“La nostra tesi è che, andando all’essenziale, alla radice archetipica, il cristianesimo sia una religione bipolare, che cioè detenga in sé sin dalle origini una doppia identità la quale, con varie sfumature e ridefinizioni, gli consente di adattarsi alle trasformazioni della Storia. Quando l’espansione non è possibile, lo «spirito apocalittico» diventa predominante. Quando l’espansione diventa possibile e anzi necessaria, lo «spirito mondano» ritorna ad essere centrale”.
In questo periodo è ben sintetizzata l’idea di Fabio Tarzia, autore del libro Benedetto contro Francesco. Una storia dei rapporti tra cristianesimo e media, e la logica che lo muove nella scrittura del saggio. L’idea di fondo è che gli ultimi due Papi, Benedetto XVI e Francesco, rappresentino due modalità diverse dell’essere cattolico, la configurazione di una tensione tra due poli che, fin dalle origini del cristianesimo, si sono sempre alternati e sostituiti, ma che sono stati entrambi indispensabili per l’espansione e la conservazione di questa religione. Il tratto peculiare del lavoro di Tarzia è la riflessione mediologica che procede di pari passo con quella storico-teologica. Facendo proprio il lavoro di studiosi imprescindibili per la teoria dei media, quali Harold Innis, Marshall McLuhan, Régis Debray, Umberto Eco, Manuel Castells e Richard Grusin ((cfr. Innis, 2018; McLuhan, 2015; Debray, 2020; Eco, 2020; Castells, 2014; Bolter, Grusin, 2003) l’autore interpreta le trasformazioni, i movimenti, le chiusure e l’espansione della religione cristiano-cattolica alla luce dei vari scenari mediali che sono mutati attraverso i secoli. Se, come insegna McLuhan, i media sono degli ambienti, allora è stato proprio il possesso e lo sfruttamento dei media dominanti – cioè la padronanza del proprio ambiente – in una data epoca che ha consentito alla religione di durare millenni. Già dall’interpretazione che Tarzia dà della modalità epistolare adottata da Paolo di Tarso si capisce come la forma del medium influenzi il messaggio:
“Allestita per essere letta in pubblico, l’epistola appare come una perfetta compenetrazione tra due media (orale e scritto). Quando arriva presso la comunità a cui è destinata (già dal titolo), si organizzano intorno ad essa veri e propri «centri di ascolto», quasi come per la modalità radiofonica di due millenni dopo. L’effetto finale è quello del Verbo-Logos che da Dio discende al suo discepolo e da lui ai nuovi fedeli, all’interno di una pratica di sacralizzazione della parola che McLuhan a proposito proprio della radio definiva del «tamburo tribale»”.
Paolo era nato in una delle zone più cosmopolite sotto il dominio dell’impero romano (nell’attuale Turchia), dove la commistione tra cultura ebraica (apocalittica), greco-ellenica (mondana) e latina era la norma. La forma epistolare che egli predilige era perfetta per essere inviata a distanza ed essere letta a voce alta davanti a un pubblico di uditori. Dal punto di vista mediologico, questo processo si è potuto realizzare grazie all’invenzione del codex, più maneggevole e facilmente trasportabile rispetto al papiro, e al relativo ampliamento della rete stradale romana, in virtù della quale il predicatore poteva incontrare e diffondere la parola di Dio presso un numero molto alto di individui. È tuttavia una scrittura che opera ancora in funzione del messaggio orale. Cosa che prosegue nel primo dei vangeli sinottici, cioè quello di Marco, caratterizzato da uno stile paratattico in cui l’oralità diffusa, scrive Tarzia,
“conserva l’espressione immediata della Voce intesa come richiamo delle genti, come «urlo nella notte», quella breve e tenebrosa notte che, succeduta al «sepolcro vuoto», si schiuderà presto nel giorno trionfante”.
Una scrittura che è emanazione diretta della voce di Cristo. Ma la scrittura è già qui la nuova architrave che sorregge tutto il sistema mediale, la sola in grado di dare un senso al mondo religioso e a organizzarlo in modo strategico, così da dar vita ad una vera e propria cristologia che senza questo medium non sarebbe pensabile. E infatti nei vangeli successivi, la spinta orale-apocalittica che c’è in quello di Marco va scemando, poiché il medium scrittura mette in pratica una vera e propria dilatazione temporale, in cui la fine del mondo non è più prossima, e il messaggio di salvezza si espande cronologicamente. Tanto che, in seguito, l’autore definisce il vangelo di Luca un tentativo di “deoralizzare la scrittura”, mentre quello di Giovanni è un vangelo apocalittico sì, ma non nel senso di Marco in cui la fine dei giorni era imminente: qui il giudizio universale è rimandato a un giorno indefinito e lontano nel tempo; e proprio
“in questa chiave cambia tutto l’assetto mediale. Se in Marco l’oralità, la Voce, risultano predominanti in quanto annuncio immediato del Giudizio incalzante, in Giovanni la scrittura è il medium decisivo, la «pietra angolare»”.
Quella di Tarzia non è, dunque, una cronistoria nel Cristianesimo. La potenza del suo saggio risiede nella capacità di individuare alcuni momenti nevralgici che segnano delle discontinuità nell’evoluzione del cristianesimo, che però non frammentano la grande impalcatura ideale che lo sottende, ma di volta in volta lo attualizza, conferendogli la plasticità necessaria a modellarsi sul proprio tempo e a modellarlo. Un tentativo che si direbbe analogo a quello compiuto negli anni Cinquanta da Innis in Impero e comunicazioni – ma che non presenta quel determinismo che, invece, investe l’opera del sociologo canadese – in cui si cerca di dare unità a un fenomeno stratificato in un arco temporale vastissimo, come la religione cristiana, e scegliendo la comunicazione come variabile decisiva del suo sviluppo. Altro momento significativo individuato dall’autore sarà il Concilio di Nicea II, quando verrà sancita la pari dignità delle immagini – per secoli fatte oggetto di iconoclastia – rispetto alla parola scritta, riconoscendo sostanzialmente le radici ellenistiche del cristianesimo e restituendo senso all’ambiente mediale vissuto dai primi cristiani nelle città greche e romane, che si presentavano come delle “spettacolari macchine visuali” in cui statue, affreschi e architetture policrome convivevano pacificamente. Anche l’invenzione del purgatorio, a cavallo tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, comporta un riassetto dello spazio mediale a cominciare da quello terreno: riorganizzare l’aldilà significa un ripensare l’aldiquà.
Il mondo feudale è un mondo che pensa in maniera binaria: Luce contro Tenebre, il dentro e il fuori, il giorno e la notte. Introdurre nell’immaginario una zona intermedia come il Purgatorio significava tracciarla anche sulla Terra, ragionare in termini nuovi. Se la salvezza passa per le opere terrene diviene necessario delineare un contesto in cui sia possibile mettere alla prova gli individui, attraverso la stretta osservanza-obbedienza delle leggi. Così il mondo, da ostacolo pieno di insidie, si sta trasformando in un medium per la salvezza.
Gli argomenti e i personaggi affrontati da Tarzia sono moltissimi, da Benedetto da Norcia e la Regula a Sant’Agostino con il De civitate Dei contra Paganos, da San Francesco e il Cantico delle creature alle cattedrali gotiche, dalla scoperta del Nuovo Mondo all’importanza dei gesuiti, tutto metodicamente intrecciato con gli sviluppi mediologici che si andavano diacronicamente succedendo.
Si diceva all’inizio che Ratzinger e Bergoglio rappresentano due archetipi dell’esser cristiani. Benedetto XVI, uomo del Novecento a tutti gli effetti, capisce molto bene le caratteristiche del medium Rete, tanto che ne sottolinea, da un lato, la nuova piattaforma pubblica di discussione, dall’altra, la sua capacità evangelizzatrice. Allo stesso tempo però, quelli che possono essere dei difetti – dal suo punto di vista – del nuovo medium, possono trasformarsi in vantaggi: l’isolamento cui ci sottoporrebbero i social network, su cui tanto panico si fa, se è vero che ci toglie la possibilità di conoscere concretamente qualcuno allo stesso tempo ci mette al riparo da eventuali incontri sconvenienti.
“Scrive Papa Ratzinger, «la chiesa può essere moderna proprio essendo antimoderna». Ritualità, ieraticità, soprannaturalismo: la Chiesa deve farsi inattuale, esempio di diversità rispetto al mondo secolarizzato, massificato e consumistico; deve resistere come una fortezza in attesa che il suo messaggio profetico venga riconosciuto e ridiventi accettabile. Il silenzio contro il frastuono mediatico, la solitudine del pontefice contro la veste bianca confusa tra la folla”.
Quanto a Papa Francesco, si può dire che egli sembra perfettamente consapevole di vivere in un ambiente reticolare, cioè soggetto al dominio dalla logica della Rete, ma sposta l’attenzione sulla funzione che di quell’ambiente ce ne facciamo. Scrive Bergoglio:
“Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce sé stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa”
(Bergoglio, 2019).
Qui, avvisa Tarzia, non dobbiamo vedere solo una tipica avvertenza dall’allontanamento dai valori spirituali a favore di quelli materiali, ma una vera e propria strategia “gesuitica”, dove è ben chiaro (al Pontefice, gesuita) come il medium sia in grado di costruire un certo tipo di identità cattolica. È, in definitiva, la Chiesa stessa che diventa per Tarzia “un medium trasformato in base al mondo a sua volta riplasmato dalla rete”. L’originalità del saggio consiste quindi nel concepire la religione cristiano-cattolica, fin dalle origini, come una straordinaria macchina ideatrice di sistemi mediali, e ciò proprio in virtù della doppia identità ebraico-apocalittica e ellenistico-mondana – che Benedetto XVI e Francesco ben riflettono – su cui tale religione si fonda, che le ha permesso, quasi dietro ci fosse stata una strategia premeditata, periodi di espansione e di chiusura, di esternalizzazione e posizionamento, ma comunque funzionali alla sua capillare diffusione e alla conservazione del potere. La capacità di far dialogare le (fittissime) fonti storico-teologiche utilizzate con le principali teorie sui media, senza mai scadere in un banale determinismo tecnologico, rende questo testo un unicum nel panorama sia mediologico che di storia delle religioni.
- Jorge Maria Bergoglio (Papa Francesco), “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana, Messaggio del Santo Padre Francesco per la 53ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Libreria Editrice Vaticana, 2019.
- Jay David Bolter, Richard Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati, Milano, 2003.
- Manuel Castells, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano, 2014.
- Régis Debray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in occidente, Magonza, Arezzo, 2020.
- Umberto Eco, Il nome della rosa, La nave di Teseo, Milano, 2020.
- Harold Innis, Impero e comunicazioni, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2018.
- Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 2015.