La postumana Furiosa
canta il suo poema epico

George Miller
Furiosa: A Mad Max Saga
Cast principale: Anya Taylor-Joy,
Chris Hemsworth, Tom Burke
Produzione: Warner
Distribuzione Italia:
Warner (2024)

George Miller
Furiosa: A Mad Max Saga
Cast principale: Anya Taylor-Joy,
Chris Hemsworth, Tom Burke
Produzione: Warner
Distribuzione Italia:
Warner (2024)


Con Furiosa, il regista australiano George Miller approfondisce le origini di una certa camionista interpretata da Charlize Theron in Fury Road. Anche con la nuova interprete Anya Taylor-Joy, il piglio action del cineasta (oggi quasi ottantenne) sembra più fresco che mai e ci spinge in una pazza corsa nella Terra Desolata. Il prequel comincia con il rapimento di Furiosa bambina e prosegue in parte nel solco della vendetta e in parte inseguendo il sogno del Luogo Verde. Prima l’accampamento dell’orda di predoni motociclisti guidata dal sadico Dementus, oggetto del desiderio (omicida) di Furiosa. Poi la Cittadella di Immortan Joe. Come in Fury Road, Miller riduce al minimo i dialoghi e si concentra sulla road map. Il motore è nel rombo delle immagini che raccontano anche senza parole. Successione dei frame come spartito musicale. Ritmo e poesia arrivano dal découpage.

Cinema-cinema e sensazioni western-punk
La Furiosa del prequel ha ancora meno linee di dialogo (curioso per una origin story) rispetto alle ottanta pronunciate da Charlize Theron (tra l’altro non protagonista in Fury Road): se ne contano trenta (più le quindici del personaggio da bambina). Conteggio sciocco ma sintomatico del tocco di Miller e della disarmante semplicità con cui un vecchio maestro spiega ai cineasti di oggi come dovrebbe funzionare un racconto davvero audiovisivo. La significazione primaria e la preparazione del terreno drammaturgico passano sempre per la consapevole cucitura tra inquadrature e vuoti evocativi. Campi stretti su sguardi, costumi, tatuaggi, dettagli di scena: frame che catturano essenze e che nascono per lievitare nell’epica, certo non per essere appesantiti da banali dialoghi esplicativi. La sceneggiatura mantiene il focus sull’azione e lascia crescere tra le righe qualunque fioritura metaforica il pubblico desideri.

Al contrario le pellicole odierne, quando anche contenenti ottime scene d’azione e una bella fotografia, tendono a essere inutilmente dense di sub-plot e spiegazioni prolisse perché da una parte si sente il bisogno di intercettare segmenti di pubblico, dall’altra c’è l’insicurezza di chi non riesce a raccontare per immagini. Un approccio destinato a produrre blockbuster premiati al botteghino dei weekend trascorsi con amici e famiglie nei grossi centri commerciali. Pellicole in larga misura dimenticate nel giro di poco tempo. Non ci sarebbe niente di male in questi fisiologici spostamenti commerciali se ciò non andasse a detrimento del numero di sale e di grandi schermi disponibili ad accogliere le visioni di titani come George Miller. Con la saga di Mad Max, Miller è stato in grado di portare il suo sguardo cinematografico da allievo di John Ford nella fantascienza, proponendo una peculiare ibridazione con il western. Immersioni in mondi vasti e selvaggi come nel Far West classico, ma non alcune sostituzioni: lande desolate e desertiche al posto di praterie sconfinate, motociclette arrugginite in cambio di destrieri lanciati a briglie sciolte, predoni motorizzati a fare le veci di banditi e nativi americani inferociti. Un universo costruito con sguardo attento all’azione ma anche all’antropologia, a cominciare dal nome del territorio: Terra Desolata ovvero “Wasteland” in originale. Pensando al poema di T.S. Eliot, The Waste Land, lo sguardo milleriano insegue la costante umana di uno schema di morte e rinascita che corre parallelo ai cicli del bioma, tra deserti e luoghi verdi come la casa di Furiosa bambina o la Cittadella. Tutte le epoche e tutte le culture hanno una loro Terra Desolata. George Miller narra la sua Wasteland con una peculiare miscela di epica e divertimento.

Il découpage vive della giustapposizione di grandi panoramiche e dettagli metonimici (accompagnati da dialoghi ben dosati e discreti) così da raccontare per immagini come prescritto dall’epos fordiano. Il tentativo di rapina ai danni della Blindocisterna è il più classico degli assalti alla diligenza western. I motociclisti avversari si trasformano in avvoltoi e cominciano a fluttuare nell’aria grazie ad appositi alianti aprendo un ulteriore piano dimensionale per il lavoro coreografico. I combattimenti sul gigantesco veicolo guidato da Praetorian Jack sono messi in scena con divertimento newtoniano. Come una forza gravitazionale coricata su un asse orizzontale, il vettore dell’azione è una freccia puntata sempre e solo avanti. I bolidi sono lanciati in corsa e non si fermano mai. Fermarsi vuol dire morire. Qual è dunque il modo più efficiente per distruggere un’automobile in corsa? Ovviamente lanciando l’ordigno a terra, in un punto immediatamente davanti alla parte anteriore dell’automobile, in modo che questa, dopo qualche metro, possa apprezzare dal basso tutta la potenza della deflagrazione. In barba a qualsiasi corazza o blindatura applicata alla carrozzeria superiore.
I Figli della Guerra sul tetto della Blindocisterna sono pedine sacrificabili. Guidano auto di scorta o si danno al lancio dei propri corpi kamikaze diretti verso il Valhalla. Ma sempre con una certa organizzazione, dividendosi il lavoro a seconda delle circostanze. Il ruolo del meccanico di bordo (il principe dei Pollice Nero, l’operaio più prezioso nella logica motorpunk della saga) sembra particolarmente delicato. Si siede accanto al conducente, nella cabina di pilotaggio, ma può accedere alla parte inferiore del veicolo tramite un apposito sportellino. Ulteriore possibilità di rimuovere ostacoli o scongiurare sabotaggi. Proprio lì sotto, avvinghiata all’albero motore, il meccanico capo trova la clandestina Furiosa. Senza dire una parola, le consegna il tubo corto e i morsetti. La ragazza non può fare niente per salvare il meccanico che si spalma sul manto stradale. Ma decide comunque di prendere il tubo e completare la riparazione. Qualunque cosa pur di andare avanti lungo la strada di un fantomatico progresso o comunque per non morire di sete in mezzo al deserto. La Blindocisterna è un’idea, un organismo che incorpora desideri e unifica individui in un’unica catena di montaggio. Così Furiosa prosegue la sua Odissea accettando di far parte della macchina di morte comandata dal despota Immortan Joe, in attesa di occasioni migliori.

Il fascino discreto del gasolio
Furiosa è una cowgirl immersa nella contemporaneità perché è leale alla macchina del progresso e della civilizzazione, di cui la Blindocisterna è un simbolo transitorio. Furiosa è pilota e meccanico ma anche corpo cyborg dopo l’incidente al braccio. E in quanto individuo che intrattiene relazioni utilitaristiche con il potere patriarcale sembra un personaggio perfetto per tracciare un nesso tra immaginario, progresso tecnologico e capitalismo liberista. Furiosa è cyberpunk nel senso indicato da Antonio Caronia: un corpo in cui la tecnica si incarna diventando natura o meglio un dispositivo che prova a riprodurre meccanismi naturali in base a specifiche esigenze culturali. Capacità mimetiche già evidenti nella scena in cui Furiosa bambina si costruisce la finta parrucca con campanellini che le consente una prima fuga. Insomma Furiosa, rifiutando la sua naturale collocazione in un harem e diventando meccanico/camionista (per giunta senza un braccio) costituisce un oltraggio alla cultura patriarcale e all’ordine precostituito. Una dimensione mimetica che George Miller assegna al corpo femminile di Furiosa e che ricorda le ginoidi di L’inhumaine e di Metropolis analizzate da Rosi Braidotti (cfr. Braidotti 2014). L’energia sessuale viene amplificata innaturalmente dalla tecnologia e richiama il bisogno di controllo del potere patriarcale su corpi e competenze tecniche.

Nelle lande madmaxiane il primo punto è facile: basta ridurre le femmine letteralmente in catene. Con questi presupposti non bastano certo la volontà e i sotterfugi per essere davvero liberi nel deserto. Serve un veicolo potente e una buona scorta di risorse. La Terra Desolata riattualizza le storie della frontiera con una forte carica simbolica, oscillando tra civilizzazione e barbarie. Logiche tribali, spostamenti difficili e necessità di carburante. L’inquinamento e le bombe atomiche hanno creato la Terra Desolata, ma i sopravvissuti non rinunciano ad alimentare il sistema degli spostamenti automobilistici. Esistere significa essere un tutt’uno con il mezzo di trasporto. Anche una comunità apparentemente illuminata come quella delle Molte Madri sembra sapere bene come si usano le motociclette. Si veda l’inseguimento iniziale con la madre di Furiosa che smonta e rimonta una motocicletta in pochi secondi. Miller narra forme di assemblaggio pilota-automobile come avviene con Max e la sua V8 Interceptor o con Furiosa e la sua Blindocisterna. Oppure forme di ibridazione come con Furiosa e il suo braccio artificiale o con Immortan Joe e figli circondati da dispositivi medicali per lenire il disagio delle alterazioni genetiche. Tutte inclusioni tecno-biologiche incardinate nel più vasto regime di una mobilità stradale che rimette al centro della Storia il petrolio in quanto simbolo ambivalente di salvezza e autodistruzione. Pneumatici, carrozzerie e volanti governano l’estetica delle tribù milleriane arrivando a plasmare, di fatto, tutto il filone fantascientifico post-apocalittico, codificandone i luoghi comuni, le scenografie e i costumi. Benzina immaginaria che alimenta importanti diramazioni qualcosa-punk nel nostro secolo, in particolar modo nel videogioco con saghe come Wasteland, Fallout, Borderlands, Rage e Carmageddon.

Esplorazione, sopravvivenza e inseguimenti su bolidi continuamente smontati e rimontati: ecco la risposta fantavventurosa alla centralità dell’automobile e alla consapevolezza della fragilità di una civilizzazione basata sul petrolio. Fugge in auto Furiosa. Ma insegue anche. Dementus in particolare. Nel confronto finale Miller sembra voler citare Duel di Steven Spielberg. Furiosa gioca con la sua preda come fa l’autocarro del misterioso antagonista del pacifico commesso viaggiatore in un cult di quel cinema anni Settanta che prepara l’avvento di Mad Max nel 1979. Anni in cui l’industrializzazione delle automobili si intreccia con quella delle immagini sonore esplodendo nella starwars-mania e inaugurando (grazie anche al merchandising) un’era di feticizzazione delle merci e dei dispositivi. Il cinema diventa un laboratorio per le future sfide della biopolitica e della tecnocrazia. Benvenuti nella condizione postumana. In Mad Max la persistenza delle strutture estrattive procura un’avventurosa mobilità action ma delinea anche i limiti di una politica che è pura coazione a ripetere gettando un’ombra su qualsiasi speranza di ricostruzione o rinascita.

Lingue e culture morte della Terra Desolata
Dune baciate dal sole post-nucleare promettono ineluttabili tempeste di sabbia. Alberi nati morti si preparano ad essere usati come strumenti di tortura o impalcature per esecuzioni sommarie. Il canto funebre per l’umanità messo in scena da George Miller ha un sapore antico e sembra voler chiamare a raccolta tutto il passato: la natura ormai compromessa certo ma anche la cultura e la storia.
Le pellicole madmaxiane si concentrano sul dominio biopolitico del patriarcato e sulla centralità dei motori a scoppio, segnalando la pervicacia diabolica con cui gli umani continuano a battere sempre le stesse strade verso il baratro. Ecco dunque chiamati in causa, in un contesto da fine di un impero, gli antichi romani con la buffa biga di Ben Hur/Dementus trainata da tre moto miracolosamente in equilibrio. Anche la presenza in scena del narratore/bardo sembra un riferimento alla cultura classica dei poemi omerici. E poi i nomi assurdi di tanti personaggi arroganti e fallocratici come Dementus, Scabrous Scrotus, Rictus Erectus e il nano deforme Corpus Colossus. Con la caduta della civiltà, è crollato anche l’uso delle parole e delle pretese ortografiche. La preminenza dell’azione e la parsimonia nei dialoghi sono simmetriche alla povertà della neolingua parlata dai sopravvissuti madmaxiani. Ci si esprime con termini elementari, quasi infantili, spesso storpiature di nomi o aggettivi rinvenuti nella discarica di brandelli di libri bruciati in passato. Parole rimasticate e sgrammaticate diventano titoli o soprannomi a casaccio come “Imperator” assegnato alla camionista Furiosa o “Immortan” riservato a un apparentemente immortale colonnello Joe. Parole storpiate, latinità deformata e irrisa, natura ricodificata: coordinate di un garbuglio che conduce, nel finale di Furiosa, alla strana sorte dei lombi di un uomo che sembra proprio Dementus, simbolo di una cultura patriarcale che potrebbe essere utile solo come concime. Qui siamo all’invito di Donna Haraway di escogitare un nuovo modo di relazionarsi alla natura che vada oltre il possesso fisico.

Il Mad Max di Fury Road è “colui che fugge sia dai vivi che dai morti” ovvero un personaggio che vive in pieno la scissione psichica di un mondo post-apocalittico che è anche post-civilizzazione, che vorrebbe solo trovare un modo per lasciarsi morire in pace. Furiosa invece è, più sottilmente, una narrazione che guarda al passato per cercare una bussola, uno straccio di mappa verso l’Eden. Furiosa vuole vivere perché lo ha promesso alla Madre. In questo personaggio eroico c’è anche qualcosa dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, in particolare della guerriera Bradamante. Prima di far entrare in scena Orlando, il poema cinquecentesco narra della paladina francese e della sua missione per recuperare l’amato Ruggiero tenuto prigioniero in un castello d’acciaio sui Pirenei, in cima a una rupe impossibile da scalare. Ruggiero, un po’ come le Mogli di Immortan Joe, viene tenuto al sicuro/segregato in una cittadella fortificata dal mago Atlante, insieme a un gruppo di donne e cavalieri di compagnia tra canti e giochi. Bradamante si mette in viaggio per prendersi Ruggiero. Sebbene abile in duello, le doti più importanti della guerriera sono l’astuzia e la capacità di usare incantesimi e strumenti magici. Qui il solco tematico ariostesco delle apparenze che ingannano. Tra l’altro Bradamante seduce Fiordispina, un’altra guerriera, fingendosi uomo per mettere le mani sul suo cavallo. L’Europa delle Crociate raccontata nella letteratura cavalleresca richiama esempi di assemblaggio tecno-biologico tra guerriero e cavallo, tra uomo e dispositivo bellico. Qui siamo al “concatenamento macchinico” descritto da Gilles Deleuze e Felix Guattari: un organismo (ma “corpo senza organi”), una totalità significante che entra in relazione con altre macchine, altri concatenamenti (cfr. Deleuze, Guattari, 2017). Come notano i due filosofi in Mille piani, la narrativa è il contesto ideale per far incontrare le varie macchine: quella bellica e cavalleresca con quella amorosa per esempio, oppure con altre macchine più complesse.

I travestimenti e gli artifici di Ariosto anticipano le commedie dei secoli successivi e, in un contesto fortemente codificato come quello del poema cavalleresco, preannunciano le riflessioni moderne sulla fragilità delle categorizzazioni riguardanti l’umano, sul mimetismo dell’intorno post-umano costituito dal corpo biologico e oggetti. Un mimetismo che sembra necessario per proseguire il viaggio verso l’amato Ruggiero o verso il desiderato Luogo Verde. Furiosa si fa passare per uomo al fine di entrare nella cerchia dei meccanici della Cittadella e avvicinarsi ai mezzi di trasporto come la splendida Blindocisterna. Analogamente a Bradamante, Furiosa deve cercare con l’astuzia e con i saperi una leva che le consenta la libertà di scrivere la propria storia nonostante i clan. Il Mad Max di Fury Road è un eroe che soccorre, accompagna e protegge. Furiosa è qualcosa di più: un Ulisse che studia le mappe, coltiva saperi e assorbe mondi.

I Custodi della Storia
La reinvenzione della lingua pensata da George Miller passa per il ruolo dei Custodi della Storia. Sembra una vera e propria casta di eruditi che si auto-qualifica semplicemente esponendo l’epidermide ricoperta di tatuaggi: segni particolarmente minuti e fittissimi, ad annotare nomi, date, mappe, disegni. La pelle dei Custodi richiama L’uomo illustrato di Ray Bradbury, in cui tatuaggi animati avviano le storie della raccolta. Con questa trovata Bradbury descrive il passaggio dalla cultura alfabetica a quella audiovisiva, cercando di dare senso al caos della cultura per immagini, al gioco dei significati che sfuggono ai significanti, arginando nuove imprevedibili minacce al logos del discorso letterario. In Fahrenheit 451, gli uomini-libro memorizzano volumi stampati per resistere alla distruzione della cultura libresca. Nella saga di Mad Max, i Custodi simboleggiano una analoga resistenza all’oblio. Qui non vi è una precisa censura politica, ma solo la minaccia della dimenticanza. Paradossale oggi più che mai, nell’era delle tecnologie informatiche che offrono vertiginose capacità di archiviazione. In Furiosa, il Custode di Dementus sembrerebbe avere una certa importanza in quanto commentatore di tutta la narrazione in voce off. Ma a ben vedere il vecchio saggio non è che un maggiordomo pronto a passare il microfono al capo o a offrirgli “hamburger di parole”. Solo al summit tra Dementus e Immortan Joe, il Custode riesce a svolgere un ruolo da consigliere e non esita a suggerire di dare la piccola Furiosa in sposa ai fini di un “matrimonio reale misto”. Protegge la bambina o incarna il potere magnetico di una storia antica che vuole ripetersi? Rispunta uno schema da Ancien Régime: la politica dei matrimoni, i sodalizi tra le casate che si rendevano tutte complici del sistema assolutistico mescolando il proprio sangue.

Nel disegno di George Miller i Custodi sono importanti non come motore dell’azione ma come simbolo di un ponte tra la società delle parole e del petrolio che si è suicidata e una futuribile civilizzazione che potrebbe ripartire proprio dalla parola scritta. Il punto è: chi leggerà? Potranno quei tatuaggi essere usati come mappe per un futuro davvero alternativo a quello del patriarcato petrolifero? Riuscirà il libro a non essere calco dell’esistente e del potere per offrire una moltiplicazione dei punti di vista e quindi maggiori possibilità di crescita? In fondo, a seguire Deleuze e Guattari, il libro non è che un “corpo senza organi” come il binomio cavallo-cavaliere. Come si legge in Mille piani: “scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare, perfino delle contrade a venire”. Quali saranno i concatenamenti cercati da chi legge i tatuaggi dei Custodi?

Letture
  • Ray Bradbury, L’uomo illustrato, Mondadori, Milano, 2017.
  • Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, Milano, 2023.
  • Rosi Braidotti, Il postumano: La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma, 2014.
  • Gilles Deleuze, Felix Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes, Salerno, 2017.
Visioni
  • George Miller, Mad Max Anthology, Warner, 2015 (homevideo).
  • Steven Spielberg, Duel, Universal, 2015 (homevideo).