Siamo all’inizio della fine o alla fine dell’inizio? Davide Sisto apre il suo libro I confini dell’umano. La tecnica, la natura, la specie sul presente visto con le lenti del futuro cominciando da H.G. Wells che fa esplodere una bomba di ottimismo positivista nell’ambito di una famosa conferenza del 1902, da molti considerata la culla della futurologia (Wells, 2021). Sisto apre facendo sue le parole del popolare scrittore britannico: “il passato pare veramente soltanto l’inizio dell’inizio”. Ma l’inizio di cosa precisamente? Dopo oltre un secolo siamo ancora “creature del crepuscolo” pronte al salto evolutivo in un mondo “pieno di promesse di cose più grandi”. Del resto tutta la fantascienza novecentesca espone apparecchiature che sembrano fare da flashforward rispetto alle tecnologie del presente. Oggi siamo ben avviati verso la digitalizzazione di ogni cosa e quindi probabilmente verso il definitivo trionfo dell’homo sapiens sulla materia. Sisto constata che “la biologia di per sé non rappresenta più né un limite invalicabile né una funzione regolativa non negoziabile per la cultura umana” rendendoci liberi di incentivare le nostre “attività creative” (compresi i nostri “vizi autodistruttivi”). Quella stessa fantascienza che ha intuito e raccontato la vertigine tecnologica, ha anche spiegato con chiarezza che nel pacchetto dell’autarchia umana c’è anche il tasto dell’autodistruzione. La fuga dalla materia e l’inciampo dell’annientamento termonucleare rendono un po’ ambigui rispettivamente i concetti di salto evolutivo e di nuovo inizio.
La roulette dell’evoluzione (in)naturale
Oggi la Terra è un globo verde-azzurro acciaccato ma ancora in vita nonostante sia stato già nuclearizzato decine e decine di volte con le bombe dell’immaginazione fantascientifica e degli scenari delle intelligence. Questo status quo è dunque frutto di un limite posto all’immaginazione e alla creatività umana. Nello specifico le dottrine della deterrenza ma anche certi ammonimenti diffusi dalla letteratura di anticipazione, dagli studi sul futuro. Le ambizioni futurologiche di oggi sono più sofisticate e dettagliate di quelle auspicate da Wells. Studiare il futuro come se fosse il passato? Gli occhi novecenteschi e un po’ ingenui di Wells intercettati da Sisto, guardano a una “scienza” che vorrebbe prendere la freccia dell’evoluzione biologica e affrancarla dalla casualità del dato tecnico-ambientale. Ma sarà un bene per il genere umano? Il cervello del sapiens è un’arma potente che può costruire ma al tempo stesso distruggere. Per Darwin il palcoscenico dell’evoluzione è riservato al più adatto, non al più forte o al più intelligente o al più creativo. E man mano che l’uomo riesce a emanciparsi dalla natura, il concetto di adattamento non riguarda più solo il mondo fisico ma si sposta verso nuovi territori inesplorati.
All’alba della rivoluzione informatica il sapiens si tramutava in informazione inserendo dati picchiando con le dita su una tastiera. Ora è diventato un essere che si offre continuamente in forma di dati, anche solo respirando in una ragnatela di sensori e di terminali. Ragnatela che, a dire di Sisto, rende ormai insensata la distinzione tra realtà fisica e realtà digitale. Come può un hub aeroportuale o la sala d’attesa di un grande ospedale essere considerato un luogo più reale della lobby del nostro gioco online preferito? Ma è ancora presto per dichiarare del tutto superata la materia fisica visto che abbiamo ancora bisogno di guerre e di rassicurazioni sul controllo della carne e dei territori. L’umanità non sembra ancora in grado di salire sopra le macerie della Storia, sopra corpi che cercano di controllare altri corpi manipolando religioni, imponendo valori, disegnando confini geografici con il sangue.
Il superamento della materia
Oggi i nostri polpastrelli hanno a che fare con gli schermi di smartphone e tablet ma le dita rilasciano ancora segni di grasso animale sulle superfici tattili. Non siamo ancora pura informazione che si autodetermina librandosi nell’etere senza corpo, senza peso, senza animalità, senza secrezioni. Ma possiamo ancora decidere cosa diventare rispetto alla materia? Per Sisto la risposta è nell’abbracciare senza paura la pratica dell’ibridazione tra materiale e immateriale. Non sappiamo ancora come ma i nodi della casualità evolutiva potrebbero davvero cambiare visto che siamo dentro l’antropocene, epoca in cui la tecnica umana diventa capace di modellare il pianeta. Insomma, bomba o non bomba, vi sono forti indizi che gli umani siano destinati a uscire dal regno animale in senso stretto, seppur tenendo ancora in mano l’agenda dell’animalità in quanto esseri desideranti. Il punto è che non dobbiamo necessariamente scegliere tra la carne e il pensiero. Stiamo già vivendo in un territorio ibrido denso di promesse e di pericoli. Sisto chiama “smartphone globale” (mutuando l’espressione da una ricerca targata University College London) quella sorta di “bolla umana planetaria” che contiene la rete di relazioni composta e manutenuta digitalmente da tutti noi. Si tratta di una sfera antropica che non riguarda solo i flussi economici del terziario, ma copre tutti i livelli della vita culturale e psico-sociale dell’individuo.
“Lo smartphone diventa un complemento materiale, un’estensione corporea e soprattutto un prolungamento narrativo e socio-culturale […] dell’insieme globale delle unicità e delle collettività di tutto il mondo, inteso come un grande laboratorio le cui parti sono strettamente interconnesse”.
Se “il corpo biologico non è più l’unico strumento umano per avere un mondo” allora questo laboratorio di interconnessioni offre all’umano un numero potenzialmente infinito di mondi da abitare.
Umani indistinguibili dalle macchine
C’è solo da risolvere il problema del tempo: quanto possiamo spendere in questo o quel mondo? Da una parte siamo atterriti dalla velocità con cui ci stiamo facendo travolgere dalle non cose rinunciando quasi del tutto alla nostra presa sul mondo materiale e in certi casi sulla nostra agenda. Ma d’altra parte siamo anche ammirati dalle possibilità liberate da questi costrutti immateriali e dalle macchine quando fruttano i dividendi, per esempio, in campo biomedico. La tecnologia sta ridefinendo i nostri confini biologici, cognitivi e sociali, rendendoci sempre più avvinghiati ai nostri artefatti che migliorano i corpi e prolungano la vita.
“[…] allo stesso modo degli occhiali da vista, delle scarpe ortopediche o del pacemaker, la mano artificiale e lo smartphone sono già oggi parti costitutive di ciò che siamo e che ci definisce come esseri umani”.
Ma l’ibrido a cui pensa Sisto è soprattutto nello smartphone quando viene usato dall’individuo e diventa laboratorio identitario: da una parte vi sono le “particolarità preservate” (quello che ci mette dentro l’individuo) e dall’altra l’”omogeneità indotta” (quello che si aspetta da noi il produttore e le funzioni che vengono ideate dagli sviluppatori). Uno smartphone usato è una macchina certo ma dentro c’è anche molto di noi. Cyborg, “biomacchine” o “intelligenze artificiali incarnate”, sono esempi di medietà, zone di co-evoluzione che Sisto esalta nella ferma convinzione che qualunque artefatto faccia parte del quotidiano non sia una presenza neutrale o puramente strumentale. Le vite mentali ne sono intrise e questo fatto porta il filosofo a immaginare una nuova specie pronta a prendere possesso di questo mondo: gli “umani post-biologici”. Sisto cita Upload, serie tv ambientata in un futuro in cui gli esseri umani, al momento della morte biologica, “caricano” la propria coscienza in un aldilà digitale chiamato Lakeview. Un assaggio di plot aiuta a capire la sintonia tra la narrazione e il nuovo piano esistenziale ibrido descritto dal libro di Davide Sisto. Nathan, appena “scaricato” (nel senso di download), inizia una relazione con Nora, insieme alla quale prova a disattivare la piattaforma Freeyond. Intanto una copia digitale di Nathan prende vita a Lakeview e inizia a sperimentare un percorso alternativo con Ingrid, fidanzata del Nathan “originale”. Nel “mondo reale” seguiamo le vicende di Aleesha che scala i ranghi nella corporation Horizen con l’ingrato compito di gestire la flotta delle intelligenze artificiali. La sua ricerca di un equilibrio tra carriera, tecnologie capricciose e innamoramenti indica bene il bilico tra reale e virtuale. E questo vale anche per le aspirazioni di A.I. Guy, il maggiordomo/tuttofare sintetico. Nel frattempo Luke continua a creare problemi a Lakeview trovando il modo di hackerare il sistema per ottenere oggetti e aggiornamenti senza pagare. Finirà col dover lavorare nella Zona Grigia (dark web nel quale l’identità rischia la cancellazione).
Identità frammentate e memorie consumate
La sensoristica, il computing mobile e l’auto-delazione via social portano alla “indistinzione tra gli oggetti industriali e i corpi biologici”: il singolo viene catturato e riprogrammato in quanto parte integrante della macchina, certo impossibilitato a staccare la spina a un intero sistema politico e socioeconomico.
“Alla venerazione delle macchine, in virtù del potere che ci sembrano promettere, si contrappone l’odio nei loro confronti, quando il potere promesso pare invece trasformarsi in schiavitù”.
Si crea dunque un rapporto ambivalente con le macchine che mette a dura prova anche il rapporto tra il senso dell’identità individuale e la consapevolezza di far parte di una collettività. Il gioco delle “identità digitali” a cui ormai partecipano tutti gli individui arruolabili tramite il possesso di uno smartphone è un gioco di “identità multiple”. La prima evidenza è quella di una società frammentata così come è frammentato l’individuo, ormai spinto a esprimersi contemporaneamente su più fronti e in più ruoli semplicemente perché è possibile e perché l’industria lo richiede. Anche l’impostazione polarizzante delle attuali comunicazioni molti a molti, segnate da peculiari forme di violenza verbale, diventa spesso fonte di isolamento, di alienazione, concorrendo alla tendenziale polverizzazione di qualsiasi sentire comune. Tra le forme di alienazione possibile in ambienti digitali vi è senz’altro quella generata dall’assenza di una percezione precisa del tempo. Per Sisto il “ricordare al tempo delle tecnologie digitali è un’azione priva della salubre distanza e dell’assenza consapevole” portando il cittadino digitale a vivere in un “mondo-archivio” che rende tutto il passato disponibile e quindi lo nega in quanto passato.
“Facciamo sempre più fatica a dimenticare, mutando la nostra memoria sia biologica sia digitale in un deposito di rifiuti. La presenza a tempo indeterminato di qualsivoglia traccia scritta, sonora e visiva delle esperienze vissute, mentre riempie lo spazio mnemonico a disposizione, rende i nostri ricordi tanto impalpabili e aleatori quanto ostili a un corretto processo di crescita personale”.
Sisto cita Funes o della memoria, un racconto di Jorge Luis Borges sulla vicenda di un contadino che dopo un trauma cranico riesce a recuperare la memoria ma scopre anche l’incredibile facoltà di ricordare tutto, ma proprio tutto (cfr. Borges, 2015). Così non è possibile ricordare e nello stesso tempo il racconto mette in metafora il fatto che c’è sempre una certa distanza tra la memoria individuale e quella collettiva, banalmente perché non sempre il singolo considera significativo ciò che è importante per una comunità, e viceversa. Eppure quel lavoro di selezione e di accensione del ricordo è fondamentale perché in una società si crei quell’universo di significato comune. Per Tzvetan Todorov quando manca la dialettica con il passato vi è un grave pericolo per tutti non solo per il singolo: se prendiamo un avvenimento passato (diciamo l’Olocausto), e lo collochiamo sul piedistallo della sua unicità e non ripetibilità, avremo qualcosa che non è utilizzabile dalla collettività rispetto agli eventi futuri (cfr. Todorov, 1996). Ciò che è singolare non insegna niente sul piano del grande disegno (se ve n’è uno) di una civilizzazione, e certo non dice niente a un’intera specie in ottica evolutiva. Un utilizzo sociale delle esperienze singolari è possibile solo se vi è un tessuto relazionale o comunque una volontà di riattualizzazione all’interno di un dibattito pubblico. Marcel Proust ha due o tre cose da dire sulla memoria umana:
“Noi non traiamo profitto da nessuna lezione, perché non sappiamo spingerci fino al generale e perché pensiamo di trovarci sempre di fronte a un’esperienza che non ha precedenti nel passato”
(Proust, 2020).
Il Funes di Borges, riattualizzato da Sisto, punta il dito verso “l’indistinguibilità tra presente e passato” che potrebbe “interferire negativamente sull’avvicendamento tra le fasi della vita” e rallentare l’agire in ragione di esperienze passate “invincibilmente presenti”. Una delle sfide del futuro (resa ancora più interessante dalle intelligenze artificiali che basano i propri modelli di apprendimento proprio sullo studio di quanto già avvenuto) sarà dunque quella di resistere al senso di vuoto o di perdita rispetto alle cose del passato, anche solo immaginate. La mancanza è un modo neutrale per descrivere una precisa discontinuità nello spazio fisico. Quando siamo nostalgici è come se materialmente ci mancasse un pezzo di qualcosa. Un continuum che prima era omogeneo ora sembra sgretolarsi insieme alle polveri del tempo che passa. Fratture che rischiano di crearsi ogni volta che si mette in discussione un qualsiasi aspetto materiale dell’esistere comunitario. L’immediata consolazione è nella disponibilità permanente degli archivi digitali. Ma questo passato-presente digitalizzato è solo una negazione della perdita o meglio un artificio orientato al benessere cognitivo del vivente nel tempo presente (cfr. Cavicchia, Pecchinenda, 1996).
In definitiva per Sisto la definizione odierna dei confini dell’umano, per quanto possano essere evidenti i condizionamenti da parte delle macchine, non può essere relegata al solo dibattito tecno-scientifico o ai bollettini del mercato azionario ma deve invece essere affrontata sul piano etico e filosofico, passando in rassegna luci e ombre di ogni singola innovazione. E qui Sisto non resiste alla tentazione di mettere in fila una serie di considerazioni riguardanti la presunta disumanizzazione causata dal progresso tecnologico, la perdita di quella “supposta gentilezza di un’umanità pre-digitale”. Sisto usa efficacemente l’esempio della recente pandemia per sottolineare il valore della cultura digitale che non coincide con il banale soluzionismo tecnologico.
“Nelle pandemie succedutesi nel corso della storia, gli esseri umani sono stati costretti a vivere lunghi periodi temporali in lockdown, quarantena e coprifuoco […]. Tuttavia, per la prima volta nella storia dell’umanità, ciò non ha fermato le nostre attività e i nostri movimenti nel mondo”.
La pandemia come chiaro esempio di interoperabilità tra atomi e bit. La pandemia come perfetta valvola di miscelazione tra le negatività della globalizzazione e le positività della socializzazione digitale. Certo non è più tempo (o forse non è ancora il momento) di grandi teorie unificanti. In questa fase, in questo guado evoluzionistico, conviene forse solo inquadrare le innovazioni con equilibrio, evidenziandone il lato chiaro e il lato oscuro. Ricordando soprattutto che quel “social” davanti a “media” sta a indicare una chiara direzione presa dalla tecnologia: condivisione e relazione sociale. Ed è dallo studio delle relazioni sociali di oggi che nascono testi come quello di Sisto, utili panoramiche che riprendono con zelo futurologico i trend di questa favolosa (o terrificante a seconda dei punti di vista) civilizzazione digitale. In definitiva anche il testo di Sisto, come quasi tutti quelli che analizzano l’impatto delle tecnologie nelle nostre vite, dimostra come non sia possibile inquadrare una traiettoria evolutiva dell’umano (in questo caso dall’animale biologico a quello bio-tecnologico), senza vagliare le articolazioni sociali implicate nel transito. In fondo gli umani sono come le buffe creaturine del film Gremlins di Joe Dante, citato da Sisto per indicare una metafora della dissezione post-moderna della soggettività moderna. Basta un po’ di bisboccia notturna per trasformare un amabile “mogwai” in un diabolico “gremlin”, piccolo leprechaun burlone che ha bisogno di sfogare la propria energia creativa in tutti i modi possibili, incurante delle conseguenze (anche mortali) delle proprie azioni.
- Jorge Luis Borges, Funes o della memoria, in Finzioni, Adelphi, Milano, 2015.
- Antonio Cavicchia Scalamonti, Gianfranco Pecchinenda, La memoria consumata, Ipermedium Libri, Napoli, 1996.
- Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, Milano, 2020.
- Tzvetan Todorov, Gli abusi della memoria, Ipermedium Libri, Napoli, 1996.
- Herbert George Wells, La scoperta del futuro, a cura di Simone Arcagni, Luiss University Press, Roma, 2021.
- Greg Daniels, Upload, Prime Video, 2020 – in produzione.
- Joe Dante, Gremlins – Steelbook edition, Warner, 2023 (home video).