La Divina Commedia di Dante Alighieri comincia da un’immagine e da un’esperienza che tutti noi possiamo facilmente raffigurarci, in ogni tempo:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita”.
Che cosa c’è di più frequente, metaforicamente parlando, del perdersi in una selva? Cioè, smarrirsi nell’esistenza, non ritrovar più l’orientamento, la direzione. Persino la fede. Cadere nel vizio, anche. Non riuscire a dare più un senso alla vita e alle cose. Non è poi nemmeno impossibile immaginare di perdersi in un bosco, se non proprio in una foresta. Ce lo ricorda Claudio Giunta proprio all’inizio di questo nuovo racconto e commento dell’Inferno. La Commedia raccontata da Claudio Giunta uscito da Feltrinelli:
“A quel tempo, perdersi in una selva era possibile. A quel tempo l’Europa – ha scritto una volta Jacques Le Goff – era un deserto con poche oasi: il deserto era fatto di alberi, e le oasi erano le città. Non dobbiamo però pensare alle città d’odierne, coi loro milioni di abitanti. La città più grande del continente, Parigi, all’inizio del Trecento aveva forse duecentomila abitanti. Firenze non arrivava a centomila, ed era una delle più popolose città italiane. Il mondo che si apriva al di fuori delle città era un mondo pericoloso, abitato da uomini ostili – briganti, avventurieri – e da animali feroci. […] L’idea della «selva oscura» oggi non ci fa paura. Ma un lettore del Trecento aveva una percezione molto chiara di quanto potesse essere spaventoso trovarsi da soli in una foresta, di notte, al buio: si poteva morire, si moriva. È con questa disposizione d’animo che dobbiamo leggere i primi tre versi dell’Inferno”.
Il primo canto dell’Inferno non assolve solo una funzione proemiale. È una mirabile sintesi di tutto il viaggio che Dante dovrà affrontare, in discesa continua verso il centro della terra, di cerchio in cerchio di bolgia in bolgia, nel “mondo basso”, nel “carcere cieco”, giù-giù-giù fino ad incontrare il gigantesco pipistrello dalle sei ali, re degli Inferi, Lucifero; per poi uscire dal buio a “riveder le stelle”, inerpicarsi su per le balze del Purgatorio arrivare al paradiso terrestre, incontrare di nuovo l’amata Beatrice trionfante su un carro simbolico trainato dal Grifone-Cristo e, con lei e da lei accompagnato, salire per i nove cieli, astronauta ante litteram in uno spazio cosmico che non è la galassia vuota, senza Dio, arida come quella contemporanea, ma un mondo spirituale pieno di luce, di vita eterna. Che volo meraviglioso! Fino a vedere Dio e quasi svenire perché non si hanno le parole per descriverlo! Ma torniamo a terra. Al primo canto. Dante e con lui i lettori si trova e ci proietta in una dimensione che è reale e onirico-fantastica nello stesso tempo: siamo in tutti i luoghi e in nessuno; potremmo anche essere fuori da una città (ci sono boschi o foreste fuori dalle cerchie metropolitane) o in un incubo. Scrive Giunta:
“Già, ma…qual è questo luogo? Dove siamo? In Toscana? In Italia? Abbiamo letto già parecchi versi e ancora non lo sappiamo. Se fosse un sogno, non ci porremmo la domanda: i sogni viaggiano nell’aria. Se fosse pura allegoria, nemmeno: le allegorie si fabbricano il loro stesso habitat immaginario, e a nessuno vien fatto di chiedere dove? Ma nella Commedia, come abbiamo cominciato a vedere, sogno e veglia, lettera e allegoria non si lasciano superare con un taglio netto: non siamo in un sogno, è vero, ma non siamo neppure in un luogo individuabile sulla mappa del mondo. Possiamo accontentarci per ora di questa spiegazione parziale: si tratta di un luogo che si presenta come reale, ma che è anche abbastanza fiabesco da poter ospitare, insieme, una lupa, una lonza e un leone”.
Lonza, leone e lupa. tre fiere abbastanza comuni se consideriamo la ricchezza e la varietà dell’immaginario medievale in materia di animali fantastici e che Dante stesso dispiegherà nella Commedia quando, soprattutto nell’Inferno, incontrerà una serie di creature mostruose, animali in toto o esseri antropomorfi, spesso ispirate alla mitologia greco-romana. Lonza, leone e lupa: tre animali che gli sbarrano la strada impedendogli di salire al dilettoso monte, che figura la sua, la nostra salvezza. Sì, perché a questo punto Dante è tutti noi. Quando salirà con Beatrice di cielo in cielo, non sarà più tutti noi, ma rappresenterà, in questo cammino iniziatico, i pochi e fortunati che si salveranno.
Perché uno dovrebbe leggere la Divina Commedia?
Domanda sempre valida, comunque, anche se viene da uno studioso come Giunta (cfr. Giunta 2015), che insegna letteratura moderna all’Università di Trento e ha curato fra l’altro una recente edizione delle Rime di Dante. Questa domanda, rivolta forse ai giovani e giovanissimi, ritorna nelle prime pagine del racconto-commento dell’Inferno:
“Perché mai dovreste leggere la Commedia, questo libro lungo, difficile, remoto da noi nella sua visione del mondo, e che ha anche il difetto di essere scritto in versi? Perché in fin dei conti – una volta messe da parte le illusioni, le distrazioni – la vita è una cosa seria, soprattutto perché si conclude con la morte. così, o prima o poi, forse a sedici anni, forse un po’ più avanti, vorrete riflettere anche voi seriamente sulla vostra vita e su questo suo increscioso dettaglio, la morte, e sulle tante profonde domande che esso porta con sé: Dio esiste? Cosa succede, dopo? Come si dovrebbe condurre la propria esistenza? Qual è la colpa più grave? Qual è la virtù più importante? Il male commesso verrà punito? I buoni verranno premiati? Rivedremo mai le persone che amavamo e che non ci sono più?”
Dante ha dato, si perdoni il calembour o meglio l’annominatio (che a Dante non dispiaceva: I, 36 “più volte volto”; XIII, 25 “cred’ïo che’ei credette ch’io credesse”; Par. V 139 “nel modo che’l seguente canto canta”), le sue risposte più di sette secoli fa “attraverso una visione di stupefacente originalità e bellezza, e attraverso parole che, specie se avete la fortuna di conoscere bene l’italiano, vi faranno spesso scuotere il capo per la meraviglia e per la commozione”, sottolinea Giunta. Ed è anche vero che la Divina Commedia cambia profondamente chi la legge: non ne cambia forse la vita, perché la vita rimane spesso una massa amorfa di eventi centrifugati dal caso e dal caos. Ma la Divina Commedia può cambiare in meglio la mente, offrendo ai lettori disponibili un’esperienza che pochissimi libri fanno vivere.
Frame dal video Perdu en Enfer (David Da Cruz).
Questo nuovo contributo si colloca in una posizione intermedia tra i classici e indispensabili commenti annotati (dall’insuperabile Scartazzini-Vandelli che qui usiamo per i testi della Commedia, a Natalino Sapegno, dal Bosco-Reggio alla Chiavacci-Leonardi per Mondadori fino al più recente di Roberto Mercuri per Einaudi) e le lecturae dantis tradizionali, vero genere nel genere, che vanta come archetipo le esegesi pubbliche di Giovanni Boccaccio, e ritornato in auge in plurime declinazioni da quelle specialistiche fino alle versioni alto-pop, concepite anche per i mezzi audiovisivi (radio e televisione) come le letture di Vittorio Sermonti, il racconto televisivo di Franco Nembrini, o quelle teatrali e poi televisive di Roberto Benigni. Questo racconto di Claudio Giunta non sostituisce i tradizionali commenti, ma può essere un incentivo alla (ri)scoperta di Dante e della Commedia:
“Godetevi il viaggio. La Commedia è una delle più belle invenzioni dell’umanità, e per entrarci dentro ci sono un mucchio di cose che non è necessario sapere o ricordare. Se Virgilio è o non è simbolo della ragione umana; se il personaggio di Marco Lombardo sta nella terza o quarta cornice del Purgatorio; quando esattamente è vissuto Cacciaguida, l’antenato che Dante incontra a un certo punto del suo volo attraverso i cieli del paradiso; se i sesti canti delle tre cantiche sono stati pensati da Dante come canti politici, e disposti in una specie di climax ascendente, da Firenze all’Italia all’Impero (lo si ripete nei commenti, soprattutto a scuola: a me non pare dimostrabile né probabile). Tutto questo non è importante”.
A queste parole di premessa che Giunta scrive nelle Brevissime istruzioni per l’uso di questo libro, uno studioso di Dante e forse anche più di un docente, aggrotterebbero le ciglia, come minimo. Sul fatto che la Divina Commedia sia anche uno straordinario viaggio, il più estremo compiuto da essere umano, ancora più avventuroso di qualunque missione spaziale e cosmica, non possiamo che essere d’accordo. Siamo, invece, del tutto in disaccordo con la tesi secondo la quale non sia necessario sapere, o ricordare, che Virgilio è, o può essere, anche un simbolo della ragione umana; e che Marco Lombardo venga da Dante incontrato nel terzo girone del Purgatorio, fra gli iracondi (e che per giunta tenga a Dante un discorso fondamentale sul libero arbitrio e la causa dei mali nel mondo); e che Cacciaguida si riveli nel quinto cielo, quello di Marte, e sia l’anima del trisavolo vissuto almeno duecento anni prima del bisnipote Dante; che questi, e altri, particolari storico-biografici nonché interpretativi (il senso letterale e quello simbolico-allegorico) non siano necessari per la conoscenza e il godimento del poema dantesco è affermazione piuttosto superficiale che ci riporta, fra l’altro, a quella vecchia distinzione crociana tra poesia e struttura così tipica, secondo il filosofo di Pescasseroli, di Dante e della Commedia in particolare. Non si può capire Dante partendo con il piede sbagliato (“sì che’l piè fermo sempre era il più basso”) dell’anti-nozionismo di maniera, perché tutta l’opera dell’Alighieri richiede una disponibilità mentale aperta al confronto e alla comprensione delle coordinate culturali e storiche del suo tempo. Siamo però d’accordo con Giunta sul fatto che la Commedia in particolare non è opera di freddo compilatore, ma di un grande artista e soprattutto di un poeta che è anche un grande narratore. E del narratore applica tecniche quasi cinematografiche ante litteram:
“Questa è una tecnica di rappresentazione che fa pensare ai film. Nel documentario The Story of Film c’è un’intervista nella quale Ken Loach, parlando della sua tecnica di ripresa, sembra descrivere precisamente la successione di gesti e voci che apre questa scena dell’Inferno: «Bisogna cambiare inquadratura non prima che una persona parli, bensì quando il tuo occhio andrebbe spontaneamente verso quella persona. Se sono in una stanza e tu stai parlando, prima ti sento e poi ti guardo: perché sono le tue parole a far sì che io guardi»”.
Giunta si riferisce a un celeberrimo passaggio dell’Inferno: siamo nel cerchio degli eretici (canto X) e al dialogo tra Dante e Virgilio si aggiunge all’improvviso un’altra voce che sembra erompere ai margini dell’inquadratura principale:
“O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio
alla qual forse fui troppo molesto.
Subitamente questo suono uscìo
d’una dell’arche: però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio”
(Inf. X 22-30).
Virgilio esorta Dante a voltarsi indicandogli per nome la persona che aveva appena parlato: è il ghibellino Farinata degli Uberti. “Incoraggiato da Virgilio, Dante si accosta al sepolcro di Farinata; comincia un dialogo nel quale i due uomini, che appartengono a fazioni politiche avverse (ghibellino Farinata, guelfo Dante) si rinfacciano le rispettive sconfitte e vantano le rispettive vittorie. Il colloquio è però interrotto dall’intervento di un altro personaggio del quale Dante non dice il nome, che vuole avere notizie di suo figlio. Il risultato di questo intreccio di voci è uno dei dialoghi più lunghi, articolati e belli dell’intero poema”. Il secondo personaggio di questo dialogo è Cavalcante de’ Cavalcanti, il padre di Guido Cavalcanti, amico di Dante e grande poeta. Cavalcanti padre chiede a Dante dov’è il suo figliolo Guido:
“Piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? Perché non è ei teco?».
E io a lui:«Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena,
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno»”
(Inf. X, 58-63).
“Dante risponde che il suo viaggio è guidato da Beatrice e ispirato da Dio; quindi, è un viaggio fatto per grazia divina, una grazia che il figlio Guido ebbe forse in dispregio (vale a dire che anche Guido era, come Farinata e come il padre, ateo)”, ricorda Giunta. È il famoso “disdegno” di Guido che ha generato i proverbiali e jalissiani fiumi di parole. C’è tutta una letteratura critico-filologica su questo disdegno, sulla quale Giunta taglia corto, attribuendo tale disprezzo di Guido Cavalcanti a Beatrice. Su una cosa, però, Giunta non può tagliare corto: una (sintetica) spiegazione di carattere storico senza la quale non si può capire il dialogo tra Dante e Farinata e quindi versi come “S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogni parte…l’una e l’altra fïata;/ma i vostri non appreser ben quell’arte”:
“Ora, i ghibellini avevano sconfitto ed esiliato i guelfi fiorentini due volte, appunto la prima nel 1248 e la seconda nel 1260, in seguito alla cruentissima battaglia di Montaperti, un villaggio a pochi chilometri a est di Siena; ma entrambe le volte i guelfi erano riusciti a rientrare in città e a riprendere il potere: prima in conseguenza della morte di Federico II (1250), che indebolì il partito ghibellino in Italia; poi in conseguenza delle sconfitte degli eredi di Federico II a Benevento (1266) e a Tagliacozzo (1268). Invece – dice Dante – i ghibellini non appresero l’arte del ritornare, cioè non poterono rientrare dall’esilio, o furono riaccolti in città solo rinunciando a ogni ruolo pubblico e amministrativo”.
Il racconto di Claudio Giunta non rinuncia, quindi, alle chiose storiche e interpretative, dimostrando che, per la piena comprensione della poesia di Dante, il nozionismo è indispensabile e non è mai fine a sé stesso. Come scrive anche Jorge Luis Borges nei Nove saggi danteschi, uno degli aspetti più sconcertanti e originali della Divina Commedia è che Dante credeva veramente nelle sue visioni a tal punto che anche noi lettori abbiamo la certezza di seguire il poeta in mondi reali, non fittizi. In altre parole, se si legge Viaggio al centro della terra di Jules Verne, si sa che ci si trova di fronte a un resoconto immaginario, per quanto realisticamente descritto. Con Dante, no, non si ha mai la sensazione di leggere una “fabula”, una “fictio poetica”, ma una vera visione. Ecco perché i lettori (probabilmente quasi tutti) sanno che l’aldilà dantesco è un mondo reale, vero, più vivo del quotidiano oltretomba terrestre. Come scrive Giovanni Papini, non si ha mai la sensazione di trovarsi in un cimitero, in un ossario, in una catacomba (cfr. Papini, 2016). L’oltretomba dantesco non è paradossalmente un luogo di morte. Gli spiriti che Dante, guidato da Virgilio, incontra e con cui parla, discute, a volte alterca, ci diventano familiari, ci sembrano appartenere a una dimensione più vera, autentica. Dante crea un nuovo mondo, non va semplicemente in un generico aldilà, percorre un’altra dimensione che prolunga la nostra vita, la storia, su un asse atemporale, eterno: fuori dal tempo fisico, ma sempre contemporaneo. Il viaggio di Dante è un’avventura fra gente più viva dei vivi.
- Giuseppe Antonelli, Dante di tutti, Einaudi, Torino, 2021.
- Jorge Luis Borges, Nove saggi danteschi, Adelphi, Milano, 2001.
- Dante Alighieri, Rime, edizione commentata a cura Claudio Giunta, Mondadori, Milano, 2014.
- Dante Alighieri, La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca italiana riveduto col commento scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli, Ulrico Hoepli, Milano,1932.
- Dante Alighieri, Commedia, Società Dantesca italiana, edizione nazionale, a cura di Giorgio Inglese, I-II-III, Le Lettere, Firenze, 2021.
- Dante Alighieri, Inferno, commento di Franco Nembrini, illustrata da Gabrielle dell’Otto, Mondadori, Milano, 2018.
- Dante Alighieri, Purgatorio, commento di Franco Nembrini, illustrata da Gabrielle dell’Otto, Mondadori, Milano, 2020.
- Claudio Giunta, Perché uno dovrebbe leggere Dante?, Internazionale, 15 marzo 2015.
- Franco Nembrini, Dante poeta del desiderio, Conversazioni sulla Divina Commedia (vol. I Inferno, vol.II Purgatorio, vol.III Paradiso), Itaca, Castel Bolognese (RA), 2013.
- Giovanni Papini, Dante vivo, La scuola di Pitagora, Napoli, 2016.
- Vittorio Sermonti, L’Inferno di Dante, Garzanti, Milano, 2021.
- Vittorio Sermonti, Il Purgatorio di Dante, Garzanti, Milano, 2021.
- Vittorio Sermonti, Il Paradiso di Dante, Garzanti, Milano, 2021.
- Alessandro Barbero, Alighieri Durante, detto Dante, Rai Storia, 2020-2021.
- Roberto Benigni, Tutto Dante, Flamingo Video, 2012 (home video).
- Vittorio Gassman, Gassman legge Dante, Garad, 2005 (home video).
- Claudio Giunta, Leggere Dante con Claudio Giunta, P2P#Riconnessioni, 13, aprile 2022.