Se la ridono dall’alto della Arasaka Tower e dagli ultimi piani di tutti quei grattacieli che governano l’odierna economia dei chip e delle connessioni digitali. Sembra perfettamente riuscito il trapianto del cervello del capitalismo nel nuovo corpo dell’economia digitale, con le grandi aziende tecnologiche a disegnare e gestire recinti e steccati, perimetri di proprietà private che assimilano la frontiera digitale al Far West. Le praterie costituite dalle banche dati interoperabili e aperte a tutti restano un sogno quasi dimenticato proprio come nella sceneggiatura del recente videogioco Cyberpunk 2077: la internet come la conosciamo non esiste più ed è stata frammentata in milioni di intranet più o meno estese. Solo i netrunner, pirati informatici caratterizzati da interfacce e hardware impiantanti direttamente nel corpo, riescono a muoversi più o meno liberamente saltando il filo spinato dei firewall corporativi.
Cyberpunk: Edgerunners è una serie tv anime distribuita da Netflix e realizzata dallo studio di animazione giapponese Trigger in collaborazione con CDPR, la software house polacca che ha sviluppato il videogioco Cyberpunk 2077 di cui l’anime condivide ambientazioni e parte dei personaggi. Una boccata di ossigeno soprattutto per quelli che hanno vissuto l’alba del web e i moniti della letteratura cyberpunk e che oggi sono in iperventilazione osservando il sogno dei cowboy della rete e il concetto di openness digitale ridursi a paywall e gabbie claustrofobiche social.
La transmedialità dell’ipertesto sincretico
Come viene evidenziato nei titoli di testa, l’universo attraversato dalla serie tv è “set in a universe created by Mike Pondsmith”, a sottolineare la comune radice narrativa dell’anime Trigger e del videogioco CDPR nel segno del gioco di ruolo carta e matita intitolato Cyberpunk 2020 e risalente al 1988 (poi aggiornato con il titolo Cyberpunk Red in concomitanza con l’uscita del videogioco). In questo continuum narrativo unico tra gioco, videogioco e serie tv, l’opera di Pondsmith si presenta come un’enciclopedia passata alla storia come pionieristica e sistematica catalogazione di tutti quegli elementi narrativi che oggi chiamiamo cyberpunk e che sembrano poter penetrare in qualsiasi medium. Cyberpunk: Edgerunners è forse il primo caso di narrazione progettata e sviluppata in un contesto seriale per ravvivare le vendite di un videogioco costato 121 milioni di dollari.
La patch 1.6 aggiorna Cyberpunk 2077 rendendo giocabili contenuti ispirati all’anime: nuove missioni ma anche nuove armi e quindi nuove voci per l’enciclopedia cyberpunk che accompagna il giocatore nei menu e che offre in forma testuale alfabetica un supporto informativo che approfondisce quasi tutti i dettagli del gioco. Elementi narrativi di una serie tv che adatta un videogioco e che poi sono riadattati e riassorbiti nel videogioco stesso a oltre un anno dalla sua uscita. Cyberpunk 2077 dispiega così tutta la sua potenza di “ipertesto sincretico” e questo non solo per la varietà di sostanze espressive utilizzate (i videoclip dei ponti narrativi, i dialoghi telefonici, le musiche, le istruzioni testuali) “ma anche per la pluralità di forme di ipertestualità” (Maietti, 2017) che mette in gioco aggiungendo la potentissima arma costituita da una serie tv che aggancia il target potenziale di tutti gli utenti Netflix. Nel senso inverso, videogioco-anime, va notato il comune set di effetti sonori, di sovraimpressioni e rappresentazioni grafiche tra cui spiccano la mappa della città vista dall’alto e le soddisfacenti barre di progressione che segnalano un hacking in corso.
Gli universi videoludici sono creazioni complesse che, specialmente nel caso di Cyberpunk 2077, richiedono un certo tributo in ore di gioco per onorare le fatiche degli sviluppatori. Quelle di CDPR sono durate non meno di dieci anni tra sceneggiatura, messa in scena e sviluppo del codice. Al fruitore sono richieste almeno 100 ore per battere ogni angolo dell’affascinante Night City. Da notare che anche il gioco da tavolo da cui nasce l’universo rientra nel gioco di rispecchiamenti transmediali e traino reciproco: l’ultima versione denominata Cyberpunk Red è un aggiornamento pubblicato in concomitanza con l’uscita del videogioco CD Projekt Red. I dieci episodi di Edgerunners distribuiti da Netflix risultano dunque un agile compendio di quasi tutto quello che hanno da offrire la storyline e i subplot del videogame. Qualcosa di molto utile per chi ha assaggiato il prodotto CDPR e non ha a disposizione tutto quel tempo.
Lame di mantide e occhi di ragno
In Edgerunners al centro dell’azione adrenalinica vi è un nucleo di cybernauti più o meno professionali alla ricerca di gloria o rivalsa in un eterno conflitto contro i muri fatti di ICE (Intrusion Countermeasures Electronics, una delle tante invenzioni terminologiche che arrivano da William Gibson) edificati da intelligenze artificiali e da sistemi corporativi allo scopo di congelare la mobilità sociale e la vitalità di chi non ha niente.
La serie anime si apre entrando subito nel vivo degli scontri a fuoco cyber-potenziati, il leitmotiv della parte shooter che caratterizza anche il videogioco Cyberpunk 2077. Nella primissima scena osserviamo l’esibizione finale di un militare imbottito di cromo (cyber-innesti) che ha sbroccato facendo strage di poliziotti. Si scoprirà poi equipaggiato con il Sandevistan famigerato impianto neurale in grado di velocizzare all’inverosimile la velocità dei movimenti. Ma nell’entrata in scena del personaggio il dettaglio metonimico messo subito in evidenza è il visore: un impianto cyberware che sostituisce gli occhi biologici con numerosi sensori ottici. Il volto del personaggio ricorda così gli occhi multipli di un ragno e, ironicamente, le sempre più numerose fotocamere sul dorso dei nostri smartphone che ci tengono sempre pronti a catturare e a rilanciare impulsi digitali. Il mondo animale è richiamato con divertimento sia nel cartoon che nel videogioco quando entrano in azione le mantis blade, lame di mantide celate negli avambracci, sempre pronte a scattare e affettare i nemici. In Cyberpunk 2077, tra una missione e l’altra, ci si può rilassare guardando il telegiornale in ascensore o a casa. Tra le notizie del giorno c’è una rapina malriuscita. Le riprese di una telecamera a circuito chiuso mostrano una povera passante che viene trascinata nell’azione e usata come scudo umano dai rapinatori. Dopo un iniziale spaesamento la donna si riscuote e prende il controllo facendo scattare fuori dagli avambracci le sue lame di mantide. Per gli aggressori non c’è scampo.
Sono frequenti sia nel videogioco che nell’anime le scene d’azione basate sul mimetismo: nello spietato gioco della sopravvivenza urbana, la preda può diventare predatore in un batter d’occhio. Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze, specie in un mondo in cui quasi tutte le retine sono condizionate da impianti ottici sintetici. L’inclinazione post-umana degli abitanti di Night City (e della Arasaka quasi monopolista nel produrre i terrificanti gadget) guarda dunque con attenzione agli ecosistemi biologici per rubare idee. Deliziosa anche una missione secondaria di Cyberpunk 2077 che vede V alla ricerca di un taxi a guida autonoma impazzito. Quando il nostro riesce finalmente a localizzarlo, il taxi si lascia inseguire fino ad un quartiere malfamato e si ferma in un imbuto senza vie di fuga. L’intelligenza artificiale ribelle alla guida del veicolo saluta V: “Hai scelto questa strada. Adesso ho una sorpresa per te…” Si tratta di un’imboscata e V dovrà affrontare un vero e proprio plotone di esecuzione armato fino ai denti. La scena è anche un’ironica gag sul paradosso insito nel temere le intelligenze artificiali e nello stesso tempo fare affidamento in prodotti come Google Maps che potrebbero letteralmente condurci sull’orlo dell’abisso. La giungla d’asfalto di Night City pullula di animali in lotta per la sopravvivenza e non sempre quello armato meglio riesce a prevalere.
La normalizzazione del codice cyberpunk
L’insofferenza per lo strapotere dell’alta finanza che lucra sullo sviluppo tecnologico è un tratto tipico dei racconti cyberpunk e si condensa spesso nell’immagine della skyline metropolitana accompagnata da didascalie critiche. In Edgerunners ci pensa la guerrigliera elettronica Lucy: “Vista da qui sembra una prigione, una grande prigione di luce”. Sguardo che ricorda il finale panoramico di Fight Club, pietra miliare del cinema nichilista anni Novanta, con i Pixies perfetto sottofondo musicale mentre crollano i grattacieli. La metropoli multiculturale e ipertecnologica è uno scenario amato e odiato nel contempo, matrice di visioni conflittuali e schizofreniche figlie dello sprawl di Gibson, l’eccitante distesa urbana diffusa e pervasiva dalla quale non si riesce a fuggire, caratterizzata dall’indimenticabile cielo dal colore della televisione sintonizzata su un canale morto. Riproposto oggi, questo mindset cyberpunk sembra un commento sociale dal sapore quasi retrofuturistico. Ma grazie soprattutto a tecnologie videoludiche sempre più fotorealistiche e coinvolgenti, l’arena mediatica riesce a riesumare e rinverdire i fasti di qualsiasi codice di genere.
Lo ha fatto nell’ultimo decennio soprattutto Rockstar Games rispolverando i sapori hard-boiled in L.A. Noire, l’action movie anni Ottanta in Grand Theft Auto, le vecchie ricette western in Red Dead Redemption 2. A ogni nuovo best seller aumentano le possibilità di un successivo investimento per migliorare il motion capture o l’illuminazione delle scene virtuali o l’intelligenza artificiale dietro ai pattern comportamentali degli NPC (personaggi non giocanti). Il prezzo del biglietto è pagato dall’eccitazione per nuove modalità narrative che si legano all’evoluzione delle tecnologie informatiche, indipendentemente dai miti vecchi o nuovi che vengono narrati.
Cyberpunk 2077 propone un universo sincretico fatto di mappe bidimensionali e tridimensionali, testi (istruzioni ma anche brevi racconti che costituiscono back story), fotografie (in particolare i volti degli NPC che di tanto in tanto disturbano l’azione con videochiamate inopportune) e soprattutto vedute paesaggistiche su quello che si candida a essere il futuro delle nostre città. Se prendiamo la corsa per le strade di Night City come una “amplificazione dello spessore ottico delle apparenze del mondo reale” (Virilio, 2000) questa simulazione videoludica presenta importanti stimoli per un discorso sulla rappresentazione del territorio, rendendo il paesaggio un concetto particolarmente problematico tra impulsi architettonici, interventi tecnologici e intricatissime stratificazioni socio-economiche. Qualcosa del genere faceva il western negli anni d’oro di Hollywood parlando al pubblico di quegli anni della frontiera americana collocata alcuni decenni prima.
Oggi il cyberpunk ritorna sotto i riflettori, mentre il traffico internet sembra perlopiù costituito da flussi TikTok, da storie su Instagram e dalle gesta di YouTuber scappati di casa che fanno sognare ai più giovani di poter sbarcare il lunario entrando nel magico mondo dell’influencer marketing. Un esito sorprendente visto dalla generazione di quanti negli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, hanno letto il primo Gibson e osservato la nascita del cyberpunk come sottogenere della fantascienza letteraria. Quelle pagine sprigionavano un furore tecnologico che spingeva la gente a muovere i primi passi nel desktop publishing e far nascere i primi siti web quasi per gioco, smanettando, senza guide: una potente spinta dal basso che faceva cambiare le abitudini e attirava l’interesse delle grandi aziende, per una volta in netto ritardo rispetto ai fenomeni di costume. Ma a ben vedere il risultato di questo furore non è costituito da grandi rivoluzioni politiche o sostanziali modificazioni negli assetti produttivi e socioeconomici. Il ritorno dell’universo di Pondsmith incorona il cyberpunk come principale visione critica del neoliberismo o candida il genere a diventare il western del nostro tempo, eco crepuscolare di antiche utopie di spazi aperti e openness?
La gestione strategica del corpo-device
Night City è una fitta giungla piena di creature da decriptare e dominare. Ciascuna ha un suo DNA narrativo che ibrida generi e codici ormai familiari e addomesticati dall’immaginario. Ma nel cyberpunk tutto, creature e oggetti, viene sottoposto al vaglio del potenziamento tecnologico e i corpi vengono messi in stretta correlazione con i dispositivi di esercizio del potere corporativo. Videogioco e anime declinano la ricercatezza dei bonus fisici e cognitivi con differenti sfumature e diverse strategie. In Cyberpunk 2077, nei menu gestionali di allocazione delle risorse, una rappresentazione grafica del corpo umano divide le varie aree potenziabili e per ciascuna esistono mod e protesi biomeccaniche ottenibili tramite il denaro accumulato con le missioni. Durante l’azione shooter si beneficia dei graduali progressi nelle performance legati ai potenziamenti ma la frenesia del momento impedisce di riflettere sui dettagli della costruzione tecnica che ha condotto a quel determinato gesto agonistico.
Da tutto ciò si smarca Cyberpunk: Edgerunners che, in quanto anime, si specializza sul piano visivo, sostituendo l’interazione e la visione strategica con l’insistenza sui dettagli anatomici, esibendo imperiosi tratti da manga giapponese. In particolare il lavoro del disegnatore Yoh Yoshinari mette bene in evidenza le intersezioni tra materia organica e inorganica, segnalando con specifiche rotture tra stasi e movimento gli effetti concreti dei potenziamenti rispetto all’azione in corso. David Martinez è un punk cyber-feticista che ha alzato il tiro con gli innesti: ha una spina dorsale modificata da un innesto chiamato Sandevistan grazie al quale il giovane protagonista può affrontare l’azione ad una velocità inarrivabile, assestando colpi micidiali e fulminei ai nemici. “Ormai preferisco il metallo alla mia vera pelle”, dice David. Il prezzo da pagare per avere tanto cromo in corpo è altissimo: metalli, plastiche e circuiti elettronici, se accumulati in quantità eccessive, sembrano causare allucinazioni e schizofrenia violenta portando alla cyberpsicosi.
Rispetto al videogioco, l’anime ritaglia un certo spazio per l’anatomia femminile. L’altra protagonista di Cyberpunk: Edgerunners, la runner (hacker) Lucy, ha un interessante back story e una straordinaria silhouette grafica che rappresenta bene l’idea di una soggettività agile in grado di scavalcare le muraglie informatiche. Questo aspetto viene esaltato dalle sequenze dal sapore onirico che mostrano Lucy impegnata a cercare un varco tra le intercapedini dei firewall fatti di ICE corporativo. Ve detto però che il ruolo di Lucy viene un po’ banalizzato dall’eccessiva esposizione del suo corpo nudo, testimoniando una certa quota di ormone hentai nel team di animatori giapponesi diretto da Hiroyuki Imaishi e, ovviamente, anche nel target primario dello show. Nel personaggio della guerrigliera elettronica Lucy manca la nudità utilitarista, quasi politica esibita dal Maggiore Motoko Kusanagi in Ghost in the Shell, capolavoro anime del 1995 firmato da Mamoru Oshii che ha in gran parte definito tutti i canoni visivi del cyberpunk. In Edgerunners i capezzoli azzurri di Kiwi e il pube di Lucy decorato con tracciati elettronici hanno solo una funzione ornamentale. Qui si ravvisa una certa mondanità estetizzante piuttosto familiare a noi contemporanei così impegnati nel valzer quotidiano di selfie e filtri fotografici da sovrapporre alla realtà. La sessualizzazione del corpo cyborg non è funzionale al plot e sembra seguire le stesse sorti del world wide web come parabola politica, facendo smosciare quella promessa di cambiamento fatta dalla rete delle reti così come appariva ai primordi.
Il cuore punk della fantascienza sembra non battere più per il cambiamento sociale e preferire la colonizzazione di nuovi territori in un altrove sintetico.
- Autori vari, Cyberpunk Red – Manuale Base, Need Games, Milano, 2021.
- William Gibson, Bruce Sterling, Neal Stephenson, Cyberpunk. Antologia assoluta, Mondadori, Milano, 2020.
- Massimo Maietti, Semiotica dei videogiochi, Unicopli, Milano, 2017.
- Paul Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
- CD Projekt RED, Cyberpunk 2077, 2020 (videogame).
- Mamoru Oshii, Ghost in the Shell, Eagle, 2021 (home video).