Interiores cubanos @ Francesco Allegretti.
Every Picture Tells A Story cantava Rod Stewart con quella sua inimitabile voce sporca di ruggine in apertura dell’album (omonimo) che lo lanciò nello spazio delle rockstar. Ogni immagine racconta una storia, almeno una, perché sono molteplici le narrazioni incastonate in un’immagine e che fanno, per esempio, di un singolo scatto fotografico uno zibaldone di storie. Storie che si scoprono a strati come in una cipolla, perché da ogni singolo istante catturato dall’obiettivo affiorano rimandi ad altre storie che a loro volta si ramificano, richiamandosi a vicenda, quelle relative ai luoghi, alla gente e a quanto accade, ma anche alla letteratura, al cinema, a tutto quanto convive nell’immaginario, la cui natura più intima consiste proprio nel gioco dei rimandi e degli specchi.
Every Picture Tells A Story e ce lo ricorda una volta di più un rutilante reportage fotografico di Francesco Allegretti, compendio d’una esplorazione a Cuba, in particolare tra le vie de L’Avana, sorta di indagine sul campo sugli effetti di un embargo nell’embargo, ovvero l’isolamento imposto anche dalla pandemia, ulteriore carico di affanni su un popolo che subisce, oltre alle storture del socialismo reale, il bloqueo economico statunitense da oltre mezzo secolo. Il progetto fotografico di Allegretti è stato in mostra alla Key Gallery di Milano lo scorso dicembre, compendiato da un’esauriente selezione degli scatti raccolti nel catalogo Interiores cubanos, il titolo anche della mostra.
Interiores cubanos @ Francesco Allegretti.
Un tour lontano mille miglia dalle logiche turistiche (quello sessuale tristemente in primis) che sbarcano a Cuba da decenni. Lo sguardo di Allegretti è rivolto altrove, frutto di una scelta precisa, quella di mimetizzarsi tra abitazioni, negozi, luoghi di lavoro, vie e viuzze, edifici segnati dal tempo e anche dall’incuria, dal sovrapporsi di epoche e di costumi, oggetti senza età che l’uso quotidiano trasfigura, di farsi da parte e catturare le persone alle prese con affanni quotidiani, cercando volti, gesti, posture sempre alla ricerca dell’anima di quella terra, del suo genius loci, in una ricerca che include anche i suoni, che pare proprio di ascoltarli in certi scatti. Ovunque in tutti gli scatti colori pieni, pienissimi, e dappertutto un grumo di nero di dimensioni variabili, quasi a segnare in ogni attimo, in tutti gli angoli di quella terra anche la luttuosità imposta dal virus.
L’Avana vista da Allegretti è divisa in cinque parti, una dedicata agli interni degli appartamenti, un’altra alla musica, la terza dedicati ai lavoratori, tutti statali ovviamente, una quarta alle strade e infine una al celeberrimo Tropicana. Immagini che raccontano storie che rinviano ad altre storie, le suggeriscono, lasciano che riaffiorino dalla memoria. La prima alla quale rimandano più in generale le fotografie di Allegretti data 1995 quando sul grande schermo arrivò Guantanamera, diretto da Tomás Gutiérrez Alea e portato a termine da Juan Carlos Tabío a causa della malattia del regista, che scomparve poco tempo dopo l’uscita del film (presentato tra l’altro alla 52ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia). È una vicenda grottesca, divertente, schietta, agrodolce, accompagnata dalle note della celeberrima canzone, che ci porta in giro per l’isola, in virtù di un surreale pretesto narrativo: il trasporto di un defunto da Guantanamo a L’Avana per celebrarne il funerale nella capitale; impresa andata in porto dopo non poche disavventure, mettendo alla berlina i guai e le magagne del socialismo castrista, le pastoie della burocrazia, documentando le inesistenti infrastrutture dell’isola e al contempo la sua lussureggiante bellezza.
Interiores cubanos @ Francesco Allegretti.
Dal funerale on the road di Guantanamera al reportage di Allegretti il passo è breve. Il tour per le vie della capitale e prima ancora nell’interno dell’isola mostra al tempo stesso lo scorrere degli anni nei dettagli e una atemporalità dai toni metafisici dell’insieme, insolito più che esotico cocktail offerto dall’insistito isolamento. Le persone che abitano gli appartamenti scrutati dall’occhio di Allegretti paiono spesso ammalati “di silenzio e solitudine” come scrive José Lezama Lima, un figlio de L’Avana, nel suo romanzo Paradiso a proposito di certi contadini di Vuleta Abaja, la terra del miglior tabacco cubano, mentre le strade della capitale hanno fughe prospettiche, colori che si addensano, mostrano cicatrici con dignità e orgoglio, come le figure enigmatiche che le attraversano. In queste immagini paiono riecheggiare ancora le parole di Lezama Lima dal suo romanzo fluviale, immenso, scandaloso, un trattato ermetico lo definì Julio Cortázar, dove la parola regna sovrana:
“Le strade divengono più indecifrabili di coloro che vi transitano, transitano coloro che portano negli occhi la fretta dell’amore, o quella dell’affare tintinnante, o la tirannia della noia aggressiva. Ma basta un bimbo che attraversi all’improvviso la strada più commerciale, col suo cane o col suo costumino da bagno, per farle cambiare il volto abituale col quale da cent’anni contempla la luna dei carbonai. Poi, torna a chiudersi, come una pianta estremamente sensitiva, e torna a mostrare la dentatura impiombata dei giorni d’incertezza”
(Lezama Lima, 2016).
Il catalogo della mostra privilegia le immagini dedicate ai lavoratori, artigiani, donne delle pulizie, uscieri, operaie, e altri mestieri imprecisati e anche oscuri, nati dall’arte di arrangiarsi alla maniera cubana, in interni riadattati, in strutture decadenti, e curiosamente più sono moderne e maggiore appare il grado di sfacelo. Una mescola di stili ed epoche vissuta con naturalezza come indicano le espressioni, le posture, i movimenti di questi trabajadores del gobierno. Sembrano accompagnati non tanto dalla musica popolare dell’isola, ma da quella elegante sintesi di accademia e folklore che è la musica di Leo Brouwer virtuoso della chitarra, compositore e figlio d’arte (un suo bisnonno è Ernesto Lecuona, quello di Malagueña e altre celebri canzoni). Brouwer ha fuso alchemicamente studi classici e patrimonio popolare. Una vera arte, assai tangibile in una recente rilettura di Mariel Mayz per pianoforte dei suoi Bocetos (sketches), dieci brani dedicati ciascuno a un pittore cubano. Musica senza tempo, come appaiono i ritratti metafisici di Allegretti dedicati al lavoro a Cuba ai tempi del coronavirus.
Interiores cubanos @ Francesco Allegretti.
Ogni immagine racconta una storia, meglio ancora se messa in musica, come le donne solitarie che cantano per un pubblico invisibile o per sé stesse, chissà, donne che dalle foto di Allegretti ci conducono a un altro film, quello che nel 1999 sdoganò Cuba nel mondo intero: il favoloso Buena Vista Social Club di Wim Wenders e di Ray Cooder che due anni prima aveva scovato la combriccola degli ultranovantenni, registrando con loro un disco che sedusse il mondo. Tra locali, interni e vie de L’Avana, Allegretti cattura istanti della vita di musicisti per professione o per diletto e pare proprio che lì nei paraggi si aggirino ancora sornioni Ibrahim Ferrer, Rubén González e gli altri membri del Buena Vista.
Infine c’è un altro vegliardo, il Tropicana che venne al mondo nel 1939 generato da Vittorio Costa Correa, di padre italiano, che lo battezzò Edén Concert, ma l’anno dopo diede retta al coreografo del locale, Sergio Orta, chiamandolo Tropicana, e ancora una volta c’è di mezzo una canzone, Tropicana, scritta dal cubano Alfredo Britto e che a Orta piaceva tanto. Al Tropicana si sono visti Frank Sinatra, Josephine Baker, Nat King Cole, Celia Cruz, passando a tempo di cha cha cha dalla mafia made in USA alla rivoluzione.
Interiores cubanos @ Francesco Allegretti.
Ancora oggi è uno spettacolo immaginifico per le scenografie voluttuose, le oltre cento ballerine che lo popolano per uno spettacolo della durata di circa tre ore e quella sensazione che una volta di più a Cuba il tempo sia fuor di sesto, che la nostalgia è al tempo stesso per il passato e per il futuro, così anche i fasti che la festeggiano e che paiono incarnare lo spirito dell’isola, al punto che paiono scritte oggi e non nel 1967 le parole di Guillermo Cabrera Infante, nato in quel di Gibara, sempre a Cuba. Ancora una volta un romanzo sperimentale, Tre tristi tigri, forse perché Cuba è un laboratorio dove si sperimenta l’arte di vivere:
“Molte cose della città mi sembrarono incantevoli, ma io non ho mai sofferto del pudore dei sentimenti e posso elencarle. Mi è piaciuta la città vecchia. Mi è piaciuto il carattere della gente. Mi è piaciuta, molto, la musica cubana. Mi è piaciuto il Tropicana: nonostante sia un’attrazione turistica e sappia di esserlo, è bello, esuberante e vegetale, a immagine dell’isola. I cibi erano passabili e le bevande come dappertutto, ma la musica e la bellezza delle donne e l’immaginazione del coreografo furono indimenticabili”
(Cabrera Infante, 2006).
L’incantevole e il duro vivere quotidiano si intrecciano nella realtà cubana e queste fotografie rimbalzando da un piano all’altro ne restituiscono tutta l’ambiguità e dunque la bellezza. Non c’è una verità assoluta, unica, tutto è un po’ come la città invisibile di Zemrude descritta da Italo Calvino, dove “l’umore di chi la guarda” dà alla città la sua forma:
“Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi s’impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia. Non puoi dire che un aspetto della città sia più vero dell’altro…”
(Calvino, 2016).
Chissà se fosse un ricordo quasi prenatale quello di Calvino, che nacque a Cuba e la lasciò all’età di due anni.
- Ry Cooder & Cuban All Stars, Buena Vista Social Club World, Warner Music, 2015.
- Mariel Mayz, Leo Brouwer, Cuban Sketches for Piano, Zoho Classix, 2022.
- Guillermo Cabrera Infante, Tre tristi tigri, il Saggiatore, Milano, 2006.
- Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2016.
- José Lezama Lima, Paradiso, Sur, Roma, 2016.
- Tomás Gutiérrez Alea, Juan Carlos Tabío, Guananamera, Cuba, 1995.
- Wim Wenders, Buena Vista Social Club, BMG Rights Management, 2021 (home video).