Henry Spencer è un tipografo con una stramba pettinatura. Vive solo in un minuscolo e anonimo appartamento in una cupa palazzina in una cupa periferia industriale. Nonostante se ne vada in giro con delle penne in un taschino e un’irritante colonna di capelli sulla testa, Henry ha una fidanzata di nome Mary. Il matrimonio è sollecitato senza troppi giri di parole dalla madre di lei quando Mary rimane incinta. Nasce un bimbo mostruoso, una sorta di larva umanoide senza arti e con una faccia da agnello (feto prematuro o spermatozoo troppo cresciuto?) che piange continuamente. Esasperata dalla privazione del sonno, Mary abdica al suo ruolo di madre. Henry prova a portare avanti da solo il nucleo familiare prendendosi cura del piccolo che nel frattempo si ammala. Eraserhead, il primo lungometraggio di David Lynch, parte dunque da un plot banalissimo: una torbida piccola telenovela fatta di desideri inappagati, rifugi sotterranei e famiglie in putrefazione.
L’esordio dei multiversi misteriosofici e psicoanalitici di David Lynch è ora distribuito anche in alta definizione (il film è in blu-ray per la prima volta, oltre che in dvd) grazie a un’operazione di crowfounding di CG Entertainment e Minerva Pictures. L’edizione in blu ray – con il solo audio originale DTS HD 2.0 e Dolby Digital 2.0 con sottotitoli in italiano – include non pochi contenuti speciali. In primis, Storie, il documentario di David Lynch su Eraserhead, la serie animata di otto corti Dumbland e altri quattro cortometraggi introdotti da David Lynch: The Amputee, The Cowboy & The Frenchman, The Alphabet Lumiére, The Grandmother, Six Men Getting Sick, The Alphabet (solo gli ultimi tre nel dvd).
Un pianeta chiamato David Lynch
Torniamo a Eraserhead. Il modo di raccontare fa la differenza: Eraserhead si distingue a cominciare dal bianco e nero che da una parte serve a esaltare il grigiore dello sfondo industriale (referente di una condizione umana opprimente), dall’altra veste bene con una dimensione onirica. Le allucinazioni dei primi minuti anticlimax chiariscono sin da subito le priorità del regista, apparentemente insensibile alle istanze della spettacolarità cinematografica. Eraserhead comincia con lente, incomprensibili sequenze che stabiliscono una surreale connessione tra un planetoide e ciò che avviene sul nostro pianeta o meglio nella mente di Henry Spencer. Sul planetoide ci sono solo rocce e le inquadrature insistono sui dettagli di pori e scanalature. Lo abita un misterioso operaio dal volto deturpato che muove delle leve. Come se all’elemento minerale, là da sempre, indistruttibile e imperturbabile, venisse assegnato l’incarico di arbitrare la partita tra organico e inorganico, tra creature biologiche e dispositivi sociali e tecnologici. Con un movimento di macchina verso l’alto capiamo di aver esplorato uno spazio interiore e il nostro sguardo sembra finalmente emergere dalla pesantezza di un incubo per guadagnare l’esterno. Ma anche qui, nonostante la luce diurna, il protagonista vaga in una realtà per niente allettante.
Soap-opera e famiglie in disfacimento
Tra ferraglia rugginosa e cumuli di detriti, gli appartamenti di Eraserhead sono isole avvolte da misteriose nebbie e da invadenti suoni di tubature e liquidi che fluiscono o evaporano. In questo disagio vengono diluite non solo le certezze positiviste della modernità ma anche i fondamenti della socializzazione pre-moderna, in particolare il concetto tradizionale di famiglia. Eraserhead è come un episodio (molto, molto particolare) di Ai confini della realtà che ci mostra quanto sia effimero il desiderio di trovare pace e appagamento nel dispositivo della famiglia inteso come gettone per aderire alla norma sociale.
Nelle mani di David Lynch la delicatezza di quella materia chiamata socializzazione primaria (l’imprinting, i primi contatti tra l’individuo e il mondo esterno) viene brutalmente condizionata dall’egoismo. L’umanoide figlio di Henry, oltre ad appartenere alla categoria freaks e a essere cagionevole di salute, finisce col perdere la vita perché ridacchia del padre, della sua solitudine derivante da desideri programmaticamente irrealizzabili. In fondo il mostruoso spermatozoo vivente è un ideale simbolo della fragilità della famiglia lynchiana. Ma in Eraserhead tutti i rapporti umani sembrano insostenibili. Prima di raggiungere Mary (per la cena in cui lui sarà costretto a sposare la ragazza), Henry deve frugare in un cassetto alla ricerca di una vecchia foto strappata di lei, come se avesse bisogno di qualcosa per ricordare, una rappresentazione grafica per farsi coraggio e affrontare quel legame umano.
Cena a casa di Mary. Interno, notte. I genitori di lei e la nonna sembrano meccanismi viventi ormai logori: cigolano, si muovono fuori sincrono, agiscono come automi senza emozioni o aspettative. Misteriosi rumori, intercalati da silenzi assoluti e imbarazzati. La cosa più distensiva della cena è il pollo nel piatto che prende vita dimenandosi e sanguinando. Quando la madre di lei (che tra l’altro si presenta con un occhio pesto) mette alle strette Henry per il matrimonio lo stesso Henry comincia a sanguinare. Con Eraserhead Lynch si presenta al grande pubblico aggredendo non solo le facciate sociali ma anche i codici di genere partendo dalla semplicità routiniera della soap-opera. Non a caso la madre di Mary è interpretata da Jeanne Bates, veterana attrice di soap opera.
In sottofondo liquidi in ebollizione: molecole che passano improvvisamente dalla stasi al movimento denunciando un insospettabile status vitale. Routine sentimentali, desideri sessuali e vortici emotivi spiraliformi sono circuiti che rimandano all’avvitamento su sé stessi dei protagonisti, a moti passionali distruttivi che il perbenismo e il non-detto possono comprimere fino all’esplosione travolgendo l’intorno più prossimo: la famiglia appunto.
Quello della famiglia che esplode è un tema che Lynch ha saputo sviluppare pur senza mai realizzare saghe esplicitamente familiari. Segue una strada completamente diversa rispetto a Il padrino di Francis Ford Coppola, eppure riesce a comunicare un analogo senso di disfacimento antropologico della struttura-famiglia.
Insomma alla fine degli anni Settanta Lynch è riuscito solo a crearsi una importante nicchia di attenzione con la sua particolare interpretazione del linguaggio cinematografico. Ma all’inizio degli anni Novanta, con I segreti Twin Peaks, quell’attenzione diventa un vero e proprio fenomeno di massa che stravolge il linguaggio delle serie tv generando nuovi standard che perdurano ancora oggi. Con Twin Peaks David Lynch arriva a imporre a un pubblico mainstream quelle complesse sfumature morali che daranno forma alle famiglie televisive postmoderne degli anni Duemila come I Soprano o Breaking Bad.
Eraserhead come prequel di Twin Peaks
Il mostriciattolo che soffre è l’alba delle allegorie horror e melodrammatiche che vedremo negli interni domestici di Twin Peaks. Al centro vi è sempre l’uccisione di un figlio: il piccolo-grande spermatozoo di Henry Spencer e la giovane Laura Palmer. In effetti l’infanticidio finale di Eraserhead sembra una prefazione alla popolare serie televisiva ideata da David Lynch e Marc Foster, le cui prime due stagioni ruotano attorno al caso Palmer. Il serial ha avuto un prezioso epilogo nel 2017 con una terza stagione. I canoni soap che traslano da Eraserhead alle tre stagioni di Twin Peaks sono soprattutto le tresche amorose e la preminenza accordata al fattore economico nel definire i ruoli sociali.
A questi si aggiunge la claustrofobia dell’ambientazione geografica e morale che ricorda la comunità di Peyton Place, in particolare I peccatori di Peyton Place, l’adattamento cinematografico 1957 del romanzo di Grace Metalious, un caso che sconvolse l’America (cfr. Chiara, 2015). Sin dalla sua prima opera David Lynch dichiara che non sarà certo l’adesione al costrutto sociale della famiglia (vedi lo squallido ménage dei genitori di Mary, praticamente degli automi, o i pericolosi demoni che albergano nei genitori di Laura Palmer), né l’edonismo o il percorso sciamanico a colmare i vuoti congeniti dell’umano.
Nelle stanze grigie e in penombra di Eraserhead c’è l’intuizione della via onirica non per raggiungere una verità ma piuttosto per orientarsi tra le proiezioni di costrutti emotivi complessi. La famiglia o la fuga dalla famiglia in primis.
La cantante nel termosifone, la ragazza dei sogni di Henry, mostra all’uomo una via d’uscita schiacciando creaturine simili a spermatozoi. Al suo primo lungometraggio Lynch delinea dunque inconfondibili temi visivi polisemantici come quello del cordone-ombelicale-spina-dorsale allegato a una testa tonda. Allegoria spermatica che tornerà ella terza stagione di Twin Peaks dove queste figure filamentose che si staccano dai corpi saranno addirittura la rappresentazione dell’origine e della trasmissione del male.
Certo nelle stanze di Eraserhead manca la complessità allegorica che i numerosi ambienti di Twin Peaks faranno esplodere in molteplici direzioni, introducendo nella visione lynchiana gli amici, la detection speculativa, il bosco, il contatto sciamanico con la Natura, le energie cosmiche che possono essere solo sfiorate dagli umani.
A ben vedere anche gli interni di Eraserhead sono pieni di erba, terriccio e cespugli che rimandano al sogno impossibile di una Natura addomesticata. Un ambiente fortemente connotato dall’impatto antropico che prova a reagire insinuando elementi organici dove può. Quel cumulo di terriccio che ospita dei ramoscelli spogli sul comodino di Henry è forse un prototipo di quello che sarà il ceppo per la Signora Ceppo in Twin Peaks.
I pochi semplici interni di Eraserhead sono le prime stanze del subconscio secondo David Lynch, anticipo di future esplorazioni ben più ampie. In effetti le prime inquietanti sequenze del film, oltre ad annunciare gli intenti surrealisti, sono anche un assaggio di quegli ambienti immaginari (come per esempio la lounge rossa) che costituiranno il vero marchio di fabbrica visivo di Twin Peaks. Lo stesso dicasi per il teatrino contenuto nel termosifone di Henry che ritroveremo spesso negli intermezzi onirici di Twin Peaks. Eraserhead è un condensato, una sorta di bozza ad alta intensità teorica del rapporto tra il dentro e il fuori, tra il sotto e il sopra che Lynch svilupperà più pienamente altrove.
Gli spazi del reale e dell’immaginazione non sono mai realmente separati in Lynch. Altro marchio di fabbrica del regista è l’originalissimo découpage sonoro che compare proprio in Eraserhead. I suoni hanno “una funzione precisa, quella di spingerci avanti nel film” (Chion, 2000) e di legare gli spazi visibili con quelli non visibili della psiche e dei sogni-premonizioni. Più volte nella sua filmografia Lynch scaglierà contro le orecchie dello spettatore tutta la potenza evocativa e perturbante di questi suoni che si muovono con estrema libertà rispetto alla fonte, per esempio in Muholland Drive. La capacità lynchiana di mettere in comunicazione universi paralleli e habitat audiovisivi contigui è particolarmente attuale visto l’odierno pullulare di narrazioni basate sui multi-versi.
L’Altro mostruoso è irriducibile e ineluttabile
In Eraserhead non ci sono invasioni aliene o interdimensionali eppure ci sono inconfondibili elementi fantastici e horror, in particolare il perturbante freudiano (cfr. Freud, 2002). Da notare che Lynch si afferma come regista con due primi lungometraggi che ruotano attorno alla figura dell’outsider, del genoma mutante, del deforme per natura.
Dopo Eraserhead, arriva The Elephant Man che vale numerose candidature al Premio Oscar. Per Leslie Fiedler, che pure aveva indagato il fenomeno dei freaks e degli outsiders correlandolo alle radici della cultura letteraria americana (cfr. Fiedler, 2018), ciascun individuo definibile (o che si autodefinisce) come normale porta con sé un “Altro irriducibile”, simbolicamente mostruoso: una “persona affetta da malformazione congenita, un essere umano nato troppo grande o troppo piccolo, con troppi arti o troppo pochi, con i capelli da un’altra parte o gli organi sessuali indefiniti” (Fiedler, 1998).
Nel corso di Eraserhead, il regista sovrappone con varie metodologie l’immagine di Henry con quella del figlio mostruoso: doppie esposizioni, dissolvenze e, infine, la testa del mostriciattolo posta sul corpo decapitato di Henry. Nel sogno in cui la donna, sorta di mostruosa Marilyn, nel termosifone canta In Heaven Everything is Fine Henry perde letteralmente la testa che finisce col diventare materia prima per una fabbrica di matite con gomma da cancellare. Molto conveniente avere una mente che scrive e che poi può cancellare a piacere, anche dopo un infanticidio o dopo un incesto-femminicidio (Laura Palmer). Robin Wood sottolinea che il vero oggetto del genere horror è il tentativo di far emergere tutto ciò che la nostra civiltà reprime e qualsiasi lieto fine (come quando ci si risveglia alla fine di un incubo) non sarebbe altro che il ripristino della repressione (cfr. Wood, 2018).
In Eraserhead, a essere perturbante non è tanto il piccolo mutante, quanto le fantasie di Henry ovvero il rappresentante dell’umano medio. Quando l’uomo pugnala con una forbice suo figlio dichiara la sua natura mostruosa e il corto circuito emotivo è tale da far scoppiare tutta l’elettricità dell’appartamento. Saette che sottolineano l’apice del rigetto antifamilistico e dello scontro padre/figlio che si risolve in un infanticidio/parricidio. In un certo senso anche il padre muore perché dopo l’uccisione del bambino una visione mostra il planetoide posto al centro della coscienza di Henry che si sgretola. Tutto viene divorato dall’oscurità e il racconto si chiude con la donna del termosifone che ancora una volta canta In Heaven Everything is Fine. Evidentemente l’ultima stanza del film si trova nell’aldilà.
Anche qui veloci anticipazioni di dispositivi molto presenti nella terza stagione di Twin Peaks. L’onnipresente elettricità e la testa del piccolo sul corpo del padre che ricorda i globi dorati come quello che sostituisce la testa di Dougie Jones (eccentrico personaggio che, come Henry Spencer, se ne va in giro fuori moda e con un taglio di capelli improponibile).
Il grottesco collocamento della testolina del figlio sul corpo del padre rappresenta bene un tratto distintivo del cinema di Lynch che riesce ad alternare magistralmente il grande e il piccolo molestando il senso delle proporzioni anche geometriche dello spettatore.
La testa che scrive e cancella rappresenta bene uno scambio intergenerazionale e la ciclicità antropologica del conflitto padre/figlio. La psicanalista francese Julia Kristeva indica nell’“abiezione” l’elemento centrale del mostruoso: ciò che non “rispetta i limiti” e in particolare ciò che “turba un’identità, un sistema, un ordine” (Kristeva, 2006). La studiosa sottolinea dunque come orrorifico il continuo attraversamento dei confini tra il sé e l’altro, tra l’interno e l’esterno, ivi compresa la sessualità. Questa teoria completa lo sguardo di Freud sul perturbante offrendoci un’ulteriore chiave di lettura del volo lynchiano che vede sempre sfumata la separazione tra gli spazi dell’immaginazione, del sogno, dell’interiorità (le possessioni in Twin Peaks), dei corpi e del mondo reale.
Ma il dualismo grande/piccolo in Lynch è una metodologia più ampia che si snoda attraverso campi strettissimi di dettagli horror seguiti da placidi campi lunghi che mostrano la calma e l’immobilità di ambienti chiusi e apparentemente controllabili. I lenti totali di Lynch celano sempre angoli poco illuminati e nicchie da approfondire. Lo stesso Lynch indica in quegli angoli oscuri la presenza di qualcosa di tremendamente poetico e vero.
“I like things that go into hidden, mysterious places, places I want to explore that are very disturbing. In that disturbing thing, there is sometimes tremendous poetry and truth” (Sheen, Davison, 2004).
Solo una cosa è certa nelle visioni di Lynch: gli spazi sotterranei dell’inconscio sono sempre calmi e lenti. In essi vengono placidamente determinati gli spostamenti che agiteranno la superficie cosciente, spesso rimescolata da esplosioni di violenza brutale. In storie di personaggi passivi, kafkiani, fragili prede di sabbie mobili fatte di emozioni e ansie, David Lynch ama far sbocciare la passionalità improvvisa.
Una boccata d’aria surrealista
Il cinema di Lynch non è categorizzabile e, nella maggior parte dei casi, nemmeno interpretabile. Forse è surrealista (una categoria così comoda), ma solo per alcuni aspetti visivi superficiali. In fondo la priorità del regista non è né spettacolarizzare, né ribaltare le convenzioni linguistiche: lo sguardo dello spettatore viene condotto attraverso un reale/sogno troppo complesso e stratificato. L’importante è garantire improvvisi strattoni finalizzati al far perdere referenti, a problematizzare l’identità (cfr. Biotti, 2006). In questo senso sono fondamentali gli intermezzi onirici che visualizzano costrutti subcoscienti, ambientazioni sotterranee (o iper-uraniche) dove figure immaginarie tirano leve che fanno collassare le nostre pretese di linearità e di controllo in superficie.
Personaggi come l’operaio sfregiato all’inizio di Eraserhead o il nano e il gigante di Twin Peaks sono “personificazione di concetti” (Lynch, Rodley, 1998), “figure profonde dominate dalle condensazioni e dagli spostamenti anomali e intensivi della pulsione e del desiderio” (Bertetto, 2008). La Signora Ceppo in particolare, rappresenta la riattivazione dell’animismo seppellito dalla coscienza del soggetto moderno (cfr. Manzocco, 2010).
Probabilmente il successo di Lynch si spiega in larga misura con il bisogno umano di perdersi, di spezzare la monotonia delle catene di senso quanto più si vive in contesti fortemente codificati. Oggi anche per via delle comunicazioni digitali, pesantemente basate su numeri e logiche binarie: dispositivi probabilmente meno affascinanti di ventilatori rumorosi o lampadine sul punto di esplodere.
- David Lynch & Alan R. Splet, Eraserhead Original Soundtrack Recording, Sacred Bones, 2017.
- Paolo Bertetto (a cura di), David Lynch, Marsilio, Venezia, 2008.
- Gabriele Biotti, Pensieri del cinema. A partire da Samuel Beckett, Alain Tanner e David Lynch, Mimesis, Milano, 2006.
- Mirta Chiara, I peccati di Peyton Place, il caso letterario che sconvolse l’America, Medium Italia, 18 maggio 2015.
- Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino, 2000.
- Leslie Fiedler, Freaks. Miti e immagini dell’Io segreto, Il Saggiatore, Milano, 2018.
- Leslie Fiedler, La tirannia del normale. Bioetica, teologia e mito, Donzelli, 1998.
- Sigmund Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
- Julia Kristeva, Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, Spirali, Milano, 2006.
- David Lynch, Chris Rodley (a cura di), Lynch secondo Lynch, Baldini & Castoldi, Milano, 1998.
- Roberto Manzocco, Twin Peaks. David Lynch e la filosofia. La loggia nera, la garmonbozia e altri enigmi metafisici, Mimesis, Milano, 2010.
- Erica Sheen (a cura di), Annette Davison (a cura di), The Cinema of David Lynch: American Dreams, Nightmare Visions, Wallflower Press, New York City, 2004.
- Robin Wood, Robin Wood on the Horror Film: Collected Essays and Reviews, Wayne State University Press, Detroit, USA, 2018.
- David Chase, I Soprano – La Serie Completa, Warner Bros, 2016 (home video).
- Francis Ford Coppola, Il padrino – Trilogia, Universal, 2014 (home video).
- Vince Gilligan, Breaking Bad collection, Universal, 2016 (home video).
- David Lynch, The Elephant Man, Eagle, 2017 (home video).
- David Lynch, Mulholland Drive, Universal, 2010 (home video).
- David Lynch, Marc Foster, I segreti di Twin Peaks, Paramount Home Entertainment, 2002 (home video).
- Mark Robson, I peccatori di Peyton Place, Koch Media, 2012 (home video).
- Rod Serling, Ai confini della realtà, Koch Media, 2005 (home video).