Abbiamo letto, visto ascoltato, magari riascoltato, rivisto, riletto; ci siamo confrontati, abbiamo selezionato, ripensato, aggiunto, escluso nuovamente e alla fine ne è saltata fuori la lista da conservare.
Che cos’è? Una non classifica, nessuna top 10 o top 100, senza alcuna divisione interna: i libri sono insieme ai film ed entrambi in compagnia di fumetti, serie tv e dischi.
Perché? Non c’è un motivo, almeno non ce n’è uno davvero sostenibile, ma anche le classifiche tradizionali soffrono della medesima debolezza e così la lista delle cose che più ci sono piaciute è venuta fuori in questo modo. Le scelte però sono ben motivate, come si può leggere.
Insieme a noi, queste note sono state redatte da alcuni dei nostri collaboratori: Claudio Bonomi, Roberto Cappai, Emiliano Chirchiano, Giovanni De Matteo, Francesca Fichera, Daniele Gambetta, Marco Meloni, Livio Santoro, Mario Tirino, Fausto Vernazzani, Simone Vittorini.
:: Entanglement di Vandana Singh (Future Fiction)
Scenario cli-fi in questa novella inclusa nell’ormai epocale antologia Hieroglyph: Stories and Visions for a Better Future, a cura di Neal Stephenson. Cinque storie s’intrecciano intorno agli effetti del cambiamento climatico: donne in lotta per salvare la Terra e lasciare un’eredità meno ingombrante ai loro nipoti; e ragazzi che hanno sperimentato sulla loro pelle il peso del dolore, abbastanza da capire che dopotutto al mondo “tutto è connesso”. Uno di loro troverà nelle equazioni della solitudine e dell’empatia la chiave segreta per approntare un’innovazione tecnologica in grado di mostrare a tutti ciò che “le popolazioni indigene del mondo sapevano bene”. Dopodiché, niente sarà più come prima, nemmeno per il lettore.
:: Nottuario di Thomas Ligotti (Il Saggiatore)
Un campionario di storie senza tempo, che delineano la geografia spettrale di un mondo che ha ormai dimenticato l’Apocalisse. I racconti di Ligotti si addentrano nelle spire della follia ben oltre i confini dell’incubo, animati da una coscienza malevola proprio come le ombre che dai confini del crepuscolo e dell’autunno scivolano intorno ai personaggi. E pagina dopo pagina s’incollano addosso al lettore, aderiscono alla sua mente, giocando con la sua memoria in una proliferazione di echi che costruiscono una vera e propria trappola psichica per le sue riflessioni.
:: Ghirlanda di Jerry Kramsky, Lorenzo Mattotti (Logos)
Tra improvvisazione musicale e opera teatrale, Ghirlanda è una graphic novel che si ispira alle grandi narrazioni declinandole senza seriosità e con grande delicatezza. C’è dentro tutto: il viaggio di Ippolito è quello di Ulisse, i ghir incattiviti dal miele amaro (d’odio) sono i bambini del Signore delle Mosche, i mostri che abitano i dintorni di Ghirlanda sono quelli di Miyazaki, la famiglia esule che fugge su una zattera sono i migranti che lasciano la loro terra natia divenuta ostile.
:: Arcangelo di William Gibson (Magic Press)
L’esordio di William Gibson nel fumetto. Ideata con Michael St. John Smith come concept per una serie televisiva tedesca poi abortita, ha visto la luce grazie alle ispirate tavole di Butch Guice, coadiuvato da Tom Palmer alle chine e Diego Rodriguez ai colori. La storia mescola spy story e cospirazione politica, saltando dalla distopia post-apocalittica al viaggio nel tempo. Un Gibson ancora una volta nel solco di Robert A. Heinlein come già nel suo ultimo romanzo (Inverso, appena uscito per i tipi di Mondadori) e forse più che mai ispirato anche da Philip K. Dick (La svastica sul sole), ma in gran spolvero.
:: L’imperio dei segni di Sergio Brancato (Edizioni d’if)
Il fumetto ha avuto un’importanza cruciale, al pari del cinema, nell’evoluzione del sistema dei media novecentesco. Sergio Brancato ci racconta in questo libro – per metà saggio e per metà dialogo con l’eclettico maestro dell’arte a fumetti Igort (Igor Tuveri) – le indispensabili mutazioni che il medium ha subito per riconfigurarsi e continuare a raccontare “lo spirito del tempo”.
:: Out of the Box di Willem Breuker Kollektief (BV Haast)
È una spettacolare antologia con degli inediti, o una stupefacente raccolta di inediti completata da brani già pubblicati? Qualsiasi sia la risposta, questa scatola di ben undici cd è un condensato della musica pirotecnica di Breuker e del suo Kollektief, realizzata nell’arco di quarantacinque anni. Composizioni per il cinema e per il teatro, ma soprattutto da portare in giro per le piazze e i teatri, in giro ovunque. Una miscellanea di jazz e musiche da circo e da sagre paesane, un girotondo di polka, tanghi, musica da camera e sinfonica e che più ne ha più ne metta. Sempre in perfetto equilibrio tra composizione e improvvisazione.
:: Black Monday di Jonathan Hickman, Tomm Coker (Mondadori)
Esoterismo e noir si fondono in Black Monday, thriller ambientato nei salotti dell’alta finanza newyorkese, il cui primo volume arriva in Italia grazie alla neonata etichetta Mondadori Oscar Ink. Sceneggiato da Jonathan Hickman, il graphic novel si dipana nelle tavole iperdettagliate di un Tomm Coker in stato di grazia, esaltate dai colori di Michael Garland. Una storia avvincente, che non risparmia momenti cruenti e brividi al lettore, lo sommerge di informazioni in un gioco postmoderno che dissolve i confini tra realtà storica e finzione, e lo lascia in crisi di astinenza in attesa dei futuri sviluppi.
:: Tredici (prima stagione)
Per alcuni, Tredici è una semplice esasperazione delle vicissitudini degli adolescenti. Un modo di raccontare in maniera troppo negativa un universo che non si comprende. Per queste persone, chiaramente, deve essere avvenuta una progressiva dimenticanza della loro vita da quindicenni: meccanismi di accettazione, violenza, emarginazione. Hannah Baker è in ognuno di noi. Non avremo subito tutto ciò che ha subito lei, non saremo stati così sfortunati, ma tutti a un certo punto ci siamo sentiti persi, inascoltati, svuotati dalla superficialità e violenza degli altri. Tredici è un piccolo capolavoro dei vinti, della crudele adolescenza che ci circonda.
:: Stranger Things (seconda stagione)
Dopo il successo indiscusso dell’esordio, Stranger Things con questa seconda stagione non delude affatto, seppur in certi passaggi suona di “già visto”, vuoi anche per il fatto che il setting degli eventi non è una metropoli, e a scendere in campo sono gli stessi personaggi. L’intreccio è buono e riesce a popolare la fittizia cittadina di Hawkins di nuove emozionanti avventure, dove a farla da padrone sono l’immaginazione e la capacità narrativa dei giovanissimi protagonisti, con una sempre più incredibile Eleven (Millie Brown), capace di conquistare lo schermo ad ogni sua apparizione.
:: Twin Peaks – Il ritorno (terza stagione)
Con straordinaria saggezza metafilmica David Lynch rilegge le ultime tre decadi cine-televisive controllando con precisione sia il gesto parodistico che la critica mediologica. Ma non basta criticare: in splendida solitudine, Twin Peaks si assume il compito di far sopravvivere il perturbante nell’audiovisione contemporanea. Come se un tizio rimasticasse i nostri sogni (o incubi) subito dopo aver visto Ai confini della realtà per poi esporre il risultato in una galleria d’arte.
:: Punisher (prima stagione)
Netflix ha prodotto uno spin-off su uno dei personaggi più controversi, violenti e mentalmente instabili del mondo Marvel: Frank Castle, un reduce da una guerra che in realtà non è mai finita e mai finirà, un soldato sconfitto nella battaglia della vita. Punisher si dimostra più che una serie macho e sanguinolenta, una produzione televisiva che riflette sull’America (im)potente e sui suoi pilastri dispensatori di libertà e democrazia: i suoi reduci, uomini e donne dimenticati, e le sue armi, spada di Damocle che divide opinione pubblica e politica.
:: Mindhunter (prima stagione)
Una serie in cui non succede niente: non si vede una scena concitata, un inseguimento, una sparatoria. Tuttavia, toglie il fiato. David Fincher (esperto di psicologie labili: Fight Club, Seven, Zodiac) prende il trito da ragù che è diventato il filone dei serial killer e dell’FBI e ne fa un piatto prelibato. Per vedere Mindhunter bisogna essere consapevoli di stare per guardare nell’abisso. Si è addirittura portati a provare compassione per queste storie malate poiché, alla fine, si presentano sempre come una catena del dolore e che trasformano uomini della porta accanto in mostri della cantina buia.
:: The Handmaid’s Tale (prima stagione)
La donna fra presente, futuro e storia: è lei il perno attorno cui ruota la nuova galassia delle narrazioni postseriali, fra le cui stelle non può che brillare The Handmaid’s Tale. Forte di un coro di interpreti femminili magistralmente dirette e fotografate, la cruda e avvincente versione televisiva del distopico Racconto dell’ancella (1985) di Margaret Atwood ottiene e porta in alto il titolo di Best Drama 2017 agli Emmy Awards.
:: Civiltà perduta di James Gray
La Civiltà perduta di James Gray cavalca l’ossessione romantica dell’Ottocento con una messa in scena degna del cinema anni Settanta sotto cui nacquero Apocalypse Now e Fitzcarraldo. Un’atmosfera carica della passione dell’esploratore Percy Fawcett e dell’umidità della giungla amazzonica. Cinema in cui immergersi per la bellezza narrativa, culminante nelle immagini da sogno che ripercorrono l’ideale romantico della scoperta, in questo caso la perduta città di Z cercata fino alla morte da Fawcett.
:: GLOW (prima stagione)
Anni Ottanta, Ruth Wilder è un’aspirante attrice che, assieme ad altre straordinarie, quanto pazze, quanto eccentriche, quanto disperate donne, si trova a recitare nel grande sport-finzione del Wrestling americano. Vite che si intrecciano sopra il quadrante, dando agli uomini quello che vogliono: violenza e tette incorniciate da pregiudizi razziali e misogini. Le GLOW (“Gorgeous Ladies of Wrestling”) si riaffermano come protagoniste della loro vita ingannando l’homo sapiens, perché in realtà sono donne fragili e intelligenti che decidono di trovare un posto del mondo facendo quello che sono abituate a fare: lottare.
:: Alias Grace (prima stagione)
Da quel lato dell’opera di Margaret Atwood che guarda al presente utilizzando il passato emerge l’elegante dramma in costume di Alias Grace, storia di una sguattera accusata dell’assassinio dei suoi padroni. Nella riscrittura televisiva in sei episodi firmata da Mary Harron si dipana il suo folgorante mistero dai risvolti dark, perfetto miscuglio di introspezione e denuncia sociale che gli occhi dell’attrice protagonista Sarah Gadon contribuiscono a rendere magnetico.
:: Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone
Sorta di reinterpretazione moderna dell’omonima fiaba di Giambattista Basile e dell’opera musicale che ne trasse Roberto De Simone, il cartoon napoletano conquista lo sguardo grazie a un design digitale ad alto tasso di coinvolgimento emotivo. Si narrano con ritmo incalzante le vicende dolorose di Mia, piccola orfana dell’armatore Vittorio Basile, ucciso dall’amante (il boss Salvatore Lo Giusto detto O’ Re) della donna che stava per sposare. Una scommessa quella di Rak&co. (fare un film d’animazione quasi completamente realizzato a Napoli) che può dirsi pienamente vinta.
:: Star Wars: Gli ultimi Jedi di Rian Johnson
Star Wars sorprende ancora: nonostante la pesantezza del fandom e i rischi di gag che potrebbero stare in Balle Spaziali, si autocelebra con lealtà, ricordandoci i tanti modi in cui ha fertilizzato l’immaginario postmoderno, parodie comprese. E-learning impegnativo la telepresenza Jedi: sospensioni surreali e sguardi lanciati fuori campo a connettere attraverso l’iperspazio. L’insistenza sulla comunicazione remota e incorporea sposta il canone verso teatri olografici, immersività videoludica, cultura della simulazione.
:: The Circle di James Ponsoldt
Quanto è bello essere trasparenti? Dire, far conoscere, esporre ogni aspetto della nostra vita? Mae, la nuova promessa della società The Circle, è convinta che mettere la sua vita nelle mani del pubblico la renda sicura, potente, amata. In realtà più la sua vita si espone, più le persone a lei care si allontanano, incapaci di sopportarne il peso. Scoprirà a sue spese la grande truffa dei social media. Il film di James Ponsoldt parla di un futuro che sembra presente, di un mondo lontano che è invece vicino, di qualcosa che riguarda tutti noi, persi fra uno status su Facebook, un tweet, una storia di Instagram.
:: L’ordine del tempo di Carlo Rovelli (Adelphi)
Dopo il successo delle Sette brevi lezioni di fisica, Rovelli ha dovuto affrontare il classico problema degli autori al loro nuovo libro dopo un best-seller. È riuscito nell’impresa affrontando il tema centrale della sua ricerca in gravità quantistica, il ruolo del tempo, recuperando la brillantezza di un suo precedente titolo divulgativo, La realtà non è come ci appare. Esigenze di editing hanno forse troppo annacquato l’originalità dell’approccio di Rovelli alla fisica del tempo, ma il lettore che vorrà impegnarsi in una lettura non superficiale sarà certamente ricompensato.
:: Le venti giornate di Torino di Giorgio De Maria (Frassinelli)
L’atmosfera sinistra degli Anni di Piombo rivive ne Le venti giornate di Torino, autentico gioiello perduto – se mai ve ne furono – della letteratura weird del Novecento. Non stupisce affatto il successo che De Maria sta incontrando anche presso i lettori anglosassoni, grazie all’edizione Norton curata da Ramon Glazov a cui ne dobbiamo la riscoperta. Uno spot per la nostra letteratura e un tardivo riconoscimento per il suo sfortunato autore, capace di proiettare uno sguardo sorprendentemente lucido ben oltre le contingenze del suo tempo per fotografare le inquietudini della postmodernità.
:: Gli animali che amiamo di Antoine Volodine (66thand2nd)
Pensare il post-apocalisse con ironia è faccenda per pochi. Per esempio Volodine, che in Gli animali che amiamo ci narra il futuro e consolidato collasso dell’Orbe per voce dei rari sopravvissuti: un elefante dotato di senno e parola, una lurida donnina scarmigliata. Attorno a loro tutto suona come una densa allegoria il cui scopo è raccontarci il fallimento, quello dell’intero genere umano e dei singoli suoi rappresentanti.
:: L’innominabile attuale di Roberto Calasso (Adelphi)
Con l’espressione “l’innominabile attuale”, Calasso cerca di definire l’inconsistenza dell’epoca contemporanea, raggiunta dopo lunghe peregrinazioni in altre epoche e altre culture trattate nei suoi libri precedenti. L’Occidente contemporaneo è affrontato attraverso fenomeni considerati complementari, vale a dire il turismo di massa, il terrorismo internazionale e l’ideologia della Silicon Valley, tutti presi dall’obiettivo di trasformare il mondo a propria immaginare, come fu per i totalitarismi del Novecento, alla luce dei quali, nella seconda parte del libro, l’autore interpreta i tempi che stiamo vivendo. Un testo dall’inquietante sapore profetico.
:: New York 2140 di Kim Stanley Robinson (Fanucci)
Se immaginate che tra un secolo la Terra sarà un posto non troppo diverso da com’è oggi, New York 2140 vi aprirà gli occhi sulla crudele verità con la stessa efficacia di un documentario come Before the Flood. Nel romanzo di Kim Stanley Robinson, non nuovo al tema (la Trilogia di Marte, la serie Science in the Capital), l’inondazione c’è già stata e New York, sommersa da quindici metri d’acqua, è una Super Venezia, magica e problematica allo stesso tempo. Come altri grattacieli, la Met Life Tower è un’isola di cemento che svetta sui canali: la scomparsa di due suoi inquilini, apparentemente connessa con una fluttuazione sospetta sul mercato finanziario, è l’innesco che porterà i protagonisti a incrociare le loro strade in questo romanzo labirintico.
:: La stanza di Thérèse di Francesco D’Isa (Tunué)
La personale inchiesta sul reale che Thérèse affronta in una stanza d’albergo dopo essersi isolata dal mondo, in un epistolario-monologo con la sorella, riporta in auge il romanzo filosofico, condito di ritagli di libri, giornali, illustrazioni. Attraverso Thérèse, D’Isa affronta Wittgenstein e Russell, Leibniz e Cantor, spingendo il lettore a intraprendere la sua personale “esegesi” per rispondere alla domanda: “Che valore hanno successo, potere, amore, piacere, dolore e desideri, davanti all’infinito?”.
:: Il mistero degli antichi astronauti di Marco Ciardi (Carocci)
Studioso di storia della scienza, dopo aver affrontato il tema di Atlantide nelle sue varie declinazioni nella cultura “pop”, Ciardi affronta in questo titolo la teoria degli antichi astronauti resa celebre dai testi di Kolosimo, von Daniken, Bauval, Sitchin. Una brillante ricostruzione del milieu culturale da cui, nel Novecento, è emersa l’idea secondo cui gli extraterrestri avrebbero già avuto contatti in passato con la nostra civiltà, che fonde pseudoscienza e “archeologia misteriosa”.
:: La metropoli come mondo in rovina di Alberto Abruzzese (Rogas)
Abruzzese porta ai confini estremi il suo pensiero sulla metropolitanizzazione della socialità e della cultura, osservando l’evoluzione e il collasso di questi processi nell’era digitale. Con la metropoli assurta a periferia, il sociologo romano esplora la post-metropoli, in un vortice di ristrutturazione, deconfigurazione e riconfigurazione degli assetti socioculturali e mediali, alle soglie di quello che (forse e con cautela) si può percepire come un autentico salto antropologico verso l’uomo digitale. Una lettura stimolante e avvincente anche per chi non si occupa di sociologia e comunicazione.
:: Il problema dei tre corpi di Liu Cixin (Mondadori)
Primo volume della trilogia Remembrance of Earth’s Past, Il problema dei tre corpi è un’affascinante (per quanto discontinua nella qualità) rilettura nella prospettiva cinese del topos del primo contatto con una civiltà extraterrestre. Fisica, cosmologia, antropologia, world-building all’ennesima potenza, si ibridano con il retaggio della rivoluzione culturale e con le sfide di una Cina alle prese con il problema ecologico.
:: I senza terra di Szilárd Borbéli (Marsilio)
La lingua è il protagonista principale di questo romanzo opera prima e ultima di Borbéli, suicidatosi l’anno dopo la sua pubblicazione. Lingua secca, dura come la terra del villaggio dove si svolgono le vicende (ma si possono definire tali?) dei pochi miserabili protagonisti. A narrare è un bambino ossessionato dai numeri primi, una delle poche certezze della sua esistenza altrimenti priva di significato. Racconta il quotidiano la sua famiglia, degli abitanti del circondario, tutti immersi nel fango, nel letame e in un tempo senza speranza.
:: Teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura (Minimum fax)
Riprendendo il titolo del classico della sociologia di Thorstein Veblen, Ventura conia il concetto di “classe disagiata” per descrivere le nuove generazioni illuse dal sogno dell’auto-realizzazione attraverso il successo nell’industria culturale. Una nuova classe di finti ricercatori, scrittori, giornalisti, registi, event manager e via discorrendo impegnati in una lotta disperata per conquistare l’ambito “posto al sole”. Un’analisi sociologica condotta attraverso la letteratura, da Shakespeare a Balzac.
:: Cosmo di Witold Gombrowicz (Il Saggiatore)
Romanzo inchiesta su bizzarri omicidi, indagine che procede come nei migliori polizieschi ma che è soprattutto un tentativo di ordinare il reale, fornendogli senso; romanzo che è anche un inno alla gioventù, un elogio dell’onanismo, una lotta contro la noia e una spericolata avventura del linguaggio. Il romanzo capolavoro di Gombrowicz, uno dei vertici della letteratura novecentesca, riproposto in una nuova traduzione.
:: T2 Trainspotting di Danny Boyle
Dell’eroina che scorreva a fiumi in Trainspotting, il poco che è rimasto è tagliato male e scorre perlopiù nelle vene di Spud; ma a vent’anni dal cult che ha segnato gli anni Novanta, nessuno ne è uscito bene. T2 Trainspotting è una storia di outsider rimasti tali, un omaggio al suo predecessore, e un videoclip di quasi due ore. Astenersi critici a tutti costi.
:: La cura dal benessere di Gore Verbinski
L’immaginario tardo-gotico è impresso in ogni fotogramma de La cura dal benessere di Gore Verbinski. La sua personale montagna incantata vede in un gioco di riflessi su vetro e su acqua i potenti del mondo cercare la cura dai nervi tesi della vita d’alto bordo. Sensualità, innocenza e mistero richiamano un tempo lontano, ormai fuori dal mondo, in cui tutto è concentrato sul prolungamento della vita. Con rimandi al Frankenstein e agli altri romanzi gotici Verbinski dà al passato nuova linfa vitale.
:: Detectorists (terza stagione)
Nello sconfinato panorama delle TV series post-seriali, trovare una gemma come Detectorists è complicato come l’hobby dei protagonisti: cercare l’oro mediante l’uso di metal detector, immersi nell’assoluta quiete offerta dagli splendidi scenari estivi della campagna inglese. Riuscire, in un quadro così spoglio, a intrecciare storie d’amore, commedia, mistero e riscatto è un’impresa da veri eroi.
:: Ritratto di famiglia con tempesta di Hirokazu Kore’eda
In fondo al pozzo Hirokazu Kore’eda dipinge un Ritratto di famiglia con tempesta in cui osservare il grande freddo congelare i sogni di un uomo aggrappato con le unghie e con i denti al suo quarto d’ora di fama. Imprigionata insieme da una tempesta, la famiglia spaccata non troverà mai davvero sé stessa. Nel frastuono della pioggia scrosciante, pur senza ricevere il premio di una catarsi finale con cui riconciliarsi col mondo, al pubblico è dato modo di riconoscersi nella tenerezza dei personaggi.
:: Dunkirk di Christopher Nolan
L’orologio della manipolazione del tempo diventa protagonista. Sofisticazione estrema del montaggio alternato, i tre tempi narrativi scelti da Christopher Nolan non servono solo a intrecciare soggettive psicologiche sotto il segno della suspense: depurato dalla distrazione di destini individuali, il tempo non lineare del viaggio cinefilo può oltrepassare il mare della narrazione e della conoscenza documentaristica, diventando strumento di riflessione filosofica.
:: Star Trek Discovery (prima stagione)
Torna la tradizionale prospettiva sociopolitica spostando nello spazio l’incontro/scontro tra civiltà simili in competizione politica. Tocca ai nuovi Klingon: una sorta di nativi americani che, questa volta, si presentano all’incontro ben armati sul piano tecnologico e adeguatamente disincantati in materia di colonizzazione. Parallelamente trovate come l’improbabile propulsione a spore rilancia sfrontatamente la ricerca di nuove forme di vita e di civiltà all’interno dell’inclusione tecno-biologica.
:: Dark (prima stagione)
Se già è difficile fare il sequel di un prodotto ben riuscito, figuriamoci provare a imitarne il successo. Dark, conosciuta anche come I segreti di Winden, è una serie tedesca firmata Netflix. A sentirne la trama sembrerebbe una Stranger Things teutonica, ma a guardarla si scopre essere molto di più. Certo, c’è la retromania, il citazionismo sia nelle scene che nella trama, così come i bambini scomparsi e la periodicità di queste scomparse ricordano palesemente IT, ma procedendo con le puntate emerge sempre più il ruolo decisivo che i viaggi nel tempo svolgono nella narrazione. Il tutto in attesa di ulteriori investigazioni in una prossima stagione.
:: The Crown 2 (seconda stagione)
Dopo le vette raggiunte dalla prima stagione, il lungo regno di Elisabetta II d’Inghilterra e del suo casato torna a prendere forma sul piccolo schermo con The Crown 2, esempio ideale di climax narrativo sostenuto da un ensemble eccellente e sul piano tecnico e su quello artistico, che arriva a eguagliare e addirittura superare il primo capitolo della serie in termini di solidità e pathos della messinscena.
:: BoJack Horseman (quarta stagione)
La quarta stagione del cavallo più amato e odiato della televisione è allo stesso tempo una carezza sul volto e un pugno dritto nello stomaco. Hollywood diventa un cacofonico zoo rutilante, ma che in questo sfavillare mette soprattutto in mostra le fragilità degli animali (veri e non) che vi abitano e, soprattutto, la disarmante solitudine e depressione latente che cova e anima il protagonista. In questa stagione BoJack cade a fondo e si rialza per cadere di nuovo: sarà stato per la proverbiale capacità di sopportazione di sforzi e fatiche a cui sono sempre stati costretti gli equini che lo hanno fatto scegliere come protagonista?
:: Dimension 404 (prima stagione)
Quasi come un plotone di anticorpi, gli episodi di questa serie antologica sdrammatizzano gli ultimi decenni di utopie/distopie digitali. La dimensione del codice 404 significa uscire con baldanza dai luoghi comuni che tendono a demonizzare senza capire certe pratiche dell’odierna industria digitale. Polybius in particolare riesce a compattare la nostalgia anni Ottanta à la Stranger Things con un cyberspazio pieno di orrori che giocano con il fuori campo dell’ignoranza e dell’incultura tecnologica.
:: The Leftovers (terza stagione)
Tra umani misteriosamente spariti (forse richiamati in un’altra dimensione…), attese millenaristiche, angosce esistenziali, la sceneggiatura sembra più volte arrancare e ritrovarsi, muovendosi (non sempre) bene tra climax e anti-climax. Tuttavia, in quest’affresco poderoso dello sfascio delle istituzioni e dei punti di riferimento, l’elemento meno affascinante è proprio la trama. In realtà, The Leftovers sembra più concentrato a muoversi in un orizzonte di apocalissi culturali permanente, circoscrivendo il proprio raggio d’azione al momento in cui le comunità, scosse, impaurite e travolte dall’orrore, non sanno ancora a chi o a cosa credere. E il bersaglio è centrato.
:: Seems Like A Lifetime Ago 1977 – 1980 di Bruford (Winterforld)
Nel 1977 era proprio una vita fa quando Bill Bruford decideva di dare vita all’ennesimo tentativo di mettere insieme metriche jazz e ritmi rock. Nacquero così i Bruford con Allan Holdsworth, Dave Stewart e Jeff Berlin (con la preziosa aggiunta di Annette Peacock nel primo album) e, oggi, un cofanetto a tiratura limitata ne documenta la storia tra album ufficiali, live e registrazioni inedite (compreso il quarto lavoro della band mai uscito). Un tesoro davvero d’altri tempi.
:: The Asylum Tapes di Marvin Pontiac
L’ultima invenzione di John Lurie prima del riposo forzato causato dalla sindrome di Lyme: il musicista immaginario Marvin Pontiac. Per renderne possibile il ritorno discografico, Lurie presta la sua voce e ne viene fuori una raccolta s/fatta di grumi di blues quantomai insani, masticati e sputati in giro, bofonchiando e maledendo, blues polverosi, ventiquatttro pezzi di vetro masticati, voce, chitarra, banjo e armonica, fango, sudore e catene, testi bislacchi e disperati. Un ritorno che ha del miracoloso.
:: Mr Robot (terza stagione)
Capitalismo e schizofrenia, schizofrenia del capitalismo. Chissà cosa direbbero Gilles Deleuze e Félix Guattari di questa serie, distribuita a più di trent’anni di distanza dalla loro opera. La terza stagione riacquista la qualità delle prime puntate, dopo una seconda stagione un po’ deludente e confusa. Il piano politico e gli intrighi si mescolano continuamente con i flussi di coscienza non solo di Elliot ma di tutti i personaggi, all’apparenza determinati da equilibrati e ragionevoli giudizi, ma in realtà persone, quindi governati da passioni, narrazioni personali, tormenti dell’animo.
:: Lighthouse di Wingfield Reuter Sirkis (Moonjune)
Chi volesse scoprire cosa c’è oltre Robert Fripp, potrebbe dare una chance a questo fantastico trio composto dall’insuperabile Mark Wingfield alla chitarra elettrica, l’ex The Crimson ProjecKct Mark Reuter alla touch guitar e Asaf Sirkis alla batteria. I tre improvvisano senza paura e sviluppano una chimica che, siamo sicuri, apprezzerebbe anche l’enigmatico re cremisi.
:: Ornette At 12 / Crisis di Ornette Coleman (Real Gone)
Gli unici due ellepì incisi da Coleman sul finire degli anni Sessanta sono finalmente tornati disponibili, rimasterizzati e ristampati su un unico cd. Si tratta di due live che richiedono non poco impegno all’ascoltatore nell’(in)seguire le funamboliche acrobazie del leader e dei suoi partner, ma alla fine si è ripagati. In premio c’è un’immaginifica versione di Song for Che, che ancora pulsa di orgoglio rivoluzionario.
:: Everything Now di Arcade Fire (Sony Music)
Che gli Arcade Fire non amino ripetersi appare ormai chiaro, e con il minimalismo e le influenze dancefloor di Everything Now la band lo ribadisce. Chiaro e tondo. Ma al di là di mere questioni stilistiche, l’album è un esempio sopraffino di crossmedia storytelling: basta aprire il sito o il canale YouTube ufficiali per rendersene conto. Ed è anche un ritratto (impopolare, stando alla critica) della società contemporanea, che ha tutto e subito, ma non sa che farsene.
:: Unfold di The Necks (Ideologic Organ)
Ogni ascolto di questo fantastico trio è un’esperienza estatica e il nuovo album non è da meno, pur in presenza di una novità che poteva indurre a ritenere il contrario: il formato, e di conseguenza la durata dei brani. I tre abbandonano il dischetto per il più classico ellepì, doppio, nel quale alloggiano quattro composizioni distinte. Uno sforzo di sintesi per chi è abituato a concepirle di durata intorno all’ora. Impegno premiato perché ancora una volta l’interplay dà luogo a una cerimonia dei sensi che non ha eguali.
:: Fantasii di Mhysa (Alcyon Veil)
Musica nera, suoni elettronici, una nuova forma di canto, un inedito modo di concepire la sperimentazione strumentale, un mix di hip hop, di noise, di soul e di R&B. Tutto questo è Mhysa, alter ego dell’artista multimediale E. Jane. Dopo l’EP del 2016 ecco un intero album, vero esordio (col botto) per questa nuova identità, un personaggio definito “queer black underground pop star for the cyber resistance”, che ci regala anche un omaggio a Donna Summer incastonato tra ossessioni ritmiche e atmosfere spettrali.
:: Lack di Pan Daijing (Pan)
Suoni tormentati, oppure minimali, aperture liriche (complice la voce stupenda della soprano Yanwen Xiong), rumorismo di derivazione industrial e atmosfere gotiche quantomai oscure. Dietro una grande regia, una sapiente scrittura, una grande capacità di gestire l’intera gamma dei timbri. Fuori dalla noia del classical ambient, qui si respira un’aria acre, urticante, ben intemperante.
:: A Little Electronic Milky Way of Sound di Roland Kayn (Frozen Reeds)
Il meno che si possa dire di quest’opera (inedita) è che siamo di fronte al titanismo di wagneriana memoria: 16 dischi per una durata complessiva di quattordici ore di suoni elettronici che si autogenerano, si duplicano, si frantumano e si ricompongono. Vero opus magnum del compositore tedesco, monumento della sua musica cibernetica, che consentiva al compositore di farsi da parte. Glaciale, abissale, immenso.
:: Anthology Resource Vol. 1 di Dean Hurley (Sacred Bones)
Il supervisore musicale di Twin Peaks, nonché collaboratore storico di David Lynch, raccoglie qui i trattamenti e contributi originali realizzati per la terza stagione. Paesaggi sonori oscuri e inquietanti (poteva essere altrimenti), rumorismi e atmosfere astratte, vanno a comporre un’opera autonoma rispetto alla sua destinazione e alla colonna sonora ufficiale. Musica per ambienti notturni, dove regna il buio pesto.
:: Solo: Reflections and Meditations on Monk di Wadada Leo Smith (TUM)
Un maestro riletto da un maestro. Qui si ascoltano le pagine più imprescindibili del jazz degli ultimi settant’anni affidate alle mani sapienti di un poeta prima ancora che un musicista e un musicista prima ancora che un jazzista, tra i massimi esponenti della grande stagione del post free. Wadada Leo Smith riduce all’osso e modella su misura per la sua tromba composizioni cardinali come Ruby My Dear e Round Midnight integrate da altre scritte appositamente per questo che è ben altro e va ben oltre l’omaggio. Il titolo infatti va preso alla lettera.
:: Cape Wrath di Dick Morrissey – Jim Mullen (Man in The Moon)
Questo album pubblicato originariamente nel 1979 è un inno al sound sintetico degli anni Settanta prodotto da sintetizzatori analogici polifonici in grado di emulare un’intera orchestra di archi. Alle tastiere c’è Max Middleton, mago inglese delle tastiere, e a condurre le danze di questo strano disco in bilico tra funky e smooth jazz due alfieri del British Jazz, il sassofonista Dick Morrissey, scomparso nel 2000, e l’ex If Jim Mullen alla chitarra elettrica. Da rivalutare.
:: Heliosonic_Toneways Vol. 1 di The Heliosonic Tone-Tette (ScienSonic Laboratories)
Cinquant’anni dopo la registrazione di Heliocentric Worlds of Sun Ra, tra le più affascinanti prove terrestri dell’uomo di Saturno, negli studi degli ScienSonic Laboratories si sono ritrovati alcuni dei protagonisti di quelle sedute per dare vita a un’opera ispirata da quella storica incisione. In prima fila c’è Marshall Allen, anni 93, che dell’Arkestra è stato fedele discepolo e oggi ne dirige le gesta. Con lui c’è il medesimo tecnico del suono, Richard Alderson e soprattutto compare l’intera pletora degli strumenti spaziali usati allora. Nuove improvvisazioni per una musica davvero aliena.
:: A casa tutto bene di Brunori Sas (Picicca Dischi/Sony Music)
Dario Brunori in questo suo quarto album si lascia alle spalle parte della sua vena ironica, caratteristica dei suoi lavori precedenti, guadagnando interessanti sfaccettature malinconiche. Il cantautore, dialogando spesso con sé stesso su tematiche attualissime, sembra aver raggiunto una maturità tale da mettersi in scia dei grandi nomi della nostra tradizione: da Fossati a De Gregori, passando per Battiato e Dalla.