Con il movimento #MeToo le donne hanno fatto sentire la propria voce contro ogni forma di abuso e di compromesso: è stata l’esplosione di un’esigenza forte, un desiderio di riaffermazione dei propri spazi vitali, del misconoscimento di qualsivoglia tipologia di differenziazione.
Al di là della propria provenienza culturale, il sesso di una persona non può e non deve essere una variabile condizionante, ma una peculiarità omologante. Questo pensiero al giorno d’oggi trova ancora molte resistenze, ma come spesso accade nelle narrazioni mediali certi mutamenti, certe ideologie passano e si diffondono più o meno velatamente, ponendosi come storie tanto alternative quanto pregne di una verosimiglianza con la nostra realtà quotidiana. È da alcuni anni che il cinema, la televisione e i videogiochi propongono storie atipiche, nuove rispetto ai classici canovacci caratteristici della letteratura moderna. La donna in pericolo, la donna indifesa, fragile, nobile, principessa, il ritratto del candore, del desiderio, e nel peggiore dei casi di mero oggetto sessuale, oggi è percepito quasi come un fastidio, una ripetizione seriale della figura femminile che non rispecchia appieno il nostro tempo (cfr. Brodesco, Destreri, Giovanetti, Zanatta, 2009).
La principessa Peach di Mario, la cui unica funzione era quella di dare uno scopo alle peripezie dell’idraulico baffuto (1996), la scheletrica bellezza contesa dell’Olivia di Braccio di Ferro (1936), sono tra le innumerevoli figure che rappresentano al meglio questa classica figurazione del gentil sesso. Alcune di esse sopravvivono ancora oggi nelle loro forme ri-mediate mascherando o palesando elementi caratteriali e fisici più profondi, ma negli ultimi tempi tuttavia c’è stato un cambio di rotta notevole all’interno delle narrazioni, in quanto è emersa l’esigenza di un protagonismo delle donne, una mutazione auspicata e auspicabile dell’idea di femminilità.
La figlia di Crypton: Kara Zor-el
Si parte dal già florido filone super-eroistico che vede Supergirl e Wonder Woman in prima linea. Nel primo caso parliamo della figlia di Crypton, pianeta alieno dell’universo DC che ha dato i natali al più celebre nell’immaginario collettivo Superman, che ritroviamo nella serie proposta da Warner Brothers nel 2015 come una ragazza che vuole essere uguale agli altri, che svolge un lavoro d’ufficio, che è poco rispettata e valorizzata, altresì una potenziale dea dai poteri sovrumani che deve adeguarsi alla società, spietata, egoista, razzista, tarpandole di fatto le ali.
L’attrice Melissa Benoist nei panni della cugina di Superman nella serie iniziata nel 2015.
Il suo carattere altruista e il desiderio di mettersi in gioco, di essere protagonista, risvegliano e mostrano l’eroina che è in lei, salvando dei civili da un disastro aereo rendendosi vulnerabile all’occhio vitreo delle telecamere e al paroliere critico dei giornali, permettendo al mondo di contare su un nuovo pilastro di giustizia, una iustitia che può realmente incarnarsi in una donna che agisce. Il suo essere ragazza inoltre, porta sul tavolo della riflessione in atto un aspetto interessante, cioè la questione giovanile. Come lei oggi i giovani faticano a individuare e scoprire la loro dimensione, risultando così alieni in casa propria (cfr. Savonardo, 2013). Spesso i desideri non incontrano le opportunità, ma bisogna trovare la forza di crearsi da zero, anche senza discendenze nobiliari e abilità innate.
Kara, interpretata in questa serie da Melissa Benoist, ricalca la classica figura dell’eroe dell’età classica ma con la dovuta attualizzazione nelle forme e nelle idee in cui si realizza oggi: è una ragazza che vive costantemente in uno stato di inquietudine da mancanza di certezze, affronta un’evoluzione da uno status di inesperienza a uno di riflessione e dibattito costante con i suoi principi morali per la sua crescita, e si accolla la responsabilità dell’ordine e della pace collettiva, un compito ben oltre la portata di un singolo individuo, ma che deve gravare unicamente sulle sue spalle, esattamente come le aspettative e le pratiche che i giovani compiono per costruire un futuro migliore.
Nata per combattere: Diana Prince
Discorso leggermente diverso per Wonder Woman. Anch’essa dotata di una ben nutrita biografia a fumetti e di una serializzazione televisiva che vedeva le investigazioni di una splendida Lynda Carter, la super-donna per eccellenza è ritornata recentemente sul grande schermo con la pellicola del 2017 diretta dalla regista e sceneggiatrice Patty Jenkins. Gal Gadot, l’attrice protagonista che indossa i panni dell’amazzone, ha fatto sua l’immagine della donna forte, trovando nella sua interpretazione ulteriore legittimazione al ruolo che le donne possono e devono avere nella società, un vero e proprio grido di guerra contro gli stereotipi sessisti.
L’attrice Gal Gadot nei panni dell’amazzone moderna Wonder Woman nel film omonimo del 2017.
In questo caso è avvenuta una sovrapposizione di immagini tra attrice e ruolo, rendendo (volutamente) confusionari i confini di senso: ella è sportiva (ha prestato servizio militare due anni), intelligente (era iscritta a legge), bella, tutt’altra cosa rispetto alla casalinga sottomessa degli anni Cinquanta, anni tra l’altro, in cui si muove Wonder Woman all’interno del film. Qui l’eroina è la somma di un insieme di qualità che possono essere sintetizzate coi termini di indipendenza, esuberanza, libertà, ma soprattutto è un fattore di crisi nelle routine ideologiche classiche. A un certo punto nella pellicola si vede Diana camminare per le strade della civiltà moderna con la sua mise da guerriera, che giustamente le garantiscono sguardi sgomenti e preoccupati: nell’epoca della Grande Guerra e delle grandi crisi economiche e sociali una donna che non sta al suo posto, adeguandosi ai canoni del tempo, non può che essere una deviata.
Tuttavia ella è una predestinata, cambia le sorti dell’umanità non soltanto perché combatte (fisicamente) contro un male annichilente, ma con la sua presenza testimonia un diverso possibile, un diverso probabile che non era concettualmente contemplato. Non è una ragazzina spaventata, non ha bisogno di formarsi ma di adeguarsi e comprendere un mondo le cui regole le appaiono insensate, è una donna con sani principi morali e guarda il mondo degli uomini, oggetto di desiderio del suo arcinemico storico Ares il dio greco della guerra, dall’alto in basso, ponendosi come narratrice di un degrado costante messo a confronto nei discorsi e nelle riflessioni nel film con l’idilliaca Themyshira, sua patria d’origine governata, nemmeno a dirlo, da sole donne.
Lo charme videoludico di Lara Croft
Infine, ma non per importanza, un’eroina atipica, più vicina delle altre per origine e universo d’azione ai nostri vissuti, alle nostre biografie. Lara Croft è un’avventuriera, archeologa, senza super-poteri in grado di sconvolgere interi mondi, ma un essere umano dalle incredibili virtù. La sua silhouette apparve in tutta la sua bellezza poligonale per la prima volta nel 1996 su console Play Station inaugurando un lungo periodo di dominio del mercato videoludico da parte di quest’ultima. La Croft dei primi giochi ereditava molti degli elementi dei protagonisti del cinema d’azione del periodo di poco antecedente: si pensi ai vari Rambo, Terminator, Indiana Jones. Lara era una donna di mondo, procace e perturbante, che girovagava di Paese in Paese per scoprire i segreti di antiche civiltà, manufatti dai poteri mistici, e per scontrarsi con organizzazioni criminali desiderose di conquistare il mondo. Il cinema degli anni Ottanta trova il modo di sopravvivere in prodotti videoludici siffatti, con esplosioni, sparatorie, intrighi, scoperte e avventure.
L’eroina dei primordi è un’eroina che ha portato con sé molte novità: Lara infatti fu per la prima volta protagonista di un gioco improntato all’azione, altresì un personaggio dotato di un particolare carisma rimasto ancora ineguagliato, che ha consentito la sua elevazione a vero e proprio sex symbol. Una seconda innovazione che è possibile ricordare fu la creazione di un background personale convincente ed entusiasmante, ossia di una storia credibile che facilitasse un’empatica relazione con l’avatar (cfr. Carzo, Centorrino, 2002).
L’evoluzione del personaggio di Lara Croft. Oltre la grafica, è cambiata l’età della protagonista, non più donna di mondo ma ragazza in cerca della sua dimensione.
L’avventuriera ha ricevuto una lenta evoluzione nel corso degli anni, ma sempre rispettando un’idea ben precisa, ossia quella dell’amazzone moderna, l’esploratrice dal sorriso beffardo, dal corpo mozzafiato e dal grilletto facile. Tuttavia questo modello non durò a lungo. Dopo il fallimentare esperimento della prima casa di produzione Core Design con Tomb Raider: The Angel of Darkness del 2003 il testimone è passato alla Crystal Dynamics che ne ha ri-vivacizzato l’immagine. Con la serie reboot partita nel 2013 si percepisce non soltanto un cambio di gameplay, di grafica e di ambientazioni, ma della stessa Lara, infatti non è più un rambo in gonnella sulla quarantina, ma una ragazza fresca di laurea che intraprende il suo primo viaggio da archeologa nel triangolo del drago, una zona dell’Oceano Pacifico alla scoperta di Yamatai, una civiltà autoctona scomparsa.
Qui ritroviamo una Lara Croft naufraga, in balìa di terrore e disperazione, lo stesso terrore che può provare un qualsiasi giovane scaraventato nelle avversità della vita quotidiana: luoghi sconosciuti, con delle regole a cui non si è socializzati. Inizia così il percorso di crescita di Lara che in maniera repentina, diretta, senza troppi fronzoli ed esattamente come nella vita vera deve imparare a sopravvivere a una natura impervia, a uomini che uccidono senza un apparente motivo se non per istinto di conservazione.
Nell’ultimo capitolo si giunge alla maturazione dell’archeologa, alla fine di questo percorso dell’eroico definirsi: non più dunque la ragazzina spaventata che nel corso di due videogiochi cerca sé stessa attraverso i ritrovamenti e le esplorazioni, ma una donna fatta e finita che non tentenna all’esigenza di uccidere un nemico, che non vacilla, una donna che vuole e sa raggiungere i suoi scopi, che non salva il mondo ma salva sé stessa da esso, esattamente come ogni controparte reale che vuole rappresentare.
- Alberto Brodesco, Luigi Destreri, Silvia Giovanetti, Sara Zanatta, Una galassia rosa. Ricerche sulla letteratura femminile di consumo, FrancoAngeli, Milano, 2009.
- Domenico Carzo, Marco Centorrino, Tomb Raider o il destino delle passioni. Per una sociologia del videogioco, Guerini e Associati, Milano, 2002.
- Lello Savonardo, Bit Generation. Culture giovanili, creatività e social media, FrancoAngeli, Milano, 2013.