Fantozzi è un personaggio letterario prima ancora che cinematografico: letterario nel senso che il mitico ragionier Ugo Fantozzi creato da Paolo Villaggio debuttò sulla carta (prima su L’Europeo e in seguito nella fortunata serie di libri, a partire dal 1971), per poi trionfare sul grande schermo. È una premessa solo in apparenza banale, perché l’aggettivo letterario potrebbe suonare eccessivo per molti scrittori/romanzieri; è quello che accadde durante un convegno negli anni Settanta quando il poeta russo Evgenij Entušenko dichiarò che lo scrittore italiano più importante era proprio l’autore-attore genovese Paolo Villaggio, paragonando Fantozzi ai grandi perdenti della letteratura creati da Nikolaj Vasil’evič Gogol’ e da Anton Čechov.
“A quelle parole gli altri autori italiani presenti in sala si voltarono a guardarlo, a cominciare da Dacia Maraini e, mentre Moravia lo fissava attonito con i «sopracciglioni aggrottati», Alberto Arbasino rimase letteralmente disgustato dalle parole dello scrittore russo”
(Pautasso e Stucchi, 2021).
Ironia della sorte, o nemesi storico-letteraria, a Villaggio fu conferito nel 2012 il Premio Gogol’ nella sezione Miglior opera umoristica. L’episodio è narrato in Fantozzi, Ragionier Ugo, scritto da Guido Andrea Pautasso e Irene Stucchi, edito da Bietti, una storia completa e ricca di dettagli su Fantozzi e il suo autore-attore, che ripercorre le tappe evolutive del personaggio nei libri e (nel saggio di Stucchi) nelle versioni cinematografiche, con schede delle edizioni uscite a partire dal 1971. Un manuale indispensabile per chi ama Fantozzi o per chi vuole studiarne la storia e il carattere. Particolare non irrilevante, Guido Andrea Pautasso è figlio di Sergio Pautasso, l’editor dei primi quattro libri di Fantozzi, e artefice del successo editoriale di Paolo Villaggio.
“Maschera comica dalla forza di archetipo”, così Paolo Villaggio definì il suo Fantozzi, protagonista di una decina di film interpretati dallo stesso Villaggio, autore dei libri (sette dal 1971 al 1994) che si sono rivelati un successo commerciale con pochi eguali nell’editoria italiana: i primi due volumi della saga fantozziana (Fantozzi, e Il secondo tragico libro di Fantozzi) hanno venduto più di due milioni di copie. Nonostante le vendite stratosferiche (o “pazzesche” per mutuare un aggettivo risemantizzato, caro a Fantozzi), il pubblico di oggi ricorda più il Ragionier Ugo della celluloide che quello della cellulosa. Anche se i due personaggi non sono completamente diversi, il Fantozzi dei film è più caricato rispetto all’originale, come si precisa in Fantozzi, Ragionier Ugo:
“Vi sono importanti divergenze tra il personaggio cinematografico e quello letterario che vanno a costituire l’aspetto di maggior distacco fra i due mondi. Il Fantozzi letterario, come già sottolineato, risulta meno macchiettistico e semplificato di quello cinematografico, non solo per aspetti di umanizzazione che lo rendono più complesso e talvolta contraddittorio, ma anche per uno spessore intellettuale diverso. Partendo dal presupposto che sicuramente il ragionier Fantozzi non è un intellettuale tout-court, alcuni episodi evidenziano comunque una presenza di uno spirito critico che lo porta a fare ragionamenti e scelte che nel film invece sono del tutto assenti”.
Ma è il cinema a consacrare Fantozzi come fenomeno di massa. Il primo film esce nelle sale nel 1975, un anno dopo la pubblicazione de Il secondo tragico libro di Fantozzi. Nei film, dai primi due diretti da Luciano Salce nel 1975 e 1976 fino agli altri con regia di Neri Parenti dal 1980 al 1996 (con un Fantozzi 2000 – La clonazione diretto da Domenico Taverni), Villaggio consegna il suo personaggio alla mitologia pop. Fantozzi diventa così una delle maschere tragicomiche più emblematiche della cultura nazional-popolare: gode di grande simpatia presso il pubblico, a dispetto dei numerosi aspetti mediocri, per non dire meschini, della sua personalità.
Alla fin fine, ridotta all’estrema sintesi, quella del ragionier Fantozzi, “Fantocci” per i colleghi, “Pupazzi” per i superiori, è un’esistenza comicamente miserabile, trascorsa nel bugigattolo di una Megaditta: tutti lo snobbano, a partire dai superiori con i quali è servile fino al limite dell’auto-umiliazione. A casa, sempre davanti al televisore, padrone del telecomando, diventa talvolta una belva umana. Paolo Villaggio non si prodiga in complimenti quando delinea un breve ritratto del suo Fantozzi nella premessa al primo libro nella quale ricorda il primo incontro con il ragioniere alla Megaditta, a Genova, in una fredda giornata di febbraio, in quel sottoscala che era il suo ufficio al quale si era mimeticamente adattato. Dopo aver commentato con lui una notizia di cronaca nera sul giornale, Villaggio conclude: “Ho capito che era un reazionario totale, ma soprattutto che era ignorante come un ragno marziano” (Villaggio, 2021).
Fantozzi non nasce però dal nulla, è anche l’emblema di una tipologia di lavoratore del terziario, l’impiegato, vittima di una routine angariante e di una vita grigio-grama. E in questa cornice, se non fosse stato per la sua vena tragicomica, il personaggio poteva (e potrebbe) esprimere compiutamente il malessere di un intero paese:
“Tutti i miei sketches sono nati in mezzo a loro: quando ero impiegato all’Italsider a Genova. Ed in quella esperienza ho capito che i veri proletari, i veri sfruttati sono loro. L’operaio ha una coscienza di classe, l’impiegato non sempre. Ed è quindi su di loro che si deve operare. Sono tanti e destinasti ad aumentare. In una società ad industrializzazione avanzata, con un processo di automazione sempre più preciso, la diminuzione della mano d’opera è inesorabile, gli operai sostituiti dalle macchine, in fabbrica, andranno ad aumentare la classe impiegatizia negli uffici”.
Questa dichiarazione – ripresa nel volume di Pautasso e Stucchi, rilasciata da Paolo Villaggio a Marlisa Trombetta, inviata del settimanale Vie Nuove, rivista fondata nel 1946 da Luigi Longo, come organo del Partito comunista italiano, focalizza molto bene la radice sociologica del personaggio e della sua vita, delineando una cornice esistenziale che inquadra le vicende di Fantozzi nel milieu dell’impiego, del terziario, dell’ufficio come nuove frontiere di un ceto urbano perennemente oscillante tra povertà e aspirazioni agli status symbol della ricchezza e del successo, ma che, a differenza della popolazione operaia, non ha nemmeno la virtù consolatoria di una coscienza di classe. Questo è un punto fondamentale: non è un caso che Fantozzi sia un impiegato, e non un operaio: la nuova frontiera dell’alienazione in senso marxista è – nel mondo fantozziano – l’ufficio, non la fabbrica; e Giandomenico Fracchia prima, Fantozzi dopo, non hanno nemmeno la dignità di un Cipputi.
La coppia Fracchia-Fantozzi
Fantozzi ha, nei libri, un collega d’ufficio: Giandomenico Fracchia, che è anche uno dei più divertenti e patetici personaggi televisivi di Paolo Villaggio. Lo ricordiamo in sketch memorabili con Gianni Agus nel ruolo del dottor Orimbelli, il capo ufficio della Megaditta, che, scocciato e nervoso intima (“Si metta comodo, Fracchia”) al lento e impacciato dipendente di accomodarsi (si fa per dire) sulla poltrona-sacco, oggetto d’arredo di moda negli anni Settanta, con la quale Fracchia ingaggia una sorta di lotta, abbandonandosi alle più snake-like twist, alle più serpiformi contorsioni, per trovare un equilibrio anche precario: e quando sembra riuscirvi, finisce sempre e invariabilmente per scivolare in una ridicola posizione orizzontale, prona sul pavimento, mentre Agus-Orimbelli domanda stupito e seccato: “Fracchia, ma cosa sta facendo!?”.
L’impiegato Giandomenico Fracchia che Villaggio impersona in Quelli della domenica (1976), ma che riprende anche dopo (per esempio nel 1981, in Fracchia la belva umana) è il precedente televisivo di Fantozzi, ancora più sottomesso e pavido: parla a monosillabi, farfugliando frasi sconnesse mentre le dita, anzi i diti, gli si intrecciano in un nodo che blocca le mani in una morsa indissolubile. Dei personaggi televisivi e prima ancora cabarettistici di Villaggio, Fracchia è l’antitesi dell’aggressivo e teutonico professor Kranz. Da Fracchia a Fantozzi il passo è breve.
Nell’agosto 1971 Rizzoli pubblica il primo romanzo, Fantozzi: è una scommessa (all’inizio temeraria, poi vinta) di Sergio Pautasso, editor “entusiasta e visionario” di Paolo Villaggio. Fantozzi è un impiegato che rimarrà tutta la vita “sotto padrone”, per usare le parole di Villaggio stesso nella Premessa, dipendente di una Megaditta dove trascorre la maggior parte del suo tempo; il resto delle poche ore rimaste lo passa tra le mura domestiche in compagnia della moglie Pina – scialba, poco stimolante, ma devota, fedele e sempre pronta a sostenere il marito, impersonata, a partire dal terzo film, Fantozzi contro tutti, dalla deliziosa Milena Vukotič – e della figlia Mariangela (interpretata dal primo all’ottavo film, da Plinio Fernando), che, lungi dal distinguersi per avvenenza, viene spesso confusa per una bertuccia. Poi ci sono i colleghi e i superiori: il ragionier Filini (Gigi Reder, al secolo Luigi Schroeder) e Fracchia (quest’ultimo sostituito da Filini nei film), la signorina Silvani (immortalata da Anna Mazzamauro), il geometra Luciano Calboni, i diversi capiufficio, il Direttore Generale, il Megapresidente, la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare (azionista della Megaditta) e suo marito conte Pier Ugo.
Fantozziano: come dire… “kafkiano”
Se la parola “travet” venne accolta nel Novo dizionario universale della lingua italiana come sinonimo di piccolo burocrate, impiegatuccio, e fu ampiamente usato fino agli anni Settanta e oltre del Ventesimo secolo, il deonomastico “fantozziano” è stato inserito, come il nome Fantozzi, nel Vocabolario Treccani: sostantivo e aggettivo indicano persona impacciata e servile con i superiori; riferito agli accadimenti, l’aggettivo fantozziano assume il significato di penoso, ridicolo. Aggiungiamo anche kafkiano, quindi perseguitato dalla sfortuna, da eventi grotteschi, al limite dell’assurdo come la famosa nuvola dell’impiegato, o pienamente rientranti nell’ambito dell’assurdo spesso attraverso l’uso dell’iperbole.
La neo-lingua di Fantozzi, costruita spesso su solecismi grammaticali (i famosi congiuntivi sbagliati: “Facci piano!” “Batti Lei?”) e utilizzo di aggettivi a funzione superlativa (pazzesco, terrificante, allucinante) è diventata patrimonio comune nel citazionismo collettivo a fini umoristici, non meno di tante battute di Totò. Il “direttore megagalattico” o la “poltrona di pelle umana” e altri modi dire del ragioniere (“Ma com’è umano Lei”) sono dilagati nel frasario comune, destinati a durare nel tempo. Non di rado le espressioni del linguaggio fantozziano, passate poi nel parlato comune, hanno un che di liberatorio, in chiave popolare, e quasi di anarchico. Citazione fantozziana nota a tutti è il “programma formidabile” per l’incontro Inghilterra-Italia a Wembley: “Calze, mutande, vestaglione di flanella, frittata di cipolle per la quale andava pazzo, bicchiere di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero”.
Rientra in questa linguistica della liberazione la famosa dichiarazione fantozziana “La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca” (cui seguono 92 minuti di applausi ininterrotti), in Il secondo tragico Fantozzi, che assume quel valore dissacrante, quasi catartico, rispetto all’imposizione di modelli culturali ed espressivi, spesso utilizzati come piedistallo che marca la distanza tra popolo e intellettuali, tra cultura alta e cultura di massa. Kotiomkin è un voluto storpiamento parodico del film di Sergej Ejzenstein, La corazzata Potëmkin, dovuto all’impossibilità di riprodurre scene del film originale. Una battuta del genere suonava, soprattutto a quei tempi, come uno sberleffo non solo a un monumento della cinematografia tout-court, ma anche come un’invettiva mascherata dalla comicità contro una moda culturale e politica, tanto più che nel film i dipendenti della Megaditta devono sorbirsi i cineforum settimanali organizzati dal professor Guidobaldo Maria Riccardelli, dirigente e cultore fanatico del cinema d’arte. Fantozzi si addormenta spesso durante la visione di questi filmoni d’autore, e per questo viene redarguito, per non dire pubblicamente umiliato, dal Riccardelli. È chiaro che i dipendenti preferirebbero vedere le partite del campionato di calcio.
La battuta su “La corazzata Kotiomkin” rappresenta quindi l’apice di una ribellione, solo in apparenza piccolo-borghese e impiegatizia, nella quale la noia verso la cultura seriosa, più che alta, trova il suo maggior riscontro di consenso e successo nei 92 minuti di applausi. L’obiettivo di quella storica e imperitura uscita fantozziana non era dunque solo il film del regista russo; in una libera riappropriazione della frase originale, al posto de La corazzata Potëmkin, avremmo potuto, e potremmo trovare, altre intoccabili deità della cultura contemporanea, cinematografica, letteraria, artistica. Che Paolo Villaggio pensasse veramente che il film di Ejzenstein fosse “una cagata pazzesca” o no, poco importa: la battuta fantozziana è in realtà una dissacrazione di gusto dadaista un po’ come mettere i baffi alla Gioconda. Per non parlare della satira contro certe mode come i cineforum e i lunghi dibattiti, quelle seriose discussioni di cui si inebriavano molti cinefili e intellettuali negli anni Settanta.
Il secondo tragico Fantozzi appare come una rilettura sociopolitica del fenomeno fantozziano “secondo una chiave dissacratoria, soprattutto verso le ideologie intoccabili, compresa quella marxista (…) conteneva un’embrionale ribellione contro il sistema, ovviamente sempre in chiave grottesca assurda e dissacrante. Era un momento in cui era proibito ridere delle cose sacre, marxismo e sindacalismo, mentre si toccava solo il potere” come disse apertamente Villaggio alcuni anni dopo in un’intervista del 1979 a Lietto Sartori. E d’altronde anche nel primo libro della saga fantozziana, non mancano frecciatine contro certe mode politiche di quegli anni: basta rileggere questo brano tratto da Fantozzi va alla festa della Contessa:
“Cominciò poi una discussione tra giovani sulla contestazione studentesca e l’intervento americano in Vietnam. Fantozzi credeva di essere nel covo della reazione, ma con suo grande stupore si accorse che più quei gran signori erano bardati con orologi Cartier e brillanti (con uno solo dei quali lui avrebbe vissuto senza patemi per il resto dei suoi giorni) più erano su posizioni maoiste. La maggior parte, giudicò Fantozzi, era a sinistra del Partito comunista cinese”
(Villaggio, 2021).
Siamo sicuri che dopo quarant’anni questo ritratto non sia più attuale? E siamo altrettanto certi che la comica e complicata gerarchia dei Mega-direttori (Megadirettore Galattico, superiore al Presidente Galattico, al Megadirettore totale, al Megadirettore naturale, e al Megapresidente Arcangelo seguito gerarchicamente dal Megadirettore laterale, dal Direttore artificiale, dal Condirettore magistrale, e dai membri del Consiglio dei dieci assenti) non sia ancora oggi uno specchio, seppur satiricamente deformato, della realtà?
- Lietto Sartori, Arriva al terzo libro il filone di Villaggio. Fantozzi l’indistruttibile non si spezza ma si piega, in Corriere d’informazione, 5 marzo 1979.
- Elisabetta Villaggio, Fantozzi dietro le quinte. Oltre la maschera. La vita (vera) di Paolo Villaggio, Baldini+Castoldi, Milano, 2021.
- Paolo Villaggio, Fantozzi, Bur Rizzoli, Milano, 2021.
- Paolo Villaggio, Fantozzi, Rag. Ugo. La tragica e definitiva trilogia, Rizzoli, Milano, 2013.
- Paolo Villaggio, Il secondo tragico libro di Fantozzi, Rizzoli, Milano, 2017.
- Paolo Villaggio, Fantozzi subisce ancora, Rizzoli, Milano, 1983.
- Luciano Salce, Fantozzi, Mustang 2021(home video).
- Luciano Salce Il secondo tragico Fantozzi, Mustang, 2013 (home video).
- Neri Parenti Fantozzi alla riscossa, Mustang, 2020 (home video).