E per magia apparve
un’altra identità

Bewitched
Registrazione inedita.
Mantova, 18 aprile 1998.
Steve Beresford (pianoforte e voce),
Lol Coxhill (sax soprano).

Bewitched
Registrazione inedita.
Mantova, 18 aprile 1998.
Steve Beresford (pianoforte e voce),
Lol Coxhill (sax soprano).


Effervescente e luccicante, la sigla animata della serie televisiva Bewitched mostrava una giovane donna a cavallo di un manico di scopa che, svolazzando di notte sopra i tetti di una città, disegnava la scritta “Bewitched” e di seguito presentava i personaggi principali e infine tutti i crediti. La musica la scrisse una coppia affiatata di compositori, autori di musiche per Connie Francis e Frank Sinatra: Howard Greenfield e Jack Keller. Swing da manuale e un testo che diceva una parte, essenziale ma solo una parte, della verità: “Bewitched, Bewitched / You’ve got me in your spell”.
Per otto stagioni, dal 1964 al 1972, prima in bianco e nero (due stagioni) poi a colori, il pubblicitario Darrin Stephens (Dick York e in seguito Dick Sargent) sarà felicemente coniugato con Samantha (Elizabeth Montgomery), giovane strega che cela la sua vera natura al mondo, tranne che al coniuge. I suoi poteri, ereditati anche dalla figliola Tabatha, le consentivano di aggirare alcuni affanni quotidiani ricorrendo a svariati incantesimi. A rendere strano il quotidiano di Darrin ci pensavano anche la suocera, Endora, strega a sua volta e la cugina di Samantha, Serena, così simile a lei (in realtà era Montgomery a interpretarla) da mettere in scena in più occasioni una surreale commedia degli equivoci. In Italia, la sitcom si chiamò definitivamente Vita da strega, dopo il debutto con il titolo L’adorabile strega.

Tutto leggero, nei toni, nelle trame, nei volti, a iniziare dall’impareggiabile nasino all’insù di Samantha; tutto pieno di grazia e mai fuori dal registro dell’intrattenimento puro, cliché compresi, come le risate del pubblico nei momenti più esilaranti (tagliate nell’edizione italiana). Non poteva essere diversamente con quei titoli di testa scanzonati, con il brano che venne usato nella versione strumentale swingante, quasi a nascondere ancor di più qualcosa. Una lettura possibile, una trama invisibile di significati.
Aiutano a mettere le cose in chiaro i tre ribaldi musicisti britannici che con il nome di Melody Four (Steve Beresford, Tony Coe e Lol Coxhill) agivano a metà anni Ottanta rivisitando senza remore classici di vario genere, ballate jazz, temi da film e anche le sigle da telefilm, proprio loro che in varia misura vantavano fama di sperimentatori sonori anche radicali. Il trio, nel 1986, dedicò un intero album alle musiche scritte per la tivù, selezionando serie famose: T.V.? Mais oui! (Chabada, 1986) era il titolo. La scaletta comprendeva anche Bewitched, che li stregò e rimase nel loro repertorio da concerto anche quando si ritrovarono senza Coe. In una versione mai comparsa su disco, il duo Beresford/Coxhill individuò il registro ideale per andare oltre le apparenze. Venne colta in un concerto a Mantova, il 18 aprile 1988, con tanto di dedica proprio a Elizabeth Montgomery (un estratto si ascolta nel file audio qui a sinistra, ndr). Garbata e ironica, la loro rilettura mette a nudo anche una vena più sognante e riflessiva, un tono e un andamento meno superficiale dell’arrangiamento originale, senza dimenticare lo swing.

Stratagemmi narrativi e vere trame nascoste
Insomma, Samantha e il suo mondo non consistono unicamente di abracadabra, nasini spiritosi e gag. C’è qualcosa di perturbante nella storia di una giovane donna integrata al centro di una classica famiglia della middle class statunitense e dei suoi piccoli affanni quotidiani. C’è un’identità nascosta ai più, che fa capolino ovunque e ovunque viene soffocata. Un negazione/affermazione che porta nelle case dei telespettatori la conflittualità insita nel confronto tra culture e generi differenti, ma la sposta a lato, in una zona franca, quella della magia, laddove sesso e razza non potevano certo pretendere di avere il via libera nell’invadere il tranquillo intrattenimento televisivo. Samantha è protagonista della serie perché moglie e casalinga, è il trucco che incanta il pubblico e le fornisce il lasciapassare per entrare in scena da protagonista femminile in tempi ancora meno di larghe vedute in quanto a emancipazione femminile, ma è anche una persona la cui vera natura deve rimanere celata per evitare di alterare lo stato di cose presenti, le convenzioni, le regole, gli assetti, l’intera impalcatura del sociale. Ecco, che su questi temi, quasi a far da ripresa, in forma di saggio, della versione incisa dal duo britannico del tema musicale del telefilm si interroga e scava in profondità lo studio del 2012 di Audrey Lundahl, Samantha Stephens As The Third-World Feminist Other: Border Theory And Bewitched, di cui qui proponiamo alcuni passaggi.
In questo studio, il personaggio di Samantha, in particolare per la sua scelta di sposare un mortale, rappresenta un punto d’accesso verso il riconoscimento dell’oppressione di genere che attraversa il sociale anche laddove questa è maggiormente celata all’interno della fitta rette delle convenzioni e delle regole, nell’apparente ordinatissimo ordine delle cose. Allargando i confini d’applicazione del femminismo terzomondista al di là di una sua rigida pertinenza etnica basata sul colore della pelle, e intrecciando in maniera convincente la border theory della poetessa e saggista chicana Gloria Anzaldúa con le riflessioni di Sonia Saldívar-Hull e del collettivo autoriale delle donne di colore femministe radicali autrici della mai troppo celebrata antologia This Bridge Called My Back (1981), Lundahl ci guida in maniera convincente verso la scoperta della dimensione “etnica” di Samantha, che è da ritrovarsi non nella sua (non)appartenenza ad un’etnia minore o minoritaria, ma proprio nel suo essere strega (e moglie e madre e…).


Samantha Stephens as the Third-World Feminist Other:
Border Theory and Bewitched
di Audrey Lundahl
(estratto, pp. 20 – 27. Traduzione di Luca Conti)

Quando Samantha decide di diventare una classica donna di casa, deve lottare per comportarsi il più normalmente possibile. Ma Bewitched si basa proprio sulla sua mancanza di normalità. Difatti, il parlato che introduce il primo episodio passa in rassegna le difficoltà esistenziali di una “tipica casalinga suburbana”. Il narratore descrive gli impegni quotidiani che spettano a una casalinga e li valuta assai impegnativi: “ovviamente, a meno di non essere una strega”. Gli autori e gli ideatori di questa serie non sono interessati alla “tipica casalinga suburbana” ma vogliono far sapere subito a noi spettatori che qui si parla di un personaggio di tutt’altro tipo, qualcuno che vive in mezzo a noi in un’apparente normalità ma che normale non è affatto. Il discorsetto iniziale del narratore sembra volerci far credere che essere una strega semplifichi l’esistenza, ma non appena la serie entra nel vivo capiamo subito che essere diversi non è per niente facile. Tutto lo show si incentra sulla difficoltà di Samantha nel restare sé stessa in entrambi i mondi cui appartiene. Dev’essere una brava moglie per Darrin, un pubblicitario, e un’eccellente ospite per i clienti che lui porta a casa, e contemporaneamente pensare ai propri sudditi quando viene nominata Regina delle Streghe o aiutare la svitata zia Clara a mettere una pezza alle sue balorde stregonerie. Deve rinunciare ai sortilegi e, allo stesso tempo, far cambiare idea al pubblico su cosa significhi essere una strega. Questa complicata tenzone, che sorregge l’impalcatura di tutta la serie, riecheggia nella raccolta di saggi This Bridge Called My Back: Writings by Radical Women of Color (pubblicato per la prima volta nel 1981, ndr), la cui curatrice Cherrie Moraga scrive: “Ogni giorno è come un tiro alla fune: ci tocca scegliere tra le parti del retaggio materno che vogliamo rivendicare ed esibire, e quelle che ci sono servite a evitare di conoscere noi stesse” (Anzaldúa, Moraga, 1983). Quella di Samantha è una perenne scelta tra l’essere una strega in famiglia, orgogliosa di come sua figlia sappia arricciare il naso, e il dover nascondere ai vicini la sua vera situazione. Il dilemma che Samantha è costretta ad affrontare, nell’ambito dei disaccordi tra la madre strega e il marito essere umano, è come iniziare a darsi un’identità. Da semplice strega, questo non era un problema; ma scegliere di integrarsi nel mondo degli umani implica il tentativo di identificarsi in una casalinga. Ecco che quindi il problema cambia fisionomia: riuscirà Samantha a bilanciare la sua doppia condizione di strega e di casalinga? I vari conflitti su cui si dipana la serie ci danno spesso l’impressione che questa doppia identità possa non essere conciliabile.

Un esempio di questo conflitto di identità si può osservare nella seconda stagione di Bewitched, quando Endora dice a Samantha: “Stai diventando la tipica casalinga suburbana”, e Samantha risponde ringraziandola. A Endora ripugna l’idea di un qualcosa di “normale”, mentre è Samantha che sembra proprio desiderare una tale normalità. Ma se davvero l’aspirazione di Samantha è quella di essere normale, tipica, o quel che sia, perché deve sempre ricorrere alla stregoneria? La risposta è che Samantha non ha mai avuto e non ha intenzione di rinunciare a ciò che era prima di conoscere Darrin e di decidere di cambiare identità. Samantha non mostra l’intenzione di abbandonare la stregoneria, anche quando Darrin le “vieta” di usarla, perché il desiderio della sua altra identità è troppo forte. Tutto questo viene messo regolarmente in evidenza nell’arco della serie. Ovviamente Darrin vorrebbe che Samantha accogliesse la sua identità umana e abbandonasse quella di strega, mentre Endora considera quasi blasfemo nei confronti dell’identità di strega il modo in cui Samantha si definisce “casalinga”. Ci rendiamo benissimo conto di quanto sia importante per Samantha la legittimazione di entrambi i mondi in cui vive, così come la necessità di non mostrare mai una singola identità agli esponenti dell’identità opposta. Come sostiene Gloria Anzaldúa, “Al pari di chiunque possieda una o più culture, o in esse debba vivere, anche noi riceviamo svariati messaggi, spesso di segno opposto. Quando due termini di paragone, ciascuno autosufficiente ma normalmente incompatibile, si trovano a coesistere, ecco che ha luogo un choque, uno scontro culturale” (Anzaldúa, 2007).
Anche questo desiderio di duplice identità viene mostrato nella seconda stagione, quando la Regina delle Streghe fa visita a Samantha: un gesto che per Endora rappresenta un onore ma che, in maniera sorprendente, lo è anche per Samantha. L’entusiasmo delle due donne indica che Samantha ha ancora a cuore il suo ruolo nella comunità delle streghe, anche se streghe e stregoni sono contrari al suo matrimonio misto. Eppure, nonostante il matrimonio, Samantha viene nominata erede del titolo di Regina delle Streghe. Questo episodio mostra che le idee di Samantha sulla vita, rispecchiate nella scelta del marito, sono rispettate e precorritrici nel contesto della serie, il che mette in evidenza il progressismo degli autori nell’ambito della società degli anni Sessanta. In partenza, Samantha non può accettare la nomina a Regina perché sa che Darrin non sarebbe in grado di comprendere un suo maggior coinvolgimento nel mondo delle streghe.

Nelle pagine di Borderlands, Anzaldua introduce il termine new mestiza, una definizione legata a una politica identitaria spesso citata come un aspetto delle lotte femministe (cfr. Anzaldúa, 2010). La sua nuova idea verte sulla ricerca di una soluzione a politiche identitarie basate sul singolo individuo, oppure alla difficoltà – a suo dire – che nasce dall’appartenere a una doppia etnia o dal possedere due identità e doverne soddisfare una sola. “Una delle soluzioni al problema della soggettività collettiva sembrava consistere nel prendere una posizione di intersoggettività, dal cui punto di vista ognuno può riconoscere se stesso e gli altri come identità diverse e complesse” (Fowlkes, 2001). E proprio dell’intersoggettività Samantha diventa un esempio nell’intera serie, grazie al dilemma di dover gestire due identità all’apparenza separate. Forse gli ideatori della serie pensavano di affermare qualcosa di significativo sulla complessità identitaria degli individui in un periodo come la metà degli anni Sessanta, quando personaggi femminili dall’identità complessa non erano così comuni nel mondo dello spettacolo.
La storia di Samantha ha un forte legame con questa affermazione perché, come sostiene Moraga nell’introduzione a This Bridge Called My Back, “non basta la teoria a cancellare il razzismo. Noi non viviamo il razzismo in maniera teorica, né sulla nostra pelle né su quella altrui. E neanche le donne bianche” (Moraga, 1983). Gli ideatori di Bewitched hanno cercato di ritrarre un matrimonio misto tramite una lente narrativa che potesse far quasi toccare con mano al pubblico il modo in cui discriminazione e oppressione colpiscono una famiglia, il modo in cui l’appartenenza a culture diverse influenza un matrimonio, il modo in cui la discriminazione risiede su entrambe le sponde perché ciascuna parte di un conflitto etnico si rifiuta di capire la parte opposta. Anzaldúa e altre donne di colore, con le loro posizioni radicali, cercano di mutare il privilegio concesso dalle femministe bianche middle-class e il loro fraintendimento di altri tipi di oppressione etnica e sessuale, con l’obiettivo di raggiungere quella condizione di uguaglianza assoluta che Layli Phillips definisce womanist (cfr. Philips, 2006).
L’oppressione su basi etniche e sessuali ha anche a che fare con i problemi della famiglia che, in Bewitched, hanno una valenza dinamica così come nel femminismo del terzo mondo e di confine. La cultura chicana, secondo certe donne che ne hanno fatto parte, era sessista e repressiva, dando per scontata una certa dose di sottomissione femminile all’uomo. All’inizio il rapporto di Samantha con Darrin non è molto diverso dai consueti rapporti anni Sessanta, ma ciò che fa diventare Bewitched un testo womanist è il modo in cui gli autori manipolano il ruolo della donna sottomessa all’interno della famiglia.
La lotta di Samantha si svolge regolarmente tra il mostrarsi più forte di Darrin, con svariate modalità, e il desiderio di essere una brava donna di casa, che per sua natura equivale a essere sottomessa. Analizzando un saggio di Sonia Lopez, Sonia Saldívar-Hull afferma: “Secondo Lopez, la struttura familiare si fonda su concetti maschilisti che mettono l’accento sulla presunta superiorità naturale dell’uomo e l’altrettanto presunta autorità sulla donna.
Il ruolo delle donne nella famiglia Chicana è soprattutto quello di servire gli uomini” (Saldívar-Hull, 2000). Per Lopez questa era la spiegazione della difficoltà che avevano le donne Latinas nell’entrare in un movimento che si occupava in primo luogo dell’oppressione razziale gestita dai Latinos. Alle donne non veniva riconosciuto alcun possibile contributo al movimento Latino a causa degli stereotipi culturali della donna stessa. Bewitched affronta giustappunto il problema della donna sottomessa; vediamo Samantha come una donna, o come una strega, che sa lottare per sé stessa, ma gli autori vogliono anche far passare il messaggio che le donne “normali” non sono in grado di fare altrettanto: solo quelle con poteri soprannaturali.

Vediamo inoltre che Samantha, pur volendo essere la tipica padrona di casa con i colleghi e i clienti del marito, non è disposta a tollerare le avances del potenziale cliente di Darrin (prima stagione, episodio 3), utilizzando le sue doti magiche per trasformarlo in un cane e dimostrare così di non essere una casalinga passiva.
Pur di difendere sé stessa, Samantha non accondiscende ai desideri del marito. Ovviamente Darrin non crede alla responsabilità dell’altro uomo e si arrabbia per la “disubbidienza” di Samantha, anche se l’uomo l’ha “praticamente aggredita”. Alla fine Samantha tiene anche testa a Darrin e, grazie alla magia, lo manda a dormire sul divano. In questa circostanza, Samantha si serve delle sue diversità per ottenere dei miglioramenti per una delle sue identità, quella di donna. Quando lei rivela a Darrin che mister Barker l’ha “praticamente aggredita”, la prima reazione del marito è quella di darle la colpa a, dicendole che sta “esagerando” e poi trovando giustificazioni per il comportamento dell’uomo che aveva bevuto “un bicchierino di troppo”. Darrin ricorda addirittura a Samantha che “una moglie come le altre dovrebbe sapere come gestire queste situazioni”, e ancora: “Tu, invece? Tu sei soltanto una moglie!” Ma lei non è soltanto una moglie; è la sua identità di strega a rendere complicata quella di moglie.
L’incidente tra Darrin e Samantha si ricollega a un problema col quale le femministe Latinas hanno dovuto lottare fin dall’inizio: quello degli uomini che dicono alle donne ciò che esse fanno e non fanno o ciò che dovrebbero o non dovrebbero volere nella loro identità di donne. Samantha non voleva essere una tipica casalinga, se questo implicava il sottostare alle aggressioni di altri uomini, anche se Darrin pretende che lei sia proprio una “tipica casalinga”.
Saldívar-Hull mette a confronto questa esperienza con un fatto accaduto nel 1969, durante la Chicano Youth Conference, quando “alcune attiviste chicane avevano esplicitamente sollevato il problema del ruolo tradizionale della donna chicana all’interno del movimento e il modo in cui quel ruolo limitasse le loro capacità e il loro sviluppo” (ibidem). Ma la richiesta di dibattito sul loro ruolo, sollevata da quelle donne, non era stata presa sul serio, esattamente come quella di Samantha, che domandava a Darrin di essere ascoltata; al congresso, difatti, una chicana aveva osservato che “quando il Laboratorio aveva dovuto presentare la sua relazione alla platea dei congressisti, l’unica cosa che il delegato aveva saputo dire era che “siamo stati tutti d’accordo nel sostenere che la donna chicana non vuol essere liberata” (ibidem).

La serie utilizza la vicenda di Samantha per mettere in risalto i problemi di una donna confinata nel ruolo di genere della casalinga, e in particolare il modo in cui i problemi di Samantha in quanto casalinga di un certo livello – legati all’importanza lavorativa del marito – sono ulteriormente complicati dal suo essere una strega. Come dice Saldívar-Hull a proposito delle politiche di confine: “Per capire appieno la complessità di cosa significa essere un uomo e una donna chicani nei territori di confine degli Stati Uniti, le politiche d’opposizione e di liberazione debbono focalizzarsi sulla discussione dei generi e della sessualità” (ibidem). Uno dei problemi di genere e sessualità che girano attorno all’identità di Samantha come strega e come donna è la possibilità di aggiungere un altro strato a queste identità, ovvero quello di madre.
La condizione di coppia mista in cui vivono Darrin e Samantha diventa ancor più complicata quando nell’equazione viene inserita la variabile “figlio bi-razziale”. All’inizio della serie (prima stagione, episodio 12), Darrin affronta questo problema in una situazione ipotetica. Quando Larry, il capo di Darrin, si convince che Samantha è incinta, non vede l’ora di dire al collega quella che, secondo lui, dovrebbe essere una fantastica notizia per un fresco sposo. In un primo momento Darrin si preoccupa perché sa che sua moglie è una strega, e ha anche un terribile sogno su quella che potrebbe essere la sua famiglia “magica”, completa di svariati pargoletti che gli scorrazzano per l’ufficio a cavallo di una scopa. Darrin deve affrontare il problema della trasmissione dell’identità della moglie a un figlio che sarà per metà anche suo.
Quando, nel primo episodio della seconda stagione, Samantha resta incinta davvero, Darrin le chiede “che cosa” sarà il figlio.Quando Samantha ha una figlia, Tabitha, inizia a sviluppare il suo “animale-ombra”, come fa notare Anzaldúa a proposito della disobbedienza che lei stessa si sentiva dentro in quanto donna. Nella sua introduzione a Borderlands, Saldívar-Hull spiega che “La ribelle femminista che vive in Anzaldúa è l’Animale-Ombra, ‘una parte di me che si rifiuta di prendere ordini da autorità esterne’. L’Animale-Ombra si manifesta come quella parte delle donne che spaventa gli uomini e li spinge a cercare il controllo e il disprezzo della cultura femminile” (Saldivar-Hull in Anzaldúa, 2010). Il fatto che Samantha sia a sua volta figlia di Endora, una strega forte e orgogliosa, ci lascia presumere che Samantha abbia preso da sua madre forza e tenacia. Questa ipotesi trova conferma la volta in cui Darrin insulta la cultura di Samantha usando “strega” in senso dispregiativo e Samantha pianta in asso Darrin, usando la magia per fuggire da lui. Le doti magiche di Samantha le consentono di rendersi invisibile e di oltrepassare Darrin anche quando lui si piazza davanti alla porta per bloccarla, ma il lato femminile di Samantha la fa anche sentire orgogliosa di sua figlia quando Tabitha arriccia il naso “proprio come mammà” nel primo episodio della terza stagione.
In Borderlands possiamo anche vedere il legame più significativo tra la cultura di confine e l’esperienza di Samantha Stephens, là dove Anzaldúa espone la teoria della cultura mestiza ipotizzando una razza che di per sua natura è una mescolanza di molte altre. Questa razza è più forte di qualsiasi razza “concentrata” perché mette insieme culture diverse. È una miscela di molteplici identità che serve a saldare una spaccatura presente nella consapevolezza della gente di confine.

Letture
  • Gloria Anzaldúa, Borderlands/ La Frontera: The New Mestiza, Aunt Lute Books, San Francisco, 2007 (+ seconda edizione, 2010).
  • Gloria Anzaldúa, Cherrie Moraga (a cura di), This Bridge Called my Back: Writings by Radical Women of Color, Kitchen Table: Women of Color Press, New York, 1983.
  • Diane L. Fowlkes, “Moving from Identity Politics to Coalition Politics through a Feminist Materialist Standpoint of Intersubjectivity” in Anzaldúa, Borderlands/ La Frontera: The New Mestiza, Aunt Lute Books, San Francisco, 2007.
  • Layli Phillips, The Womanist Reader: The First Quarter Century of Womanist Thought, Routledge, New York, 2006.
  • Sonia Saldívar-Hull, Feminsim on the Border: Chicana Gender Politics and Literature. Berkely, California UP, 2000.