La vita non è fatta solo di bianchi e neri. Si perde, spesso, in un’infinita gamma di grigi. Uno spettro di gradazioni, dal bianco sporco al colore crepuscolare che scivola nella notte, che rappresenta tutte le situazioni reali della quotidianità. Difficile parlare di bene o male in modo assoluto, perché si finisce quasi subito nel trovarsi davanti a situazioni spurie, a infiniti valori ormai porosi a tutti i soffi del mondo.
Vampire (2011) di Shunji Iwai (che firma: regia, sceneggiatura, fotografia e musica) racconta una storia di vampiri, o meglio di vampirismo postmoderno. Simon Williams (Kevin Zegers) insegna biologia in un anonimo liceo americano. All’apparenza tranquillo e solitario, passa molto del suo tempo a curare una madre affetta da demenza, “ancorata” in casa da una rete di palloncini bianchi che lui stesso ha congegnato, sacrificandole la spensieratezza che ci si aspetterebbe alla sua età. Una persona dalle sembianze buone, bianca, per intenderci. Simon però è anche altro, molto altro. Crede di essere un vampiro, e cerca online donne pronte al suicidio per dissanguarle e prendere da loro ciò che egli brama. Una scelta solo all’apparenza consenziente e reciproca, che si basa tuttavia su un inganno sempre diverso e legato alla vittima. Può fingersi un ragazzo depresso, pronto anche lui a morire nello stesso modo. Oppure un ricercatore che ha bisogno di sangue per dimostrare una correlazione genetica fra DNA e suicidio. Rimane comunque un atto senza forzature o violenze; un grigio più intenso, magari, ma sempre lontano da ciò che si potrebbe considerare, classicamente, assassinio. Simon, infatti, vuole ottenere qualcosa che alimenti la sua convinzione ma è molto distante da altri che usano il vampirismo come scusa per la violenza gratuita, lo stupro o il delitto. È a disagio in ambienti in cui si narrano reciprocamente le proprie gesta e rifugge tutto quello che non percepisce come un bisogno, ma piuttosto un crudele passatempo. Un’esistenza semplice e molto controllata che andrà però a complicarsi con l’arrivo di Ladybird e la sua amicizia con Mina, avvenimenti che cambieranno radicalmente lo schema di Simon, non più capace di tenere assieme tutte le anime e maschere della sua vita
Alla ricerca dell’identità sfumata
Il film di Shunji Iwai è un piccolo capolavoro di genere che si basa sull’infinita scala di grigi dell’agire umano e delle sue declinazioni. Simon è un killer seriale? È un angelo della morte? È un disadattato che usa i social per trovare persone ancora più fragili e deboli rispetto a lui? O è davvero, come dice il titolo del film, un vampiro, un essere umbratile che trasforma l’amore delle donne e il loro sangue in vita? Sappiamo bene che la sua non è una scelta di vita approvabile, e che si basa essenzialmente sul fatto di approfittarsi della solitudine e del disagio di ragazze giovani e indifese. Tuttavia, come anche Dexter, il famoso serial killer dell’eponima serie tv, ha una pulsione irrazionale che gestisce a suo modo, cercando di limitarne i danni. Sceglie vittime ideali, e non usa altra violenza che non sia un inganno psicologico. Non le sequestra, rapisce, uccide ferocemente come altri cosiddetti “vampiri”. La sua è una reale convinzione, non un modo di giustificare la violenza insita nel suo carattere. Sente il bisogno del sangue e per questo ha nel tempo costruito un copione, una storia da raccontare alle ragazze che incontra. Simon ha una vita organizzata e controllata, triste. Asociale, ancora inadeguato per un rapporto di vera affettività ma anche molto empatico, capace di proteggere i suoi pochi affetti e di salvarli dalle oscure verità della sua anima. Non ha scelto di essere un predatore, sente di doverlo essere. E questo lo rende allo stesso tempo forte ma anche più indifeso rispetto a chi ama questo tipo di vita, che uccide o dissangua per passione e gioia nel farlo. Un uomo oscuro dal cuore buono, molto diverso dalle tante persone che lo circondano e che, in realtà, sono molto più crudeli, maniacali, paranoiche. Iwai contesta il concetto di normalità, riflettendo sulla dicotomia bene e male attraverso fenomeni marginali ma esistenti, come gli adolescenti suicidi e la apparente tranquillità della provincia americana. Secondo l’idea che i sentimenti e l’agire seguano traiettorie più scomposte di quello che ci si aspetterebbe ma non per questo debbano essere ridotti a categorie, o a sterili dualismi cromatici. Preziose indicazioni in tal senso ci arrivano anche dal corposo making of incluso nelle edizioni della Midnight Factory.
Vampire è un delicato affresco di mille tonalità di grigio, poetico anche nel racconto della violenza, e della fragilità umana. Perché questo alla fine si racconta: infiniti modi di un individuo di essere sconfitto rispetto alla realtà e di agire per galleggiare. Come un palloncino bianco troppo pesante per volare via.
- James Manos, Jr, Dexter: Stagioni 1-8, Universal, 2015 (home video).