Punto primo, ovvero una specie di inizio: Roger Zelazny scrive maledettamente bene, cesella a tratti, al punto da risultare in certi momenti finanche affettato. È raffinato, colto, abile nell’imbottire le sue trame di citazioni e rimandi, è ironico quanto basta per non scompaginare troppo il gioco della finzione. I suoi personaggi ruminano filosofia e masticano versi con naturalezza. Nelle sue storie risuonano echi letterari, mitologici, religiosi provenienti dai quattro angoli del mondo.
Zelazny nasce come scrittore di fantascienza, dunque naturalmente incline a mescolare materiali culturali alti e bassi, fantasia e scienza, ma la sua mescola è inimitabile: “Tendo a mescolare la fantasy con la fantascienza. Da un certo punto di vista quello che scrivo suppongo che sia science fantasy… un genere bastardo, secondo il parere di alcuni” (Zelazny, 1993). Non secondo altri, però, considerato che la sua carriera è costellata di premi (tre Nebula e sei Hugo, i due massimi riconoscimenti per uno scrittore di science fiction).
Il suo è un catalogo d’opere tutto all’insegna dell’eccellenza, che ne Le Cronache di Ambra ne afferma più spiccatamente il lato avventuroso con un’architettura maestosa. Una saga articolata in due cicli, ciascheduno composto da cinque romanzi, il primo intitolato Ciclo di Corwin e il secondo Ciclo di Merlin. Più che altro una doppia pentalogia, la prima pubblicata tra il 1970 e il 1978, la seconda uscita tra il 1985 e il 1991 e rinforzata da un plotoncino di sei racconti (e un frammento), affluenti nel corso principale della storia. In Italia, il primo ciclo venne pubblicato tra il 1978 e il 1980 dalla storica Libra, casa editrice specializzata in narrativa fantascientifica, diretta da Ugo Malaguti.
In seguito venne ripubblicato da Fanucci che meritoriamente diede alle stampe anche il secondo ciclo. L’editore romano lo riestrae dal catalogo e inizia per ora a ripubblicare in formato elettronico il primo Ciclo, quello di Corwin, ovvero: Nove principi in Ambra, Le armi di Avalon, Il segno dell’unicorno, La mano di Oberon, Le Corti del Caos. Al di là della bontà dell’opera, la ristampa ha preceduto di qualche mese l’uscita della settima stagione di Il Trono di Spade e non è un caso.
Narrazioni intrecciate, citazioni e omaggi
Punto secondo: il Ciclo di Ambra è l’antesignano delle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin poi rilette, trasposte e ampliate da David Benioff e Daniel Brett Weiss per la serie targata HBO a partire dal 2011, Game of Thrones, appunto.
Non è un mistero, nessuno ne fa mistero, Fanucci annuncia la ristampa del Ciclo di Corwin precisando che si tratta della serie di romanzi che ha ispirato Il Trono di Spade; lo stesso Martin, quando Zelazny scomparve 1995, scrisse nel suo ricordo In Memoriam: Roger Zelazny che ci aveva lasciato un narratore senza pari e nell’elencare i personaggi memorabili che aveva creato iniziava proprio con Corwin di Ambra.
La stesura del primo volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco iniziò quando si conclusero le vicende della seconda pentalogia e il libro di Martin venne pubblicato l’anno dopo la morte di Zelazny.
Cambio della guardia non solo tra due generazioni di scrittori, ma anche tra due epoche della fantascienza, quantomeno di quel particolare ramo del genere così intrecciato con il fantasy, con i reami dominati dalla magia, da riuscire a sopravvivere al formidabile avvento dell’era digitale. Solo le forme sfacciatamente finzionali hanno evitato di combaciare con quel reale binario, fatto di meraviglie tecnologiche divenute disponibili nel quotidiano, che il cyberpunk aveva già prefigurato negli anni Ottanta.
Tornando a Zelazny e Martin è indubbio che la fitta trama di intrighi, alleanze, voltafaccia, cospirazioni, misteri che danno luogo a scontri, duelli, battaglie, corpo a corpo, massacri, violenze, vendette, odi giurati e riconciliazioni inattese che si susseguono nell’arco dei cinque romanzi del Ciclo di Ambra abbiano legami strettissimi di sangue (regale) con le successive cronache martiniane, quasi che queste avessero giovato di una salutare trasfusione di sangue (sempre regale). Ciò che tutto muove in entrambe le saghe lo indica un altro dei Principi di Ambra, Ramdom: “l’intrigo è il passatempo preferito, da queste parti, e tutti hanno a disposizione parecchio tempo”.
La saga di Martin, beninteso, ha una propria identità e forse sarebbe più corretto parlare di omaggio di un amico a un amico, di uno scrittore a uno scrittore da sempre ammirato, ma un omaggio tira l’altro o quantomeno conduce a un altro.
Creatori e signori di mondi su misura
Punto terzo o punto secondo bis: a sua volta Zelazny, nel Ciclo di Ambra, omaggiò un’opera e uno scrittore che ammirava in modo sconfinato, Philip José Farmer e anche qui il gioco è a carte scoperte, perché Il segno dell’unicorno (il terzo romanzo) è “dedicato a Jadawin e al suo Demiurgo, senza dimenticare Kickaha”. Jadawin è il creatore del mondo dei Livelli, una specie di pianeta fatto a forma di torta nuziale, dove ogni piano è abitato da una civiltà diversa, esistita in un periodo storico differente sulla Terra, dal Neolitico al Medioevo e così via. Jadawin che allo scoccare della storia è Robert Wolff, terrestre che ha dimenticato la sua vera identità, come Corwin nelle prime battute del Ciclo di Ambra, anch’egli un creatore di mondi, nonché Signore di Ambra. Corwin si esprime chiaramente in proposito, riferendosi ai territori dell’Ombra che circondano Ambra, la realtà autentica:
“Potete chiamarli mondi paralleli, se volete, oppure universi alternati, o se preferite prodotti d’una mente squilibrata. Io le chiamo ombre, come fanno tutti coloro che possiedono il potere di aggirarsi in esse. Scegliamo una possibilità e avanziamo fino a quando la raggiungiamo. Quindi, in un certo senso, la creiamo”.
Entrambi fabbricanti di universi, dunque, laddove il ciclo farmeriano di riferimento della saga zelaznyana è The Maker of Universes, di cui fa parte il meraviglioso bugiardo, truffaldino anti eroe Kickaha, che con la sua abilità nel districarsi da situazioni ingarbugliate ha più affinità di quante ne abbia Jadawin con Corwin: forza e astuzia, coraggio e scaltrezza, che Farmer separava in modo spiccio come era consueto fare, si uniscono in un solo personaggio, in Corwin nelle storie amberiane che lo vedono protagonista. Non è tutto. Zelazny, si è accennato sopra, ha attinto spesso alle mitologie e alle religioni, per dare vita a protagonisti che hanno a che fare sempre e comunque con l’immortalità di cui beneficiano in virtù di un Sapere oltremodo sofisticato, posto in un punto in cui tecnologia e magia si incontrano e si fanno una cosa sola. Altrettanto dicasi per Farmer: l’immortalità è centrale in tutte le sue storie anche se è un dono che i suoi personaggi ottengono in genere dal loro essere figure chiave dell’immaginario collettivo, supereroi che solo il loro continuo ritornare sulla pagina scritta, l’essere seriali, consente loro di essere immortali. Fin qui i punti in comune, molto invece li distanzia, soprattutto lo stile.
Le vicende di una saga avvincente come un thriller
Punto quarto che discende anche dal primo: al contrario di Farmer, Zelazny è uno scrittore molto raffinato. Laddove quest’ultimo lavora di cesello, Farmer sferra colpi d’ascia, uno cesella il minimo dettaglio, l’altro si lancia contro ogni situazione come se fosse una locomotiva lanciata a mille. Anche le trame farmeriane non sono impeccabili, in lui si ammira altro: l’immaginifico che regna sovrano, il gioco metaletterario che sopravanza quello borgesiano per più di un aspetto, l’irruzione scandalosa del sesso nel più bacchettone dei generi quale era la fantascienza fino a quel momento, la furia creatrice che gli fa generare cicli narrativi a ripetizione, perdendo anche il filo. Zelazny, al contrario, le trame le studiava scrupolosamente, al punto che quanto si infittivano oltre misura, come nel Ciclo di Corwin, sente il bisogno di ricapitolare quanto è successo fino a quel punto nel secondo capitolo del quarto romanzo, La mano di Oberon. Un riepilogo che coincide quasi del tutto con il capitolo! È quindi tempo anche qui di riassumere brevemente il quadro e l’abbrivio della complessa vicenda. Tutto inizia in un letto d’ospedale con un risveglio dal coma. È Corwin che ritorna vigile, ma privo di memoria, sul pianeta Terra, una delle ombre dove ha vissuto per qualche secolo. Scoprirà che egli è uno dei nove Principi di Ambra, la vera realtà posta al centro dell’universo. Intorno a essa si estendono le mille ombre, sorta di riflessi dei desideri dei loro creatori, i signori di Ambra, la reale famiglia che fa capo a Oberon: nove Principi e quattro Principesse da prendere con le molle.
Oberon è scomparso dando vita a una lotta fratricida senza esclusione di colpi e alleanze ribaltate a più riprese dalla volubile covata di Oberon. Corwin è stato sul punto di essere fatto fuori, ma nelle schermaglie della famiglia se qualcuno ti è contro, di sicuro qualcun altro ti è alleato e così Corwin nell’occasione salva la pelle. Intrighi, astuzie e tranelli, scontri e colpi di scena, mentre un pericolo oscuro, forse proveniente da ciò che è posto oltre le ombre, ovvero il Caos, avanza in Ambra e obbliga la litigiosa prole di Oberon a far quadrato. Riassumendo:
“C’è l’Ombra e c’è la Sostanza, e questa è la radice di ogni cosa. Di Sostanza, vi è soltanto Ambra, la città vera, sulla Terra vera, che racchiude tutto. Vi è un’infinità di Ombre. Ogni possibilità esiste, da qualche parte, come Ombra del reale. Ambra, con la sua stessa esistenza, ne getta in ogni direzione. E cosa si può dire di ciò che sta oltre? L’Ombra si estende da Ambra al Caos, e in essa tutte le cose sono possibili”.
Dualismi luce/oscurità, ordine/caos, bene/male, in sintesi: la contrapposizione manichea del Signore degli Anelli, il Libro per chi si avventura nei territori del genere fantasy, indipendentemente se sia più di taglio fiabesco o eroico. Tra i mille indizi presenti nel ciclo zelaznyano, che suggeriscono rimandi in ogni dove, quello della Gemma che conferisce particolari poteri a colui/colei che la possiede (non può essere condivisa) ricorda decisamente il potere dell’Anello tolkieniano e il suo agire vampiresco, perché “mentre conferiva facoltà eccezionali, la pietra esauriva la vitalità del suo padrone. Più a lungo la porti, e più ti sfinisce”. L’esperienza terrestre ha un po’ mutato la personalità di Corwin, in precedenza del tutto privo di scrupoli e violento come il resto della famiglia, sebbene si continui a non potersi mai fidare del tutto anche di lui. D’altronde come si fa a dare credito a chi confessa che “sebbene avessi detto spesso che volevo morire nel mio letto, in realtà intendevo che volevo morire in tardissima età, calpestato da un elefante mentre facevo l’amore”?
Resterebbe da dire del Disegno, sorta di Matrice di questo strano universo, percorso labirintico consentito solo ai regali di Ambra; andrebbe detto dei Trionfi, ovvero delle carte da gioco che riportano le immagini dei Principi e delle Principesse, oltre che di Oberon, naturalmente: concentrandosi su una di esse si entra in contatto con chi vi è raffigurato. Oltre a comunicare, servono anche per trasportarsi tra i mondi. “Le carte e il Disegno permettevano il trasferimento istantaneo dalla Sostanza all’Ombra.
L’altro sistema, andare a piedi, era più faticoso”. Chissà che non sia questo il futuro dei dispositivi mobili. Si dovrebbe accennare all’immancabile mago/stregone/inventore/artista un po’ pazzo che sempre si aggira nel fantasy, ovvero, in questo caso, all’autore del Disegno e dei Trionfi: Dworkin. Si dovrebbero menzionare Tir’na-Nogh, città fantastica che appare in cielo nelle notti di luna piena, la città di Arbma versione sottomarina di Ambra e infine la vera Ambra … di cui Ambra è un simulacro. Andrebbe detto che, molto più che Farmer, qui Zelazny attinge schiettamente ai romanzi di cappa e spada, omaggiando (di nuovo come Farmer) la letteratura popolare ottocentesca, più precisamente il ciclo di D’Artagnan di Alexandre Dumas. Invece, sarà più opportuno fare un bel passo indietro e tratteggiare in breve un ritratto di Zelazny, che prima di aver esplorato l’ultima delle religioni, il fantasy, ricorse in pratica a tutte le altre nelle sue opere precedenti, quantomeno nelle più significative.
Ritratto dell’artista e delle sue divinità
Punto quinto con ripasso dei punti precedenti: Roger Zelazny iniziò la carriera di scrittore nel 1962, anno in cui venne pubblicato il suo primo racconto su Amazing Stories, Passion Play. La data d’inizio dell’attività ne fece un componente di quel manipolo di autori statunitensi, come Thomas Disch, Samuel R. Delany, Norman Spinrad e Ursula LeGuin che rinnovarono non poco il genere fantascienza, all’ombra del già citato Farmer. Anche per loro puntuale arrivò l’etichetta new wave, ma voleva dire meno che niente. Di lì a poco nacquero i primi romanzi: Io, Nomikos, l’immortale (1965, ma riveduto e accresciuto nel 1966) e Signore dei sogni (1965) e il romanzo breve Le porte del suo viso, i fuochi della sua bocca del 1966.
Inizia a mietere subito premi: il primo vinse un Premio Hugo, il secondo e il terzo si aggiudicarono il Nebula nelle rispettive categorie. Un riconoscimento andò anche al successivo Signore della luce (1967, Hugo l’anno successivo). Ancora da segnalare sono Metamorfosi cosmica (1969), Creature della luce e delle tenebre (1969), La pista dell’orrore (1969) e Jack delle ombre del 1971.
Come se non bastasse, Zelazny ha anche lavorato a quattro mani con Philip K. Dick (il romanzo Deus Irae, 1976) e con Robert Sheckley. Inutile cercare qualcuno di questi titoli, perché tutte le edizioni italiane sono attualmente non disponibili, fatta eccezione, ovviamente, del primo ciclo amberiano. Autore prolifico, Zelazny ha nel proprio repertorio anche circa sessanta racconti brevi e quindici racconti lunghi, tra cui il celebratissimo Una rosa per l’ecclesiaste, scritto prima di Passion Play, ma pubblicato nel 1964, una rivisitazione al tempo stesso di un testo già classico allora della fantascienza, Le cronache di Marte di Ray Bradbury, e prima compiuta esplorazione nel mito e nella religione, dal Cristianesimo primigenio ai riti Orfici ed Eleusini. Come si è detto, in seguito Zelazny farà largo uso di questi materiali culturali.
In Io, Nomikos, l’immortale si dedicherà al paganesimo, in Signore della luce esplorerà il pantheon della mitologia Indù, in Creature della luce e delle tenebre si darà da fare con i culti dell’antico Egitto, in Metamorfosi cosmica (titolo italiano fuorviante, l’originale è Isle of Dead) sarà il turno delle religioni animiste che hanno le proprie radici in Africa.
Resta da dire che anche tra i racconti non mancano perle e preziosi vari. Qui converrà citarne soltanto uno, L’amore è un numero immaginario, scritto nel 1966; poche pagine sufficienti per le descrivere le gesta di un novello Prometeo e significativo perché: “Le tecniche che usai in esso contribuirono in seguito allo sfondo della mia serie di Ambra” (Zelazny, 1979). Una delle storie più brevi per dare vita a quella più lunga. Se ancora qualcuno non crede nella magia, che è sempre fatta di parole, ci ripensi.
- Roger Zelazny, Presentazione dell’Autore all’edizione italiana in La montagna dell’infinito, Fanucci, Roma, 1979.
- Roger Zelazny, Fantasy e fantascienza: l’opinione di uno scrittore in Fuoco e gelo, Urania 1199, Mondadori, Milano, 1993.