Il blues di un uomo bianco:
Emanuel Carnevali

Emanuel Carnevali
Racconti ritrovati
A cura di Emmanuele Pilia

D Editore, Roma, 2019
pp. 172, € 13,90

Emanuel Carnevali
Racconti ritrovati
A cura di Emmanuele Pilia

D Editore, Roma, 2019
pp. 172, € 13,90


Emanuel Carnevali: un poeta, sempre e comunque, in ogni singola parola che intaglia e lascia emergere dalla pagina bianca. Il lirismo di Carnevali risuona ovunque, oltre che nei versi scorre rigoglioso nella prosa e finanche negli articoli di critica letteraria che compose in una manciata d’anni. La sua parola inconfondibile, vitale, mai doma, afferra dal nulla sensazioni, immagini, rimembranze, profili, sentimenti, plasmando forme essenziali. Emanuel Carnevali è sempre il poeta Carnevali, fabbricante di una propria lingua, forgiata tra avversità, intemperie, frenesie, stupori, meraviglie, febbre di vita, miseria, amori, incontri con intellettuali e piatti lavati in quantità industriali nei ristoranti per sbarcare il lunario; lingua unica, cesellata parola dopo parola da un artigiano alle prese con la voce dell’anima; lingua inimitabile di un giovanissimo emigrante, ignorante, catapultato dalle placide campagne toscane alle frenetiche metropoli statunitensi. “Sapevo di essere un poeta e covavo nel mio animo la voglia di scrivere” annoterà ne Il primo Dio, il romanzo riportato alla luce nel 1978 da Adelphi, insieme a una scelta dalle sue poesie, alcuni saggi e testimonianze, quando Carnevali era già morto da quasi trent’anni. Un caso letterario, tutto un fiorire di affinità, destini comuni, la scoperta di un autore maledetto al pari di Dino Campana e sulla scia di Arthur Rimbaud e di seguito ancora oblio.
D Editore azzarda a riproporlo: dopo aver ripubblicato Il primo Dio nel 2017 con l’aggiunta di capitoli esclusi nella prima edizione (che fu curata dalla sorellastra Maria Pia Carnevali) e in una nuova traduzione (Carnevali scrisse solo in inglese), facendogli seguire questi Racconti ritrovati. Operazione editoriale che recupera testi già editi, altri inediti e nuove traduzioni, tutti ricontestualizzati, operando come in archeologia, spiega la nota del curatore, cioè: “utilizzando un processo di anastilosi per poter ridar luce ai reperti che giacevano al suolo tra loro separati” al fine “di dare un’unità alle opere a partire dai frammenti lasciati dallo stesso Carnevali”. Esente da anastilosi è il trittico Racconti di un uomo che ha fretta, autentico gioiello di questo piccolo forziere e bastano le poche righe che seguono, tratte dal terzo racconto, per respirarne la poeticità:

“Il caldo trasuda da ogni crepa e inquina l’anima del mondo. Lassù, il tetto con il catrame ammorbidito che si va fondendo. Fuori, il fiume senza colore e le vecchie imbarcazioni, pidocchi sul corpo del fiume, e le navi che vengono dall’oceano, stanchi, informi bestie da soma del mare. Pennacchi di fumo flaccido”.

Quella di Carnevali è un’incredibile e triste storia, nota ma non troppo. Val la pena riassumerla. Nato a Firenze (1897), emigrò sedicenne negli USA, a New York, obbligato da un padre intollerabilmente autoritario, visse in miseria, si arrangiò facendo di tutto, bazzicò gente d’ogni tipo, anche di malaffare, trovò il tempo di imparare l’inglese partendo dalle scritte pubblicitarie e dalle insegne dei negozi lette per strada.
Forgiò la sua lingua, colpì l’ambiente letterario dell’epoca e ne divenne un faro; frequentò poeti e scrittori come Ezra Pound, William Carlos Williams e Sherwood Anderson, lasciò New York, andò a Chicago, poi si ammalò di encefalite letargica, tornò in Italia. Trascorse un ventennio tra ospedali e pensioni fino a quando l’11 gennaio 1942 soffocò per un boccone di pane andatogli di traverso. “I ricordi piangono e vestono a lutto, tutti i ricordi lo fanno” si legge ancora nel terzo dei Racconti di un uomo che ha fretta.
Incredibile e triste storia, davvero “la sua esistenza sembra costruita sui paradigmi dolenti di un blues, dove tutto va sempre per il verso sbagliato” come scrive Emidio Clementi nella prefazione. Non meravigli la scelta del prefatore: Lungo i bordi (1995), album dei Massimo Volume di cui è stato membro Clementi, si apre con il brano Il Primo Dio

Musica e poesia, uan relazione privilegiata
Una volta rientrato in Italia, Carnevali scrisse Il primo Dio, autobiografia sui generis, un susseguirsi di ricordi, visioni, istantanee e trasfigurazioni rese possibili da una scrittura che è improprio definire prosa. Similmente ai I quaderni di Malte Laudris Brigge di Rainer Maria Rilke, laddove ogni riga è cristallina come un verso. La parola di Carnevali risuona, tintinna, riecheggia dall’anima, vibra, rintocca, è musica, che a sua volta è fatta della stessa materia di cui è fatta la poesia.
Carnevali ha davvero donato alla sua parola una musicalità estrema. Risuona come gli strumenti inventati da un altro italiano andato giovanissimo negli USA quando Carnevali era tornato in Italia: Harry Bertoia. Finì per inventare dal nulla degli strumenti immaginifici, sculture sonore realizzate in leghe di berillio, rame e nickel, percuotibili con sbarrette metalliche a loro volta, talvolta ricoperte da uno strato di cuoio: il progetto Sonambient. La parola di Carnevali pare agire ed essere agitata in virtù delle medesime vibrazioni. Si esprime con forza, vigore, energia e altrettanto fa nel dar voce al silenzio. Come nella poesia Certe cose:

“Certe cose colpiscono / il cuore come un colpo di gong, / così che poi risuona a lungo”
(Carnevali, 1978).

Così a lungo che ci feriscono ancora oggi.

Letture
  • Emanuel Carnevali, Il primo Dio, Adelphi, Milano, 1978.
  • Emanuel Carnevali, Il primo Dio, D Editore, Roma, 2017.