Far luce nelle tenebre:
una biografia singolare

Giovanni Papini
Il Diavolo
Appunti per una futura diabologia
Gog, Roma, 2018
pp. 205, € 15,00

Giovanni Papini
Il Diavolo
Appunti per una futura diabologia
Gog, Roma, 2018
pp. 205, € 15,00


Anni fa, Jorge Luis Borges sospettò che Giovanni Papini fosse stato “immeritatamente dimenticato” (Borges, 1975), ma oggi qualcosa sembra cambiato, perché stiamo assistendo a un rinato interesse dell’editoria italiana per lo scrittore fiorentino, fra i protagonisti, con Giuseppe Prezzolini e Ardengo Soffici, della vita intellettuale italiana del primo Novecento (basti qui ricordare le più famose riviste, da lui fondate o dirette: Leonardo, 1903-1907; La Voce, 1908-1916; e Lacerba, 1913-1915).
Dopo Dante Vivo, ripubblicato nel 2016 a settant’anni dalla seconda edizione del 1943 e a pochi mesi dalla riproposta (2017) di Gog – strano romanzo satirico/fantascientifico nel quale il miliardario americano Gog narra in forma diaristica il suo percorso dai fasti della ricchezza alla delusione per il mondo e gli uomini, dopo aver ricercato il vero senso (inesistente) della vita, ricerca scandita da incontri eccellenti con i grandi protagonisti della storia e della letteratura – è approdata di recente in libreria una riedizione de Il Diavolo (e l’editore, non a caso, si chiama Gog), uno dei testi più originali e controversi di Papini, che non mancò, quando uscì in prima edizione nel 1953, di dividere il pubblico dei lettori, soprattutto quello cattolico:

“Partono le polemiche all’uscita del volume (dicembre ‘53) da giornali e periodici come «Il Mattino», «La Nazione», «Il Corriere della Sera», «Oggi». Il 25 gennaio una nota dell’«Osservatore Romano» (Una condanna superflua) dichiara Il Diavolo «un libro colmo di errori, anzi scapigliati e clamorosi» e perciò ipso iure prohibitus. Viene ritirato dalle librerie cattoliche. I gesuiti – abituali difensori di P. fin dai tempi della revisione preventiva della Storia di Cristo e dei rapporti con padre Rosa – questa volta si dividono. P. Valentini interviene su «Letture» per difendere P., padre Lombardi lo attacca. Intanto, da uno spoglio della corrispondenza che i lettori inviano allo scrittore, risulterebbe che i laici sono in maggioranza a favore e i preti in maggioranza contro”(Isnenghi, 1976).

Preceduto da una breve dichiarazione introduttiva dell’autore, articolato in 15 parti e 85 brevi capitoli, con poche ed essenziali note in calce, senza bibliografia, e chiuso da un radiodramma, Il Diavolo tentato, in tre tempi, scritto nel 1950, Il Diavolo non vuol essere, come precisa lo stesso Papini:

“Una storia delle opinioni e delle credenze intorno al Diavolo; [né] una scorribanda più o meno erudita o più o meno divertente attraverso le antiche o moderne leggende sul Diavolo; [né] un’arida trattazione concettuale e nemmeno, come potrebbe sembrare, una difesa del Diavolo. […] Mi sono proposto, soprattutto, guidato, da un senso di carità e di misericordia, di studiare, liberandomi da pregiudizi e prevenzioni, i seguenti problemi: le vere cause della ribellione di Lucifero (che non sono quelle comunemente credute); i veri rapporti tra Dio e il Diavolo (molto più cordiali di quel che s’immagina); la possibilità del tentativo da parte degli uomini di far tornare Satana al suo primo stato liberando noi tutti dalla tentazione del male”
(Papini, 2018).

Questa bizzarra ipotesi di una possibile redenzione del Diavolo ha in realtà illustri ascendenze filosofiche e teologiche, in primis la teoria dell’apocatàstasis di Origene, mai riconosciuta dalla Chiesa Cattolica:

“La teologia cattolica insegna che le pene infernali sono eterne e che Satana, perciò, non sarà mai riammesso ai cori angelici. Ma diversa opinione ebbero alcuni teologi dei primi secoli cristiani e alcuni poeti dei tempi moderni. […] Il teologo alessandrino (Origene, ndr) era condotto da questa sua idea ad ammettere anche la salvezza finale del Diavolo. Infatti egli crede che i Demoni torneranno ad essere Angeli. «Gli uni prima, gli altri più tardi, dopo lunghi e severi tormenti, ritorneranno nelle schiere degli angeli, poi s’innalzeranno ai gradi superiori e giungeranno alle regioni invisibili ed eterne…» (De principiis I, 6,3). E lo stesso capo dei Demoni sarà, alla fine, redento. Origene, il quale era consapevole dell’arditezza della sua teoria, non chiama il Diavolo col suo vero nome ma con quello della Morte, ricordando che, secondo la parola di San Paolo, la morte entrò nel mondo col peccato. Ma il testo origeniano dimostra che si tratta veramente del Diavolo. «L’ultimo nemico, che si chiama Morte, sarà distrutto e non vi sarà più tristezza, e non vi sarà più opposizione, poiché il Nemico sarà sparito. Questo ultimo Nemico non sarà distrutto nel senso che la sua sostanza, fatta da Dio, sarà annientata, ma nel senso che la perversità del suo volere, ch’è opera sua e non di Dio, sparirà» (De Principiis III, 6,5).” (Papini, 2018).

Sembra che la concezione di Origene non dispiacesse ad alcuni Padri della Chiesa, fra i quali San Girolamo, come si evince da un passo del suo Commento all’Epistola agli Efesi (16) citato da Papini:

“«all’epoca dell’universale ristorazione quando il vero medico, il Cristo Gesù, verrà per guarire il corpo della Chiesa, oggi diviso e dilaniato, ciascuno…riprenderà il suo posto e tornerà ad essere ciò che fu in origine…l’Angelo Apostata tornerà al suo primo stato e l’uomo rientrerà nel paradiso dal quale fu sbandito»” (Papini, 2018).

Lucifero cadde “per non aspettar lume”
Nella Divina Commedia, e nell’Inferno in particolare, Dante indica il Diavolo con tre nomi (quattro, se includiamo Dite, il re degli Inferi classici insieme a Plutone, e sinonimo di Lucifero): Satana (Inferno VII, 1); Belzebù (Inferno XXXIV, 127); e Lucifero, “Lo ‘mperador del doloroso regno” (Inferno XXXIV, 28), creatura gigantesca e mostruosa, con tre teste – una vermiglia, l’altra “tra bianca e gialla”, la terza nera, colori che simboleggiano il contrario delle tre virtù teologali e quindi rabbia, invidia e ignoranza – ciascuna delle quali dotate di un paio d’ali da preistorico pterodattilo (“vipistrello”); e con ognuna delle tre bocche sbrana un peccatore, e più precisamente i tre abietti campioni del tradimento: Giuda, Cassio e Bruto.
Lucifero, “colui che fu nobil creato più ch’altra creatura” (Purgatorio XII, 25-26), era in origine un angelo bellissimo che per superbia si rivolta contro Dio:

“Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sé dalla bontate
che li avea fatti a tanto intender presti;
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
sì c’hanno ferma e piena volontate”
(Paradiso XXIX 55-63).

Nel canto XIX del Paradiso, nel sesto cielo, l’Aquila formata dalle luci degli spiriti giusti e pii, aveva fornito a Dante una ragione più complessa di quella caduta. Lucifero (“il primo superbo/che fu la somma d’ogni creatura”), cadde “acerbo”, come un frutto non maturo, perché non volle “aspettar lume”, non ebbe, cioè l’umiltà e la pazienza di attendere la grazia illuminante:

[“] Colui [scil. Dio] che volse il sesto
allo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
non potè suo valor sì fare impresso
in tutto l’universo, che ‘l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo che ‘l primo superbo,
che fu la somma d’ogni creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo;
(Paradiso XIX, 40-48).

La caduta di Lucifero trova la sua replica sul piano terreno nella disubbidienza di Adamo ed Eva, indotti al peccato proprio da Satana: quindi, c’è una caduta subito dopo la creazione, che fu perfetta nei suoi primi effetti, e c’è un’altra caduta (peccato originale) all’origine della storia dell’uomo: entrambe hanno come denominatore comune una ribellione, un atto di presunzione, ovvero quel “trapassar del segno” che, come dice Adamo a Dante (Paradiso XXVI, 117), fu violazione più grave del “gustar del legno” (ibidem, 115), cioè la disobbedienza al divieto di cogliere il frutto dall’Albero del bene e del male.

Storie parallele
La raffigurazione di un Principio/Principe del Male opposto al Bene non è patrimonio esclusivo della cultura giudaico-cristiana. Papini si sofferma sui parallelismi tra i miti e le antiche religioni precristiane e Satana. La battaglia nei cieli descritta dall’Apocalisse riecheggia le Gigantomachie greche, così come il fratricidio di Caino trova il suo antecedente nell’uccisione di Osiride compiuta, sempre per invidia, dal fratello Set:

“Set regnava molti secoli prima di Mosè e di Omero, è dunque più antico del Satana ebraico e del Tifone greco: è il patriarca di tutti i principi delle tenebre. Ma il suo nome è rimasto vivo anche nei primi secoli del cristianesimo perché associato ai misteri di Iside. Set non fu solo avversario delle divinità della luce ma divenne famoso per il suo fratricidio… La storia dell’umanità comincia col fratricidio di Caino che ricompare frequente nella storia del popolo ebraico: Assalonne uccide il fratello Ammon, Salomone il fratello Adonia, Jokanan il fratello Jesna. L’antica Grecia narra del doppio fratricidio di Eteocle e Polinice, di Timoleone corinzio uccisore del fratello Timofane, del re scita Saulio assassino del fratello Anacarsi. La storia di Roma comincia con il fratricidio di Romolo” (Papini, 2018).

La rivolta dei Titani contro il sommo Zeus è la trasfigurazione ellenica della ribellione degli angeli contro il biblico Jahveh. La caduta di Prometeo e Tizio è la versione greca della condanna degli angeli ribelli. Uno di questi Titani è Tifone o Tifeo:

“Tifone, al pari di Satana, fu il Dio della tenebra e della morte, il nemico della luce e delle divinità solari, l’autore dei cataclismi atmosferici e tellurici che sconvolgono gli elementi e minacciano e decimano la debole razza degli uomini …. Anch’egli, come il Satana della Genesi, è associato al serpente. Vien rappresentato dagli artisti con busto d’uomo e testa di serpe. Ha scelto a sua sposa Echidna, la Vipera, e con lei ha generato più mostri, la Chimera, Cerbero e le Arpie che ritroveremo nell’Inferno dantesco” (Papini, 2018).

Un’altra figura equivalente al Diavolo cristiano è il persiano Ahriman-Arimane (Angra Mainyu), che Giosuè Carducci denomina Agramainio, ma nell’Avesta si chiama Amramainyu. E a proposito di Carducci, la sua famosa “chitarronata” giovanile (come la definì l’autore stesso) intitolata Inno a Satana, non è un elogio al Diavolo, ma un panegirico, influenzato dallo storico francese Jules Michelet, alla scienza, al progresso, alla libertà. In una dimensione più squisitamente artistica e letteraria, soprattutto romantica e post-romantica, Satana/Lucifero assumono vieppiù i connotati simbolici di un novello Prometeo che porta il fuoco agli uomini, principio di civilizzazione.

La “normalizzazione” del Diavolo
È con la letteratura moderna che si scende a patti con il Diavolo: Doctor Faustus di Christopher Marlowe (1590), firma il primo patto con il Demonio, incarnato da Mefistofele, accordo che influenzerà Ben Johnson, ed è alla base del Faust goethiano e, nel Novecento, del Doctor Faustus di Thomas Mann.
Il Diavolo diventa una figura più familiare, intima, tutt’altro che orrida, anzi non solo decisamente antropomorfa, ma spesso elegante e raffinata, non per questo più gradevole o benevola; si riconfigura o si normalizza, preferisce indossare gli abiti e le movenze ricercate del Dorian Gray di Oscar Wilde, o l’aspetto di gentiluomo povero e decaduto del signore che appare a Ivan Karamazov (nel capitolo nono, della quarta parte de I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij); oppure le sembianze di un uomo eccentrico, allampanato, un misto tra il lenone, l’attore da teatro, l’artista bohémien, come il diavolo che compare ad Adrian Leverkühn, il protagonista di Doktor Faustus di Thomas Mann.

“Ciò che il Diavolo fosse nelle fantasie e nelle pitture del Medio Evo, e anche in pieno Rinascimento fino al Seicento, almeno secondo l’iconografia popolare, lo sappiamo benissimo. Un mostro bestiale, irsuto e deforme, con gli occhi di fuoco e la bocca digrignante, quasi sempre nudo, munito di alte corna e di lunga coda, con zoccoli caprini o equini, che diffondeva intorno a sé fetori fecali o afrori sulfurei.
Ma nell’Ottocento tutto cambia. Il Diavolo non appare più come l’orrendo bestione medievale e neppure come una creatura che serba le tracce della sua origine sovrumana. Si trasforma, si disbestia, prende forma e figura di uomo […] Non più angelo e non più bruto ma, quasi sempre, un uomo più o meno ben vestito, che potrebbe essere scambiato sulle prime, per uno dei tanti uomini strani e misteriosi che girano e veston panni nelle nostre città”
(Papini, 2018).

Papini ricorda a questo proposito la Meravigliosa storia di Pietro Schlemihl (1813) di Adalberto von Chamisso dove “Il diavolo gli apparve come «un uomo d’età, pallido, gracile, magro ed esile», che «portava un antico giustacuore di taffetà grigio cenere»” (Papini, 2018). Quella del Diavolo è stata quindi una delle più feconde rielaborazioni della cultura umana che dobbiamo principalmente al Cristianesimo. Ma non chiamate il Diavolo un’invenzione: come ricorda Papini, citando un verso di Charles Baudelaire da Lo Spleen di Parigi: “La plus belle ruse du Diable est de nous persuader qu’il n’existe pas”.

Letture
  • La Bibbia, testo ufficiale della Cei, Piemme, Roma, 1988.
  • Dante Alighieri, La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca italiana riveduto col commento scartazziniano a cura di Giuseppe Vandelli, Hoepli, Milano, 1987.
  • Andrea Aveto e Janvier Lovreglio (a cura di), Bibliografia degli scritti di Giovanni Papini, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2006.
  • Luigi Baldacci (a cura di), Papini dal Leonardo al Futurismo, Mondadori, Milano, 2008.
  • Jorge Luis Borges, Introduzione, in Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, Franco Maria Ricci, Parma, 1975.
  • Alberto Cousté, Breve storia del diavolo. Antagonista e angelo ribelle nelle tradizioni di tutto il mondo, Castelvecchi, Roma, 2004.
  • Mario Isnenghi, Papini, Nuova Italia, Firenze, 1976.
  • George Minois, Piccola storia del diavolo, Bologna, Il Mulino, 2000.
  • George Minois, Piccola storia dell’Inferno, Bologna, Il Mulino, 2006.
  • Giorgio Padoan, Demonologia, in Enciclopedia Dantesca, Istituto dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani, vol. 7, Treccani-Mondadori, Milano, 2005.
  • Giovanni Papini, Un uomo finito, Milano, Mondadori, 2014.
  • Giovanni Papini, L’Uomo Carducci, Bologna, Zanichelli, 1924.
  • Giovanni Papini, Dante vivo, La Scuola di Pitagora, Napoli, 2016.