È il nostro sesso biologico a essere determinato dai cromosomi, non la nostra identità, né il nostro orientamento sessuale. Se per l’appunto l’orientamento sessuale è legato al genere di chi di volta in volta ci attrae, seguendo il verbo sociologico sono più di settanta le identità sessuali riconosciute finora, e ognuna può essere percepita da uno stadio minimo pari a zero fino a uno massimo pari a sei, a seconda dell’intensità con cui, in determinate fasi della vita, si percepiscono e si vivono determinati amori. Un panorama erotico che la letteratura indiana ha ben figurato in una molteplicità di miti; in essi la poesia d’amore si esprime attraverso temi e motivi fissati dalla tradizione, analogamente a quanto accade per la scultura oppure per la musica. Non troviamo quindi vicende personali, Catullo straziato dai tradimenti della sua Lesbia, o Saffo desolata dormendo sola nell’incanto della notte. I sentimenti espressi dalla poesia indiana classica, nella presentazione di Giuliano Boccali nel suo Il dio dalle frecce fiorite, sono concreti, ma i protagonisti astratti: l’uomo tradito, la donna lontana dall’agognato compagno, e via dicendo in una galleria di personaggi emblematici, ampia ma non infinita, accuratamente catalogata dai trattatisti per sesso, naturalmente, per età, per condizione del rapporto con l’amato o l’amata; unione felice, prima notte d’amore, lontananza sconsolata per l’assenza di lui o per la sua infedeltà e così via.
Il dio dell’amore Kāma in procinto di colpire Śiva con un dardo d’amore.
Le “frecce fiorite” a cui allude il titolo del libro sono quelle di cui è armato Kāma, il dio dell’amore, simili ai dardi scoccati dall’Eros ellenico: una compiuta digressione sui temi riguardanti l’eros indiano, che è anche una succulenta raccolta di narrazioni che possono essere ricondotte agli sviluppi tipici del cosiddetto romanzo rosa. Non sembri irriverente tale avvicinamento, ma il romanzo rosa, che corrisponde all’inglese romance novel e che si è diffuso indipendentemente in tutti i paesi dell’Occidente a partire dal XIX secolo, è una narrativa in qualche modo affine ai temi raccolti nella bella silloge del Boccali.
Quando parliamo di romanzo rosa la mente corre all’enorme successo di vendita dei francesi Delly (pseudonimo dei fratelli Jeanne-Marie [1875-1947] e Frédéric Petitjean de la Rosière [1876-1949]), dell’italiana Liala (pseudonimo di Amalia Liana Negretti Odescalchi [1897-1995]) e dell’anglo-americana Barbara Cartland (1901-2000), che da sola ha venduto più di quattrocento milioni di copie dei suoi libri. In Italia il successo del genere fu sancito dalla Biblioteca delle signorine, pubblicata a partire dal 1912 dall’editore Salani; più recentemente i romanzi di Sveva Casati Modignani (pseudonimo dei coniugi Bice Cairati e Nullo Cantaroni) scritti a partire dal 1981, hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo. Una letteratura a cui afferisce un pubblico esclusivamente femminile.
Un meccanismo narrativo consolidato
La sua struttura narrativa è stata ampiamente studiata e ha poche varianti (cfr. Alberoni, 1986): c’è una eroina che assomiglia a una donna comune. Non è mai bellissima, oppure, se è bella, ha qualche piccolo difetto. È intelligente, attiva, onesta. È vergine, oppure non ha avuto altre esperienze amorose; se le ha avute sono state esperienze infelici, acqua passata. In romanzi più recenti è divorziata. In genere non è ricca. È inserita nel suo ambiente, non soffre di solitudine. Se ha delle possibilità nascoste neppur lei le conosce, si sottovaluta. La narrazione dimostrerà che è capace di suscitare un grandissimo, appassionato amore. Questa donna, a un certo punto, incontra un uomo straordinario, una sorta di divinità. Che sia il predestinato, l’eletto, lo si capisce subito, non vi sono dubbi. È alto, forte, sicuro di sé; spesso ha gli occhi di ghiaccio, grigi, freddi, lontani. La donna ne è turbata perché le appare, a un tempo, affascinante e inarrivabile. È troppo bello, troppo ricco, troppo noto, troppo circondato e adorato dalle altre donne perché possa sperare di essere guardata: invece il miracolo si compie. Questo essere lontano, selvaggio, infido, indomabile, superiore, la guarda, si occupa di lei. Siamo già al centro della vicenda erotica. Avviene l’improbabile, l’inaudito. La donna è percorsa da un fremito di eccitamento, è sconvolta. Vorrebbe poter credere che lui si interessa veramente a lei, ma ha paura perfino di pensarlo. La conversazione persuasiva, in cui l’amore si dichiara e si trasforma in richiesta, attesa, complimento, fa parte della fenomenologia del desiderio più di qualsiasi altro sintomo.
Relazioni sottese: le narrazioni classiche indiane e i best seller del romanzo rosa.
Quell’uomo è un seduttore, un dongiovanni, è il portatore di una potenza pericolosa, perturbante; è lo Śiva dei miti indù (cfr. Doniger, 1997). Perciò diffida, gli resiste. Compare, in genere, a questo punto, una rivale; una donna spregiudicata, dai facili costumi, maestra nell’arte della seduzione; Sandhya, la rivale di Pārvatī. La storia, a questo punto, rivela alcune varianti. Può succedere, per esempio, che la rivale parta con l’uomo e poi le mandi, da una località da favola, le partecipazioni di nozze. La presenza della rivale, il suo successo, e l’incredibile distanza della divinità, fanno sì che l’eroina si convinca di aver perso, si disperi, perda il controllo scappando via.
L’uomo, però, anziché andarsene, insiste, la invita ancora. È dolce, premuroso, interessato. Ormai l’eroina è innamorata di questo essere forte e gentile, di questo avventuriero delicato, di questo dongiovanni che si occupa solo di lei. Non sa però se lui l’ama veramente, anzi è convinta che non la ami, che si tratti solo di simpatia, di amicizia, oppure di un’avventura. Di conseguenza si ritrae un’altra volta, si schermisce, fa una scenata, e se ne va. Ciò crea problemi all’uomo che ‒ come si capirà solo alla fine ‒ è invece veramente e profondamente innamorato. C’è, perciò, un doppio fraintendimento: entrambi sono innamorati, ma entrambi pensano di non essere ricambiati.
Intrecci codificati, relazioni mitiche
La storia si svolge in un intreccio mitico: il problema della donna è di sapere se, nonostante le apparenze, l’uomo l’ami oppure no. È Pārvatī che si dà all’ascesi per far innamorare Śiva.
Lui si comporta crudelmente verso di lei; la salva, ma poi l’insulta, la caccia. Lei viene a sapere che lui si è sposato con una donna bellissima e spregiudicata; oppure lui l’abbandona in mezzo al pericolo. Capita perfino che lei lo trovi sessualmente impegnato con la rivale. Nel codice del romanzo tutto depone a favore della sua colpa. Alla fine giunge l’attesa liberazione: non era colpevole; non era mai stato interessato alla rivale e non si era mai sposato, aveva abbandonato lei nel pericolo, ma solo per poterla salvare. Era sì abbracciato a una donna, ma perché era stato ferito e la donna lo stava semplicemente aiutando ad alzarsi. Tutto ciò che nella vita reale sarebbe spudorata menzogna, si dimostra vero. L’uomo, in realtà, nonostante le apparenze contrarie, non ha mai commesso nulla di colpevole. Tutto è stato soltanto ostacolo esterno, caso, oppure equivoco, fraintendimento, illusione, māyā nel lessico indù. Un erotismo alieno dalla sessualità: le emozioni profonde, ciò che è specificamente erotico in queste storie, non è il rapporto sessuale, è il languore, il brivido, il turbamento della gelosia, l’innamoramento che stringe il cuore, che fa soffrire, che fa sperare. Un erotismo che non si preoccupa affatto della procreazione, ma si impegna ad arricchire la conversazione amorosa, la trasforma a volte in un dialogo in cui è di fatto la donna la protagonista.
Il signore della danza, Śiva e sua moglie, la dea Pārvatī.
L’erotismo si accende quando questa donna qualunque, che non ha nulla da dare, sente lo sguardo e l’interesse dell’eroe divino su di sé. Quando avviene l’incredibile, come nel mito di Cenerentola o di tutti gli oppressi a cui è donato tutto per grazia. L’erotismo è anche affanno, paura di non essere amata, è bisogno di sentirsi cercata, cercata ancora. È rifiuto, dire di no, con la speranza ansiosa che l’amato ritorni nonostante quel no. L’erotismo brucia in questa tensione, in questa domanda continua, continuamente delusa e continuamente rinascente: gli piaccio? mi desidera? mi ama? Osservata in questa dimensione la concezione dell’amore nella cultura indiana tradizionale appare sublimata nel mito.
Nella realtà l’ideale brahmanico proclamava una donna nobile e devota senza riserve al marito. O “ai mariti”: Draupadī infatti, la moglie dei cinque fratelli Pāṇḍava protagonisti del Mahābhārata, è una sola, in seguito a un decreto involontario ma irrevocabile di Kuntī, madre degli sposi. A ciò si deve aggiungere, nella concretezza del quotidiano, che in India dal punto di vista coniugale l’amore non era la premessa, ma l’eventuale conseguenza del matrimonio. I matrimoni erano combinati dalle famiglie, la confidenza e il sentimento perciò si sviluppavano dopo, se la coppia era fortunatamente bene assortita. Oppure, insieme con la passione nei suoi infiniti aspetti, le emozioni e gli slanci erano confinati, o forse meglio lasciati sprigionare (con le dovute cautele) nell’ambito del tradimento.
Kāmasūtra, il trattato più celebre
A fronte di questa condizione, e della ben nota situazione di soggezione assoluta della donna sancita, perfino brutalmente, dai codici di legge sacra come le celebri Leggi di Manu (cfr. Doniger, 1996), si rileva un aspetto sorprendente e certo inatteso testimoniato dall’altrettanto celebre Kāmasūtra (III secolo d.C.). Un trattato che, al contrario della propaganda pornografica occidentale, era un libro destinato alle coppie di classe, residenti nelle città, per istruirle su tutti gli aspetti della vita amorosa e mondana, dal corteggiamento alle nozze, dal sesso all’ospitalità agli svaghi, dalla prostituzione alla cultura ai tradimenti. L’autore, Vātsyāyana, era infatti un brahmano di cultura e di mondo, che si poneva ad un certo punto la domanda se la donna avesse o meno lo stesso diritto all’orgasmo quanto l’uomo (cfr. Vātsyāyana, 2001). La risposta era perentoria: era evidente che l’uomo e la donna sono egualmente predisposti all’appagamento. E poiché l’attesa dell’orgasmo era la stessa, è pure evidente che la donna andasse soddisfatta per prima. L’Occidente è arrivato a una simile conclusione da non molto, anche grazie a una costante propaganda femminista, quella di un “femminismo sessuale positivo” che ha rivalutato la funzione dell’orgasmo come aspetto essenziale nella vita della donna. In termini concreti si parla della mitica eiaculazione femminile, un orgasmo talmente intenso da condurre all’esplosione di un piacere violentissimo. Su questo argomento dissertavano già dettagliatamente Ippocrate, Pitagora, Aristotele e, incredibilmente, una sequenza visionaria dell’Apocalisse (17, 2):
“Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati nel vino della sua prostituzione”
(in Lupieri, 1999).
Nel Kāmasūtra appare quindi evidente la ricerca del piacere amoroso in quanto tale, rivolto al raffinato esteta cittadino per fornirgli i migliori strumenti per la conquista e il godimento. Pur riconoscendo in limine il valore supremo della liberazione spirituale, nessun’altra preoccupazione, a parte quella del successo erotico, sembra increspare la nitida esposizione tecnica, sentita come pari a qualunque altra (cfr. Franci, 2010).
Stampa di Emile Vernier per l’opera La dame Blanche.
Vocazioni che in Occidente si sono mascherate nelle sembianze dell’«amor cortese», un’ascesi erotica che mescolava la Melusina, la donna-fata con le Ḍākinī himalayane, celesti e terrestri. Prima che si accreditasse il mito del Graal, cerca di un calice perduto, il paladino si votava alla cerca di una donna che sarebbe divenuta l’anima di un ordine cavalleresco, di una cerchia di trovatori, o di una stirpe regale. La “dama bianca” che si manifestava nelle dimore gentilizie quale spirito di un antenato femminile, lo spettro che si rendeva visibile ai membri della famiglia reale degli Asburgo in cruciali momenti di lutto.
La celebre tappezzeria che rappresenta la Dama e l’unicorno, conservata al Musée de Cluny a Parigi, riveste del corpo di una donna l’essenza di tale femminilità archetipica. L’esito di tale sovrapposizione, nel mondo contemporaneo, è una vestale senza il suo rito e isolata dal suo culto, bruciante dell’eros divino e tuttavia alla ricerca della luce bianca per sé, una devozione alla Luna avvelenata dalla soggettività.
- Francesco Alberoni, L’erotismo, Garzanti, Milano, 1986.
- L’Apocalisse di Giovanni, a cura di Edmondo Lupieri, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1999.
- Frederik D. K. Bosch, Il germe d’oro. Un’introduzione al simbolismo indiano, a cura di Alessandro Grossato, Adelphi, Milano, 2017.
- Sveva Casati Modignani, Un battito d’ali, Mondadori, Milano, 2017.
- Alain Daniélou, Miti e dèi dell’India, Red Edizioni, Como, 1996.
- Wendy Doniger, Śiva. L’asceta erotico, Adelphi, Milano, 1997.
- Pio Filippani Ronconi, Le vie del Buddhismo, ECIG, Genova, 2003.
- (a cura di) Luisa Finocchi e Ada Gigli Marchetti, Liala. Una protagonista dell’editoria rosa tra romanzi e stampa periodica, Franco Angeli, Milano, 2013.
- Giorgio Renato Franci, L’induismo, Il Mulino, Bologna, 2010.
- Laurence Harf-Lancner, Morgana e Melusina. La nascita delle fate nel Medioevo, Einaudi, Torino, 1989.
- Le leggi di Manu, a cura di Wendy Doniger con la collaborazione di Brian K. Smith, Adelphi, Milano 1996.
- Mahabharata. Episodi scelti, a cura di Vittore Pisani, Utet, Torino, 1968.
- Paul Morand, La dame blanche des Habsbourg, Laffont, Parigi, 1963.
- Odell Shepard, La leggenda dell’unicorno, Sansoni, Firenze, 1984.
- Vātsyāyana, Kāmasūtra, a cura di Cinzia Pieruccini, Marsilio, Venezia, 2001.
- Patrizia Violi, Breve storia della letteratura rosa, Graphe.it, Perugia, 2020.
- Heinrich Zimmer, Miti e simboli dell’India, a cura di Joseph Campbell, Adelphi, Milano, 1997.