie al linguaggio della musica e dei suoi personaggi. Soprattutto, in questo romanzo per ragazzi, si assapora il gusto della Musica e della sua ambivalenza e del suo potere, capace di parlare di tutto e di niente e di vivere nel passato e nel futuro.
“Music was my first love,
And it’ll be my last
Music of the future
And music of the past”.
(Miles, 2018).
- Luca Carboni, Malinconia, in …le band si sciolgono, RCA, 2006.
- Colapesce, Dimartino, Musica leggerissima, in I mortali₂, 42records, 2021.
- John Miles, Music was my first love, in Rebel, Elemental, 2018.
- Nicola Galli Laforest, Sulla fine dell’infanzia, in In cerca di guai. Studiare la letteratura per l’infanzia, Edizioni Junior, Parma 2020.
- Luciano Ligabue, Radiofreccia, CG entertainment, 2018 (home video).