Cranioclast, un anagramma
dai toni oscuri e inquietanti

Cranioclast
Kolik San Art
Soltan Karik e Sankt Klario

(vari strumenti) +
Chi Moja (percussioni),
The Satanic Organist Hans Magnus
(“bombart”, liuto, organo),
Ave Maria (flauto, voce),
Ace Bee Coolberg (chitarra),
Kerstin & Fabian (voci)
Silentes 13, 2024

Cranioclast
A Con Cristal / Rats Can Coil –
Cats Can Roil /
Accidental Encounter
Of Rats and Cats on A Turntable
Soltan Karik e Sankt Klario

(vari strumenti) +
Ave Maria (flauto),
Olivié (batteria)
Kerstin (voce).

 

Cranioclast
Kolik San Art
Soltan Karik e Sankt Klario

(vari strumenti) +
Chi Moja (percussioni),
The Satanic Organist Hans Magnus
(“bombart”, liuto, organo),
Ave Maria (flauto, voce),
Ace Bee Coolberg (chitarra),
Kerstin & Fabian (voci)
Silentes 13, 2024

Cranioclast
A Con Cristal / Rats Can Coil –
Cats Can Roil /
Accidental Encounter
Of Rats and Cats on A Turntable
Soltan Karik e Sankt Klario

(vari strumenti) +
Ave Maria (flauto),
Olivié (batteria)
Kerstin (voce).

 


*Terra di metallurgia, di ferro e carbone, la regione della Ruhr vide nel 1982 la nascita, in quel di Hagen, di un singolare progetto sonoro chiamato Cranioclast. Venne ideato da due fantomatici personaggi, tali Sankt Klario e Soltan Karik, evidenti anagrammi di Kranioklast, la denominazione originaria che si diedero prima di mutare le K in C. In casi del genere si pensa subito ai Residents, al mistero intorno alle reali identità dei musicisti (e/o performer) coinvolti e in effetti anche al (presunto) duo tedesco piace assai dilettarsi nel giocare a nascondino. Affinità rinsaldata dalle atmosfere tenebrose e inquietanti che caratterizzano le musiche delle due formazioni. Ma le rassomiglianze finiscono qui, perché se i Residents hanno sempre fatto uso a modo loro della forma canzone, i Cranioclast invece se ne sono presto disfatti dopo averla bistrattata non poco; inoltre, nelle storie dei primi c’è spazio per lo sberleffo e lo humour seppur nero, mentre tutto ciò è assente nei tedeschi, non liberi da certa seriosità tipicamente teutonica. Resta da dire, infine, che dopo decenni Hardy Fox e Homer Flynn buttarono giù la celeberrima maschera del bulbo oculare svelando (forse) il mistero Residents, mentre la formazione tedesca non ha mai confessato le reali identità di nessuno dei suoi membri. In quarant’anni la misteriosa formazione ha prodotto soltanto sei album e cinque singoli, un paio di cassette e qualche dodici pollici. Catalogo misurato, ma si deve tener conto che per oltre vent’anni, dalla fine del XX secolo al 2018 sulla loro attività è calato un totale silenzio, interrotto da una manciata di novità discografiche, in parte però registrazioni d’archivio risalenti agli anni Novanta.

Ristampe made in Italy
Tutto fuori catalogo, discografia storica e uscite recenti, se non fosse che un’etichetta italiana, la 13 una costola della Silentes di Vittorio Veneto, ha proditoriamente rimesso a lucido il secondo ellepì originariamente pubblicato nel 1986, Kolik San Art, e un secondo cd composto da un trittico che idealmente attraversa l’intera vicenda Cranioclast: A Con Cristal, un Ep uscito nel 1987, Rats Can Coil – Cats Can Roil, altro mini ellepì datato 1990, e Accidental Encounter Of Rats And Cats On A Turntable, inedito a sua volta strutturato in tre porzioni. Un recupero prezioso, che si fregia di un’ottima rimasterizzazione (di Andrea Marutti), seppure non accompagnato dal restauro degli splendidi packaging perfettamente in osmosi con il suono Cranioclast, confezioni che rendevano davvero unici gli album originali. In questo il duo era in sintonia con altre formazioni operanti entro il medesimo orizzonte sperimentale, basti pensare ai britannici Zoviet France, autori di veri oggetti d’arte concepiti per ospitare i propri vinili.
In ogni caso, riesaminare l’intera produzione del duo, enigmatica, di difficile decifrazione e infarcita di citazioni letterarie, chiarisce meglio che in altri casi estetiche e narrazioni della cosiddetta industrial culture tra apogeo e declino negli ultimi due decenni del XX secolo. Una zona grigia venata di nero sede di esperienze musicali eterogenee, dal rumorismo al collagismo sonoro, da musiche ambientali tetre ad altre rituali, confluite in parte in quella pseudo corrente denominata isolazionismo. Un insieme dai confini labili, con scivolamenti nell’uno o nell’altro campo.

L’inizio del gioco tra rumori e citazioni
Cranioclast esordì con un quarantacinque giri intitolato Romantisch & Zärtlich / Neurotisch & Exzessiv, quattro brani di grezza elettronica, ritmi nevrotici farciti con testi presi a prestito da Franz Kafka e Georg Büchner. Il citazionismo letterario resterà una costante nella loro produzione. All’epoca, si è detto, la firma riportava due K invece di due C e sarà così anche per le successive uscite fino al 1986, quando con l’ellepì Kolik-San-Art si passerà invece a utilizzare le due C nella firma. Non cambierà invece il gioco di anagrammare ripetutamente Kranioklast, utilizzandolo nei titoli degli album e talvolta dei brani. Gli stessi nomi dei due componenti sono anagrammi. Ma che cos’è un cranioclast?

“Secondo il Dizionario Clinico Pschyrembel, il cranioclast è un paio di pinze atte a comprimere la testa del neonato per rendere possibile il parto. Il nome possiede anche qualità onomatopeiche, se lo pronunci a voce alta puoi quasi sentire lo stridere e scricchiolare dello strumento in azione. Al di là di questo, ci piace il valore metaforico di dover schiacciare qualcosa perché la piccola macchina del piacere possa produrre il suo frutto”.

Così dichiararono a Rumore Sankt Klario e Soltan Karik (cfr. Dal Soler, Marchisio, 1996). L’intervista risale al 1995, in pratica quando il sipario si stava già chiudendo sulle attività del duo. Dieci anni prima avevano dato alla luce il primo ellepì e il primo anagramma: Koitlaransk, disco oscuro, monolitico, composto da un flusso di suoni di origine incerta (le fonti irriconoscibili sono una costante nella loro produzione), da percussioni forse metalliche, basse frequenze, un brusio indistinto di voci, frammenti di parlato. Venne pubblicato originariamente dall’etichetta Principe Logique assieme a una cassetta promozionale, Ration-Skalk. Il tutto ristampato nel 1997 in un unico cd da Musica Maxima Magnetica (MMM) e l’edizione includeva la versione remix della cassetta ripubblicata nel 1989. Prende subito forma quel sound che Vittore Baroni riassumerà così sulle pagine di Rockerilla (ottobre 1989): “Musica per parchi suburbani, per tunnel sotterranei, oppure, come in un racconto di Ballard (The Sound Sweep) musica che assorbe la realtà, coagulandosi in un’altra dimensione”. Il rimando a James Ballard non è casuale, perché nelle note di Koitlaransk le citazioni di testi dello scrittore inglese incluse nel booklet si sprecano. Il racconto citato, noto in italiano con il titolo Lo spazzasuoni, risale al 1960 ed è in fondo una storia di discariche sonore. A ben vedere, al di là delle esplicite citazioni, un racconto intitolato Cranioclast certo non avrebbe sfigurato nella raccolta ballardiana più radicale: The Atrocity Exhibition. La copertina a sua volta è paradigmatica: rovine industriali, luoghi di desolazione e abbandono. Va ricordato che l’intera zona grigia, terra natale dell’intera industrial culture e dunque anche dei Cranioclast, è sempre stata segnata in qualche modo dalle visioni ballardiane (e da quelle di William Burroughs).

Nel 1986 è il turno del summenzionato Kolik San Art e per realizzarlo si mettono in proprio dando vita all’etichetta discografica CoC. L’atmosfera si fa ancora più claustrofobica e nello straordinario lavoro grafico della confezione dominano nuovamente paesaggi desolati di rovine architettoniche. In copertina due ragazzi abbracciati in ciò che resta di un edificio. Nel booklet ci si dilunga in considerazioni su Gilles De Rais con rimando alle riflessioni di Gustave Flaubert, a De Sade (per la precisione a La filosofia nel boudoir e Justine), e a Gershom Scholem relativamente ai suoi studi sulla cabala. Memorabile la seconda facciata con percussioni marziali, arpeggi di chitarra (tra le poche fonti strumentali certe), risate di bambini via via sgranate, riverberate, trattate con echi, disturbi elettroacustici, onde di suono nero. Esemplare in tal senso Les voix emurants parlent dans les debris de tiffauges, forse una danza periferica nella cerimonia sacrificale posta in conclusione a The Wicker Man (diretto da Robin Hardy nel 1973) film di culto intimamente legato a tutta la cultura dell’oscurità. È la via Cranioclast alla forma canzone, della quale dopo il trattamento resterà ben poco, macerie come quelle che illustrano l’album, tant’è che sarà abbandonata dal gruppo. Scendono in campo singolari collaboratori altrettanto misteriosi come The Satanic Organist Hans Magnus e Ave Maria. In seguito Soltan Karik ricambierà il favore partecipando alla registrazione di Distance Balance Simmetry (1993), mini-album di musica marziale pubblicato nel 1993 a nome Ave Maria Avida, che resterà l’unico contributo della criptica sigla alla storia della musica.

Il tema delle macerie si riproporrà in grande stile nel successivo A Con Cristal (1987). È un mini ellepì, come si è detto, corredato da uno studio sui bunker risalenti al secondo conflitto mondiale. Ritmi tribali ossessivi, suoni aspri sul primo lato, cupi e meditabondi sul secondo lato, tutto sempre originato da attrezzi sonori inclassificabili. Breakthrough sul lato A (ora in cima alla scaletta del cd della 13) è una cerimonia dell’altrove, marziale e diabolica, avvolta in un pulviscolo sonoro emanato da qualche selva oscura. Il secondo brano, Beachcombers, appare degno commento musicale ai paesaggi desolati prediletti dai Cranioclast, luoghi di rovine dove l’inquietudine aleggia ovunque. Anche in questo caso, si affollano suggestioni e rimandi extra musicali, dai paesaggi che catturavano l’attenzione di Winfried G. Sebald (“si ha sempre l’impressione che gli uomini siano assenti, che ci siano soltanto le loro creazioni, al cui interno essi si nascondono” scriveva in Gli anelli di Saturno), alle successive riflessioni sull’eerie arrivate di Mark Fisher (“la sensazione di eerie si verifica quando c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci niente, o quando non c’è niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa” asserisce in The Weird and the eerie), fino alle cartoline dal futuro del fondamentale La Jetée, il cortometraggio girato da Chris Marker nel 1962 che mandava il tempo in cortocircuito all’ombra di un’apocalisse atomica. Paesaggi architettonici che scoprono vuoti nel presente, che indicano transitorietà, fragilità, assenze e la musica dei Cranioclast ne è lo spettro sonoro. Nel 1987 il duo dà alla luce Cris Con Tala, una cassetta per la milanese ADN contenente due lunghe e ancor più misteriose suite. Nell’occasione la citazione di turno concerne la Salomé di Oscar Wilde. L’anno successivo tocca a un altro masterpiece, Lost in Karak, che nel 1992 verrà ristampato dalla Flabbergast includendo anche un lato di Cris Con Tala (la composizione Somnii Paulus), più un brano inedito, Digital Side of The Moon, il loro personale contributo al nostro satellite che conta uno stuolo di omaggi.

Lost In Karak si compone di quattro parti, tutte rigorosamente della stessa lunghezza (undici minuti). Ogni titolo è un anagramma di “cranioclast”: Rail to Kansk, A Link at Orsk, Lo Rakka’s Tin e il brano eponimo, portando il gioco alle soglie della scrittura vincolata adottata dai membri di OuLiPo (Georges Perec, Raymond Queneau e così via), ovvero un altro (involontario?) rimando letterario. L’album si apre con un battito profondo, si direbbe una pulsazione cardiaca, che avvia un maestoso procedere, dove presto qualcosa come una voce maschile stratificata in bassa frequenza ci accompagna nell’oscurità. Nella terza parte uno strumento è chiaramente identificabile: un pianoforte dai suoni dissestati che emerge e si reimmerge in una selva di voci, battiti d’ali, gracidii, suoni acquatici, uno sciame di frammenti audio, segnali dallo spazio profondo, il nulla. L’album è anche l’ultimo pubblicato dalla CoC, che aveva ospitato anche i progetti collaterali Core, Kallabris, e altre formazioni di analogo sentimento rumoristico/industriale come gli A.B.G.S.

Partecipazioni estemporanee
Sono anche anni in cui spargono in giro singoli brani su varie compilation fabbricate da etichette come Subterranean, Cold Spring, Broken Flag e altre altrettanto marginali. Spiccano nel mazzo HigH Dynamic NO! FUNction, il marziale contributo a Mouvements – Compilation Européenne (1990) per l’etichetta La Légénde Des Voix e il paio di presenze su compilation della RRR, due viaggi nel buio interstellare intitolati rispettivamente Play It Again, Erich! (da Journey Into The Pain, 1991) e While Walking Down the Street (da Testament, 1991). All’alba dei Novanta viene pubblicato Rats Can Coil/Cats Can Roil, l’altro maxi singolo a 45 giri ora ristampato. Dischetto dai suoni ispidi e dalla confezione originale triangolare. Ruvidissimo, sporco, il suono di Rats Can Coil, dal ritmo incessante, rivede a tratti emergere voci umane. Si respira aria di maleficio a causa di un’atmosfera quantomeno claustrofobica, ancora una volta siamo sulla soglia di un’altra dimensione. Sensazione elevata a potenza in Cats Can Roil, abissale precipizio dal quel emergono richiami sonori di natura indecifrabile rifrangendosi ovunque. Anche qui scorrono a un tratto strani messaggi vocali. Nel 1993 l’ultima maestosa uscita: Iconoclastar I-XII. Esce su due compact disc separati, il primo con le parti I-VI pubblicato dalla tedesca DOM, l’altro prodotto dalla MMM. È il riepilogo di tutto il loro percorso. Il seguito è poca cosa, due quarantacinque giri: Can I Talk or S per il quale restaurano l’antica dicitura Kranioklast, e (The) L.K.A. Sonar Kit. Scampoli di suono intercettato nell’etere, alterato, disturbato, codifiche di uno stile maturo. La storia dei Cranioclast si interrompe qui per molti anni.

Occorrerà attendere il 2003 per vedere una nuova uscita discografica grazie alla Aufabwegen, Carl’s On Acit, ma le registrazioni risalgono al 1990. Un mini-ellepì con un brano per lato, che disinteressandosi degli anagrammi si propone come ricette per cocktail salutistici, forse per l’uomo che fa jogging ritratto in copertina, nella quale si nota sullo sfondo un tipico paesaggio di zona industriale abbandonata, segno forse, che i Cranioclast si aggirano sempre da quelle parti. In ogni caso, se questo può parere strano il resto lo è ancora di più, poiché il disco è il quarto documento di una collana, se tale può definirsi, intitolata travel document curata dal “ministero delle deviazioni” del regno di Elgaland-Vargaland, una micro-nazione fondata dai musicisti svedesi Leif Elggren e Carl Michael von Hausswolff, “il regno più grande e più popoloso della Terra, che incorpora tutti i confini tra le altre nazioni, il Territorio Digitale e altri stati di esistenza” come si sostiene sul sito del regno, operazione s/regolata, tant’è che il disco precede di due anni la proclamazione ufficiale della nascita del regno. Siamo nuovamente nell’orbita ballardiana. In Ballardismo applicato, infatti, Simon Sellars ricorda che negli ultimi quattro romanzi di Ballard (Cocaine Nights, Super-Cannes, Millennium People e Regno a venire) “prepotente irrompe il micronazionalismo” (Sellars, 2019). Cerchi alieni che si chiudono, insomma. Quanto alla musica, se il primo lato pigia sull’acceleratore e il ritmo cattura suoni da ogni dove con lampi di luce, il secondo si oscura nuovamente, si addensa e deflagra, inquietando per via di quella natura imprecisata del suono e delle sue fonti. Come accadde ai pioneristici Throbbing Gristle (The Mission Is Terminated, annunciarono ai loro fan) la missione dei Cranioclast è parsa per lungo tempo conclusa. In fondo, dissero in un’altra intervista (a Massimo Ricci per il numero 11/98 di Deep Listenings): “Siamo solo una missione in un universo da noi stessi creato. Tutto qui”.

Un ritorno al futuro
Invece nel 2018 tornano in attività dopo, almeno discograficamente, pubblicando un ellepì sempre per la Aufabwegen: Cract on Sail. Nuove registrazioni, ma potrebbero anche risalire a tempo addietro: il suono è quello dei loro anni migliori, appena più accessibile ai più. Torna a far capolino il gioco degli anagrammi, permane il mistero relativo a Sankt Klario e Soltan Karik (in quale dimensione sono stati, in quel quarto di secolo di silenzio terrestre?), mentre è spiazzante la copertina che mostra una regata. Una suite per lato, ancora una volta di durata pressoché identica, la presenza chiara e netta di chitarra e basso, la prima facciata ispirata a un sobrio tribalismo percussivo e sorretta da una elettronica minimalista vagamente techno (Coriolis Spectres / Congress of the Space Archeologists / The Arrival of The Space Frog sono i titoli), la seconda che alza i toni, accelera i battiti, si fa più ruvida, si coagula, pare spegnersi e riprende la marcia minacciosa fino alla danza finale (questi i titoli della sequenza: The Return of the Space Frog / By Ferry to the Event Horizon / Les Abeilles De Crac’h). Il vinile è grigio e così l’atmosfera nebbiosa che avvolge i suoni dell’album.

Sicuramente reperto d’archivio è invece l’uscita di fine 2023, Arctic Salon, lavoro concepito all’inizio degli anni Novanta, realizzato a inizio del nuovo millennio e pubblicato soltanto ora, anch’esso dalla Aufabwegen. Un doppio ellepì in busta trasparente per raccontare un viaggio verso i due Poli. Una volta di più il suono non pare di origine terrestre. Risuonano echi provenienti da un altrove a tratti adiacente al nostro mondo oppure posto a distanze siderali. Si evidenziano linee tematiche più pronunciate, trame minimali ostinate, prendono contorni più precisi alcuni strumenti, in primis il pianoforte, senza scalfirne la sostanza rocciosa e l’impalcatura a tratti maestosa da sempre segno caratteristici della musica targata Cranioclast.
Resta da dire della terza parte del compact disc che ospita A Con Cristal e Rats Can Coil – Cats Can Roil, ovvero Accidental Encounter Of Rats And Cats On A Turntable, mezzora di incontro/scontro tra i suoni di Rats Can Coil – Cats Can Roil, rimescolati e pestati assieme.
Si rifà vivo anche il gusto per la citazione letteraria alludendo, quasi parafrasando il celeberrimo “incontro fortuito sopra un tavolo d’anatomia fra una macchina per cucire e un ombrello” dal sesto dei Canti di Maldoror di Lautréamont. Un passo che venne ripreso esplicitamente dagli inglesi Nurse With Wound per intitolare il loro primo album nel 1979, Chance Meeting On A Dissecting Table Of A Sewing Machine And An Umbrella, collage di surrealismo e rumorismo agli albori dell’industrial culture.
Il trittico è aperto dal minaccioso The Meeting, che rimastica Cats Can Roll incupendolo, seguito da Rats Cafè, annegamento di Rats Can Coil in un mare di fuliggine. Infine, Canzone del gatto (proprio così, in italiano!), strati sovrapposti, deformati e riavvolti dei brani originali, trasformati in un bordone di suono notturno, sempre minaccioso. Non è un mondo sereno quello dei Cranioclast, se non ostile è quantomeno denso di insidie, come si addice allo sconosciuto. Anche per questo suona attuale.

Rielaborazione di un articolo pubblicato sul nero di gennaio 2022 di Musica Jazz.

Ascolti
  • Cranioclast, Koitlaransk, Principe Logique, 1985.
  • Cranioclast, Cris Con Tala, ADN, 1987.
  • Cranioclast, Lost In Karak, CoC, 1988.
  • Cranioclast, Iconclastar (Green), Musica Maxima Magnetica, 1992.
  • Cranioclast, Iconclastar (Blue), Dom America, 1993.
  • Cranioclast, Koitlaransk & Ration-Skalk, Musica Maxima Magnetica, 1994.
  • Cranioclast, (The) L.K.A. Sonar Kit, Drone Records, 2000.
  • Cranioclast, Carl’s On Acit, Auf Abwegen, 2003.
  • Cranioclast, Arctic Salon, Auf Abwegen, 2023.
  • Kranioklast, Romantisch & Zärtlich / Neurotisch & Exzessiv (no label), 1982.
  • Kranioklast, Can I Talk Or…, Sonaria, 1997.
Letture
  • James Ballard, Lo spazzasuoni, in Tutti i racconti vol. 1, Feltrinelli, Milano, 2015.
  • Vittore Baroni, Gli architetti del disastro, in Rockerilla, Edizioni Rockerilla, Cairo Montenotte, ottobre 1989.
  • Gino Dal Soler, Alberto Marchisio, Trance & Drones, Castelvecchi, Roma, 1996.
  • Mark Fisher, The weird and the eerie, minimum fax, Roma, 2018.
  • Lautréamont, I canti di Maldoror, Feltrinelli, Milano, 2021.
  • Massimo Ricci, Intervista ai Cranioclast, Deep Listenings, San Vito di Narni, novembre 1998.
  • Winfried G. Sebald, Gli anelli di Saturno, Adelphi, Milano, 2010.
  • Simon Sellars, Ballardismo applicato, Produzioni Nero, Roma, 2019.
Visioni
  • Robin Hardy, The Wicker Man, British Lion Films, UK, 1973.
  • Chris Marker, La Jetée, Argos Film, Francia, 1962.