Li avevamo lasciati a bordo del velivolo spaziale Milano, con un piccolo Groot rinato da un rametto, al termine di peripezie da mozzare il fiato. Ora sono tornati: i Guardiani della galassia, sgangheratissima e micidiale banda di avventurieri, made in Marvel e trasposti al cinema da James Gunn. Non deludono, anzi sono ancora più convincenti che nel primo episodio e offrono non pochi motivi di riflessione.
In una delle scene post-credits di Guardiani della Galassia Vol. 2 ritroviamo Groot (in una versione cresciuta rispetto all’adorabile Baby Groot) chiuso nella sua cameretta tra musica e gingilli tecnologici. Teenage Groot si è creato la sua egosfera ad alta tecnologia, comfort zone in cui l’adolescenza può avvilupparsi tra consumi culturali disordinati e radici rampicanti che conquistano ogni angolo della stanza e coprono le pareti. Quando Peter Quill entra nella cameretta non sembra contento di quello che vede e scatta la reprimenda. Teenage Groot, senza staccare gli occhi dal suo device, risponde sprezzante al padre adottivo: “Io sono Groot”. L’albero antropomorfo dimostra che anche la famiglia apparentemente atipica dei filibustieri galattici non sfugge allo stereotipo del figlio adolescente con tutti i problemi di comunicazione correlati. Più in generale su tutto il film si staglia l’ombra del villain Ego il Pianeta Vivente (padre biologico di Quill e quindi in qualche modo nonno di Teenage Groot) che ricorda a tutti i pericoli della solitudine e del desiderio di abitare un universo creato (o ri-creato) a propria immagine e somiglianza senza alcun contraddittorio.
L’egosfera hi-tech è una prigione o uno spazio di meditazione?
Tecnologie e adolescenti: cocktail esplosivo ma tematica interessante per la tradizionale vocazione pedagogica di casa Disney. L’audiocassetta consumata da Quill mette in risalto il supporto fisico che, insieme ai vinili, alle copertine e ai booklet, ha dato una consistenza materiale alla musica del Novecento e agli incroci tra memoria individuale, immaginario generazionale e mass-media. L’audiocassetta in particolare segna una fase molto importante dell’evoluzione mediologica perché come nota Peter Manuel (1993) è il formato che, a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, ha aperto l’era del walkman. Nascono i consumi culturali in mobilità. I tasti del lettore di audiocassette portatile introducono un’inedita possibilità di controllare il proprio ambiente uditivo senza rinunciare ad essere parte della vita pubblica. Il walkman e la formazione della playlist possono catalizzare uno spazio-tempo che può essere alternativamente di contemplazione passiva o di rielaborazione strategica della realtà. Se da una parte l’egosfera hi-tech rischia di coincidere con un mondo di informazione e intrattenimento che riflette l’individuo senza provocazioni intellettuali o confronti dialettici (Pariser, 2012), dall’altra potrebbe astrarre l’individuo da contesti sociali stagnanti aprendo a nuove possibilità di apprendimento e autocoscienza.
Tra i media che concorrono al consolidamento della bolla individuale la musica è quello che più si carica di connotazioni positive e di qualità sociali. Ma nei rapporti quotidiani tra vita e tecnologia non c’è solo la musica. Guardiani della Galassia Vol. 2 allarga la riflessione sulle bolle auto-gestite della percezione e della conoscenza, passando in rassegna (sempre in forma di gag) le interpretazioni dei vari personaggi. In una esilarante sequenza il procione Rocket, per raggiungere velocemente gli amici, si fa prendere la mano scatenando l’astronave in una propulsione talmente violenta da alterare i corpi dei viaggiatori che cominciano a trasformarsi in CGI talmente ridicole da far pensare a un incrocio tra montagne russe e specchi deformanti. Torsioni lisergiche che mimano la moderna fascinazione (non solo dei giovani) per le audiovisioni immersive.
Tecnologia ed educazione civica
A tal proposito è interessante la recente collaborazione tra RealD (leader mondiale nel campo della proiezione di audiovisione tridimensionale) e la onlus italiana Pepita. Da notare che RealD è impegnata in ricerca e sviluppo per portare la stereoscopia anche in contesti come home-video e device mobili, rendendo ancora più importante il tema dei giovanissimi alle prese con le narrazioni immersive. Pepita Onlus è una cooperativa sociale attiva da anni in scuole e associazioni giovanili con progetti volti a sensibilizzare sul fenomeno del bullismo e su altre forme di sfogo del disagio adolescenziale. L’idea di fondo è contrastare quel controproducente sentire comune che addita le telecomunicazioni e lo svago digitale come concause o amplificatori del disagio giovanile. Nell’ottica di smontare questo depistaggio sono preziose le operazioni culturali volte all’incoraggiamento di visioni in gruppo. Quello che abitualmente fanno i giovani sui network in modalità social tv ritaglia in questi momenti di incontro fisico al cinema un’occasione più strutturata di confronto.
Progetti come quello promosso da Pepita Onlus, mettendo in evidenza i legami tra impatto emotivo e forme di visualizzazione immersiva come la stereoscopia, costituiscono un prezioso stimolo per i giovani che imparano a verbalizzare le proprie competenze spettatoriali. Guardiani della Galassia Vol. 2 si presta particolarmente a questo gioco di montaggio e smontaggio mediologico perché prende alcuni momenti del fumetto e li rilancia provando a dare un senso alle potenzialità espressive del 3D, non sempre sfruttate al meglio dal cinema contemporaneo. Da citare, ad esempio, il volo di Drax nelle fauci del gigante tentacolare, proprio in apertura. La sequenza ricorda una tavola a fumetti tratta dalla saga Annihilation (2006) in cui il gigante muscoloso è ripreso di spalle mentre si lancia contro una moltitudine di mostri armato solo di un coltello. Proprio giocando con i piani della visione, collegando primo piano e sfondo, un uso narrativamente consapevole della stereoscopia può costituire un ponte espressivo tra l’audiovisione tradizionale e la realtà virtuale. L’egosfera tecnologica può arrivare a coincidere con una realtà digitale che “non è tanto la navigazione nel cyberspazio delle reti” quanto “l’amplificazione dello spessore ottico delle apparenze del mondo reale” (Virilio, 2000).
Nella folgorante scena di combattimento che accompagna i titoli di testa, il combattimento contro il mostro tentacolare è tutto giocato su un uso geniale del fuoricampo e della prospettiva. In primo piano Baby Groot cerca di collegare un amplificatore al walkman di Quill per consentire ai Guardiani di ascoltare della buona musica ad un volume conveniente. Nel frattempo sullo sfondo e ai lati del frame infuria la battaglia contro i mastodontici tentacoli che sembrano imbattibili. Insomma questi corpi deformati e lanciati a velocità folli nelle imprese più assurde coltivano un gioco basato sulla mancanza dei freni della dimensione corporea, definendo identità sfuggenti e spesso basate sulla manipolazione digitale.
Diversità e autonarrazione
I Guardiani stanno insieme perché si riconoscono come “freaks”, ovvero detriti sociali, ciascuno con la sua back story di emarginazione e solitudine. I legami quasi familistici che si formano ricordano quelli descritti dal film Freaks diretto da Tod Browning nel 1932. I deformi e gli emarginati, si afferma nel film, “si riconoscono in un codice che nessuno ha mai scritto. Offendetene uno, e si sentiranno offesi tutti quanti”. Combattono l’arroganza e la volontà di potenza di esseri come Ego il Pianeta Vivente, che chiama “l’espansione” il suo progetto di trasmutazione di tutta la materia dell’Universo. Una volta piantato il seme di Ego, un pianeta è destinato a diventare un’entità vivente collegata allo stesso Ego, affogando letteralmente tutte le forme di vita organiche e la diversità biologica in una gelatina oscura. È l’estrema moltiplicazione della propria immagine, pretesto per ironizzare sul concetto di visibilità intesa come emersione dall’anonimato pur senza distaccarsene del tutto. È insito nella tradizione del fumetto Marvel la drammatizzazione di un desiderio e di una volontà di potenza che può anche non appartenere ad un corpo umano o superumano: anche le macchine e le entità sovrannaturali desiderano e provano ansie.
Il selfie, il profilo social, il brand personale sono forme attraverso le quali l’individuo sceglie di presentarsi al mondo. Apparenze ritagliate quasi sempre per rispondere ad una domanda (reale o presunta) di informazioni proveniente da un gruppo di cui l’individuo vorrebbe essere parte (cfr. Turkle, 2011). Ma, in molti casi, la stessa fase di costruzione del sé digitale implica l’acquisizione di nuove competenze che possono a loro volta influenzare i lavori modificando il network di relazioni dell’individuo. Questa costruzione del sé socialmente condivisa tende quindi a far coincidere il biglietto da visita con la rete sociale al quale il biglietto sarebbe destinato: entrambi artefatti sottoposti al rischio di essere invischiati in una egosfera vischiosa, poco dinamica e chiusa al contraddittorio. Solo la freakness intesa come consapevole accettazione della diversità fisica e morale può salvare dalla sterilità e dalla stagnazione dell’autoreferenzialità.
Il cinema di James Gunn guarda alla semplicità tecnico-scientifica delle origini passando in rassegna espressioni facciali, difetti fisici, handicap sociali, ostentandoli come nelle comiche di Charlie Chaplin o Mack Sennett. A praticare questa delicata disciplina di raccontarsi ridendo di sé sono chiamati tutti: l’adolescente Groot con i suoi videogiochi, Peter Quill con il suo walkman, Ego il Pianeta Vivente con la sua prodigiosa capacità di disseminare sé stesso nel cosmo e moltiplicarsi all’infinito.
- A.A. V.V., Annihilation, Panini Comics, Modena, 2006.
- Peter Manuel, Cassette Culture, University of Chicago Press, Chicago, 1993.
- Eli Pariser, Il filtro. Quello che internet ci nasconde, Il Saggiatore, Milano, 2012.
- Sherry Turkle, Insieme ma soli, Codice, Torino, 2011.
- Paul Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
- Tod Browning, Freaks, Dynit Ermitage 2015 (home video).