Quando Emil Cioran, nato Rasinari nel 1911, nella Transilvania allora austro-ungarica, figlio secondogenito di un prete ortodosso, Emilian Cioran, e di Elvira Comaniciu, scrive gli appunti e i frammenti pubblicati ora in Finestra sul Nulla (Fereastra spre nimic) pubblicato da Adelphi, era già sulla buona strada per raggiungere quello che lui stesso avrebbe definito un “fallimento di successo”: senza lavoro fisso, girava la Francia – dove si era stabilito nel 1937 con una borsa di studio – in bicicletta dormendo negli ostelli, frequentava senza alcuna convinzione la Sorbona, presso la cui mensa avrebbe pranzato fino ai quarant’anni suonati, faceva finta di preparare una tesi che non avrebbe mai completato. Nel frattempo scriveva, dando sfogo cartaceo ai suoi malumori metafisici ed esistenziali, ancora nella lingua madre, il romeno, nella quale aveva già pubblicato 4-5 libri, a partire dal diario filosofico Al culmine della disperazione, un trattato di Grenzenphilosophie, di filosofia estrema, al confine con il lirismo e la poesia, il lucido delirio tipico del mistico e del visionario. Soprattutto per un lettore che conosce bene Cioran e ne ha compulsato le pagine più memorabili, Finestra sul Nulla rischia di risultare un po’ al di sotto delle aspettative. Abbiamo l’impressione che sia semplicemente fuorviante paragonare, come hanno fatto molti recensori, questi frammenti scritti tra il 1943 e il 1945 e lasciati dal suo autore nel cassetto, con opere successive a partire dal Sommario di decomposizione, che uscirà nel 1949, primo libro in francese di Cioran. Il titolo Finestra sul Nulla non è di Cioran, è tratto dal primo aforisma, la fulminante definizione che apre questo manoscritto:
“L’imbecille fonda la sua esistenza solo su ciò che è. Non ha scoperto il possibile, finestra sul Nulla”.
Adelphi ha avuto il merito impagabile di far conoscere Cioran in Italia: negli anni Ottanta e Novanta sono uscite quasi tutte le sue opere più importanti, da Al culmine della disperazione, il primo libro di Cioran, che scrisse quando aveva 21-22 anni, pubblicato quand’era ancora in Romania, fino ai Quaderni, usciti nel 2001 e che non possono mancare nella biblioteca di uno scettico disincantato, di uno il cui destino è “diventare un eroe del vuoto interiore” (Cioran, 2022). Dopo l’uscita dei Quaderni, uno zibaldone costituito da appunti, riflessioni, aforismi, messi assieme dalla compagna di una vita, Simone Boué, Adelphi è stata affiancata da altre case editrici che hanno proseguito nella pubblicazione di lavori su Cioran indispensabili per conoscere meglio la biografia e il pensiero dello scrittore rumeno. Soprattutto la sua vita, perché tutti i libri di Cioran usciti per Adelphi non prevedono, in testa o in coda, volutamente, introduzioni o postfazioni. Ed è infatti proprio dalle interviste, pubblicate da Adelphi (Un apolide metafisico) e di recente dalla Scuola di Pitagora (Ultimatum all’esistenza) che viene fuori un ritratto più completo della vita di Cioran. Adelphi certo non è stata a guardare, dando alle stampe nel 2019 il carteggio intrattenuto da Cioran con Mircea Eliade, altro grande romeno spostatosi in Francia (cfr. Cioran, Eliade, 2019). Il tutto da integrare all’imperdibile biografia di Gabriel Liiceanu (Cioran, 2018), la cui edizione italiana è curata da Antonio di Gennaro.
Scrittore-filosofo atipico, fuori dalle, o non inquadrato nelle, correnti accademiche del Novecento, Cioran è senza dubbio un pensatore asistematico, per sua stessa ammissione. Ma proprio per questo, le sue parole suonano più autentiche, spontanee, e attuali perché sgorgano – ora come fiotto d’ira, ora come irredimibile sentenza, spesso come breve ragionamento (“Modelli di stile: la bestemmia, il telegramma e l’epitaffio”, si legge in Sillogismi dell’amarezza; Cioran, 1993) – dal disagio esistenziale: un Privatdenker, più vicino per temi e sensibilità a Pascal, ai moralisti francesi, a Giacomo Leopardi che ai filosofi sistematici, come Martin Heidegger e Jean Paul Sartre, dai quali Cioran si sentiva orgogliosamente lontano. Ma è anche, e forse soprattutto, uno scrittore. Quando uscì Il manuale di decomposizione, fu salutato come uno dei massimi stilisti della lingua francese; che non era la sua lingua madre. Prima di abbracciare seriamente l’idioma transalpino, Cioran aveva scritto cinque-sei libri in romeno, fra i quali Al culmine della disperazione, uscito nel 1934 che contiene già tutto il suo pensiero, come lui stesso ebbe a sottolineare in più interviste. Sempre in romeno, ma questa volta già a Parigi, aveva scritto (tra il 1940 e il 1948) quel Breviario dei vinti uscito postumo e dal quale citiamo questo passo straordinario:
“Lo smacco è il coronamento delle vite eccezionali… un’esistenza che trionfa sul tempo sopprime implicitamente la sua propria durata. Ciò che è grande è destinato al crollo, perché ogni dismisura è legata in modo fisiologico all’incalzare di un epilogo. Così lo smacco diviene fatalmente il prezzo della grandezza e il senso immanente dell’incommensurabile. Noi avremmo bisogno di un Plutarco moderno, che non si concentrasse più sulla grandezza né sull’inevitabile smacco, che si occupasse non dell’idea di eroismo, ma dello scacco quotidiano e duraturo, della portata del fallimento originario, operando così secondo il criterio dell’insuccesso organico. Attendiamo un Plutarco dei falliti. Le vite parallele degli uomini incompiuti. Ecco il simbolo della spaccatura vitale che connota l’individuo moderno! E se questi non merita l’attenzione della biografia diamo almeno alle stampe un’odissea nella quale Ulisse non faccia mai più ritorno a casa”. (Cioran, 2019).
Il tema del fallimento come corona e scettro di una aristocratica superiorità metafisica prima ancora che morale, e che Cioran ritiene una qualità assente nei sani, in chi ha vinto, in chi ha successo, ritorna anche sulle pagine della Finestra sul Nulla; ecco alcuni excerpta esemplari:
“Vi è qualcosa di più nobile che non riuscire nella vita?”
“La fortuna è l’emblema della volgarità. Nella sua abiezione, il destino si prende cura solo della gente meschina; sulle fronti nobili non iscrive che la tristezza e l’infelicità”.
“Fallita è un’esistenza che non ha alcun legame diretto con l’assoluto né con l’amore”.
Quando, dopo la morte di Cioran, furono ritrovati i trentaquattro taccuini che per quindici anni aveva riempito con le annotazioni più disparate, qualcuno rimase sbalordito di fronte a quell’imponente serbatoio, confluito poi in un libro, Quaderni – 1957-1972, che leggiamo oggi (in Italia sempre grazie ad Adelphi) come uno dei vertici della sua opera.
La Finestra sul Nulla (uscito da Gallimard nel 2019 a cura di Nicolas Cavaillès) nasce come raccolta di frammenti in un manoscritto di trecento fogli sciolti conservati alla Bibliothèque littéraire Jacques Doucet a Parigi. Attingendo da questo manoscritto, nel novembre 1948, Cioran fece pubblicare una serie di Frammenti nella rivista Luceafārul, e in appendice a questo volume il lettore trova il testo integrale di quella pubblicazione (pp.217-229). Penultimo scritto pubblicato da Cioran in romeno, Frammenti vengono in parte anche dal Breviario dei vinti. All’epoca, Cioran firmò questo testo con le iniziali Z.P., per timore di rappresaglie da parte del regime comunista da poco instaurato in Romania. Come precisa Nicolas Cavaillès nella premessa a Finestra sul Nulla:
“Fra le righe si colgono i motivi principali della crisi all’opera. Sono ormai sette anni che Cioran si trova a «muffire gloriosamente nel Quartiere Latino» (come scrive in una lettera del maggio 1944), è finita la guerra, che ha portato via con sé le sue opinioni politiche (alle quali ha definitivamente voltato le spalle), e il suo personale destino ha tutta l’apparenza di un fallimento: in poco tempo, passata la trentina, il giovane intellettuale prodigio di Bucarest è molto invecchiato: adesso vaga nell’anonimato dei boulevard di Parigi, e in piccole, provvisorie camere d’albergo imbratta centinaia di pagine illeggibili (non gli è ancora apparsa la radicale soluzione della scrittura in una lingua diversa dalla sua, che gli farà condensare nei suoi due primi libri in francese, Sommario di decomposizione e Sillogismi dell’amarezza, tutta la materia romena accumulata, ivi comprese la sua inutilità e la sua rabbia – e lì integrerà anche alcuni aforismi sparsi trapiantati dalla presente raccolta)”.
Il fatto, comunque, che il suo autore non li abbia pubblicati interamente fa sospettare che li considerasse materiale preparatorio di quello che poi i francesi avrebbero letto nel Sommario di decomposizione o ne L’inconveniente di essere nati, per citare due titoli d’eccellenza. Tuttavia, anche in questo librino si trova qualche chicca nella quale fa capolino finalmente der echte Cioran, Cioran in purezza; eccone alcuni:
“La vita: un aneddoto in un cimitero. Una farsa al mattatoio…”
“Se qualcuno possedesse la lucidità o l’audacia necessaria per mettere in luce l’illusione su cui poggia la sua esistenza, lo prenderemmo tutti per pazzo. E siccome ciascuno vive perché si ritiene, inconsciamente, l’incarnazione essenziale dell’essere, la nostra ineluttabile assurdità si rivela solo nelle crisi. Un individuo assolutamente lucido non potrebbe respirare un solo istante. La verità è una sciagura che folgora l’ardente desiderio di essere”.
“Battere il selciato della Città e vendervi a qualsiasi passante rimasugli di pensiero, puttana astratta al servizio dell’assurdo…”
“La vita è una Resurrezione in un Inferno”.
“La mia presenza in questo mondo è più innaturale che un’interiezione in geometria”.
“Gli avvenimenti di questo mondo sono le tracce che i passi del Diavolo lasciano nel tempo”.
Fra questi “passi” impressi dal Diavolo nella storia spicca la guerra. Di cui Cioran non parla, così come non ne parla un altro scrittore parigino per scelta e ideali, Henry Miller, letto e apprezzato da Cioran: entrambi erano in sostanza dei déracinés. All’americano a Parigi George Orwell rimproverava, riferendosi soprattutto al Tropico del Cancro (1934), il disimpegno storico. Solo a chi non conosce Emil Cioran, o ne è poco avvezzo, potrebbe suonare strano o paradossale che negli appunti, ora brevi ora più ampi, pubblicati in Finestra sul Nulla, non compaiano riferimenti espliciti alla seconda guerra mondiale: le catastrofi vere per Cioran sono tutte individuali e più profonde: Cioran amava così tanto Dio da preferire il disperato ateismo pur di non attribuire al Supremo la paternità di un mondo inferiore, il nostro, tarato e oppresso dal male, dal dolore e dall’ingiustizia, per non parlare del cafard, dell’assurdità del vivere, della malattia, della morte, tutte esperienze universali e assurde, che permangono anche senza guerre, in statu pacis.
Cioran ripeté spesso che la morte è l’unico argomento serio della filosofia, tutto il resto è ciancia accademica: donde la superiorità delle religioni rispetto alla filosofia. Le guerre finiscono. E le società ne sono uscite spesso rinate e più fresche. Sicuramente ricostruite. La tragedia del vivere no. E dal “vivere che è un correre alla morte” come si legge nel Purgatorio (Dante, 2021), non si guarisce se non con la Morte.
Nel 1949, a più di dieci anni dal trasferimento in Francia (1937) Cioran pubblica con l’editore Gallimard il primo libro nella lingua di Pascal e Voltaire, di Chateaubriand e Chamfort: quel Trattato di decomposizione che ancora oggi rappresenta una delle punte di diamante della sua produzione. Dicevamo: non c’è nessuna allusione al clima bellico coevo. Ma gli echi della guerra, l’evento storico più catastrofico per una società, non si colgono nemmeno nei Sillogismi dell’amarezza, un altro chef-d’oeuvre cioraniano scritto proprio nel periodo più oscuro del conflitto mondiale, ma pubblicato dopo il Trattato. È nei Sillogismi dell’amarezza che troviamo schegge poetico-filosofiche divenute celebri e iconiche di Cioran, come questa, che è più facile sia compresa da un poeta che da un filosofo da cattedra:
“Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi”
(Cioran 1993).
Questa frase riprende, in versione più stilisticamente raffinata, un appunto di Finestra sul Nulla:
“Il mio passaggio attraverso i giorni assomiglia a quello di una puttana senza marciapiede”.
Ma ci sono chicche ancora più brillanti e poeticamente atemberaubend, come le seguenti che ci piace porre a esergo e suggello finale di questo articolo:
“Vi sono giorni in cui le speranze si pietrificano di colpo in piena luce”.
“La lucidità è per l’anima ciò che il mal di denti è per il corpo”.
“Ognuno dei miei pensieri è un guanto di sfida all’universo”.
“La musica mi fa agognare una chiarezza estranea alla luce, e una tenebra che non dipende dalla notte”.
- Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, a cura di Marcello Ciccuto e Domenico De Martino, Gedi Gruppo editoriale, Torino, 2021.
- Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, Milano, 1993.
- Emil Cioran, Sommario di decomposizione, Adelphi, Milano, 1996.
- Emil Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi, Milano, 1997.
- Emil Cioran, Al culmine della disperazione, Adelphi, Milano, 1998.
- Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati, Adelphi, Milano, 1999.
- Emil Cioran, Quaderni 1957-1972, Adelphi, Milano, 2001.
- Emil Cioran, Un apolide metafisico (Conversazioni), Adelphi, Milano, 2004.
- Emil Cioran, Taccuino di Talamanca, Adelphi, Milano, 2011.
- Emil Cioran, Breviario dei vinti, traduzione di Cristina Fantechi, Voland, Roma, 2019.
- Emil Cioran, Ultimatum all’esistenza, Conversazioni e interviste (1949-1994), a cura di Antonio di Gennaro, La Scuola di Pitagora, Napoli, 2020.
- Emil Cioran, Mircea Eliade, Una segreta complicità. Lettere 1933-1983, Adelphi, Milano, 2019.
- Gabriel Liiceanu, Emil Cioran. Itinerari di una vita. L’apocalisse secondo Cioran (ultima intervista filmata), a cura di Antonio Di Gennaro, Mimesis, Milano, 2018.