Un esercizio di immaginazione sociologica è la proposta alla base di Memorie del futuro di Paolo Jedlowski. La domanda che lo stimola, e che l’autore rivolge al lettore nelle prime righe della premessa, è: “Cosa avviene quando ricordiamo il futuro che abbiamo immaginato in passato?”. L’immaginazione sociologica può essere intesa come quella qualità della mente capace di osservare quanto accade in una società, cogliendo in essa i rapporti tra la storia e le biografie e formulando così nuovi interrogativi che conducano a una comprensione rinnovata di quella stessa società (cfr. Mills, 1959). L’autore fa qualcosa di simile: osserva alcune tendenze che sembrano predominare nei discorsi quotidiani, pubblici e, talvolta, nel pensiero accademico; si pone degli interrogativi; propone un nuovo concetto.
Il contesto richiamato riguarda la cosiddetta “crisi del futuro”, generata dalla perdita di fiducia nel paradigma del Progresso e caratterizzata dalla diffusione di sentimenti di sfiducia, insicurezza, rassegnazione, frustrazione, diffusi specialmente tra le giovani generazioni. Ed è proprio dal confronto intergenerazionale che questo libro ha, almeno in parte, origine.
Osservando le aspettative che i giovani adulti hanno oggi rispetto al proprio futuro, non sempre in linea con le aspirazioni che nutrono, l’autore compie un atto di memoria particolare: si chiede quale atteggiamento verso il futuro lo animava in passato. È questo interrogativo che lo porta a fare memoria del futuro. Ecco il concetto proposto: le memorie del futuro, una lente di ingrandimento per osservare il contesto a cui si è fatto riferimento e comprenderlo in modo nuovo. Esse sono “i ricordi degli orizzonti di attesa del passato”. Fare memoria del futuro significa, dunque, ricordare, tanto sul piano individuale quanto su quello collettivo, cosa abbiamo immaginato in passato, a cosa abbiamo aspirato e attraverso quali modalità abbiamo agito affinché una certa idea di futuro trovasse compimento.
L’originalità di questa prospettiva va individuata nella congiunzione tra due aree di pensiero e di studio rimaste, al momento, sostanzialmente separate: gli studi sulla memoria e quelli sul futuro. Di entrambe le prospettive viene fornita una panoramica sintetica ed efficace nella parte iniziale del testo, un’operazione utile per fornire un quadro teorico nel quale collocare la nozione di memorie del futuro. Mentre l’attenzione per la memoria ha rappresentato una costante nel pensiero di Jedlowski, l’interesse per la dimensione temporale del futuro è più recente. Tale interesse viene messo efficacemente in dialogo con due dimensioni sulle quali il sociologo ha lavorato a lungo: memoria ed esperienza.
Riprendendo alcune riflessioni di Walter Benjamin, Jedlowski ha proposto una teoria dell’esperienza in cui il vissuto di ciascuno assume un ruolo centrale: l’esperienza consiste nella capacità di attribuire senso ai materiali della propria vita nei momenti successivi a cui le singole esperienze sono state vissute (cfr. Jedlowski, 2008). Per questo motivo l’esperienza richiede un atto di memoria. Quel particolare atto di memoria che consiste nel ricordare i futuri attesi in passato è forse ancora più legato all’esperienza di un atto di memoria generico, perché, quando ricordiamo i futuri attesi, sappiamo come le cose sono andate successivamente: ne abbiamo fatto esperienza.
Le fonti attraverso le quali l’autore guida il lettore nella varietà di percorsi che le memorie del futuro possono aprire danno ragione di un lungo percorso intellettuale radicato nella sociologia della vita quotidiana. Nel corso della lettura ci si imbatte in conversazioni ordinarie, osservazioni di interazioni quotidiane, riflessioni su atteggiamenti e modi di pensare e agire e, talvolta, riferimenti autobiografici. Ma altrettanto frequenti, e decisamente utili sul piano esemplificativo, sono i riferimenti a diversi prodotti culturali; incontriamo così una varietà di personaggi provenienti, per esempio, da romanzi e film e che mettono in scena la riflessione sociologica. Ne scaturisce un percorso che, come suggerisce il sottotitolo del libro, spazia in maniera agile dalla sociologia agli studi culturali, mostrando la fertile collaborazione che può aprirsi tra questi due campi del sapere.
Le potenzialità del concetto
Le memorie del futuro non riguardano qualcosa che è già accaduto, ma qualcosa che abbiamo immaginato (sperato? temuto?) che sarebbe accaduto. Tuttavia, il corso degli eventi raramente si adegua in maniera lineare alle nostre anticipazioni. In questa chiave, suggerisce l’autore, il passato può essere letto come “un non ancora” piuttosto che come un “non più”. La memoria del futuro, allora, può essere attivata in una molteplicità di situazioni differenti.
Le memorie dei futuri attesi, ad esempio, si possono manifestare nelle narrazioni autobiografiche attraverso il confronto con ciò che poi è accaduto. Ad accompagnare tali memorie emergono sentimenti come rimpianto, frustrazione, rimozione; ma anche speranza e fiducia, qualora ci si renda conto che nell’esperienza passata vi è qualcosa che può essere riattivato nel presente, specialmente in un momento di transizione biografica. Questa prospettiva è particolarmente interessante per chi conduce ricerche biografiche: anche ciò che sarebbe potuto accadere, ma non è accaduto, dà forma alle storie di vita e alle aspirazioni.
Un atteggiamento che può accompagnare le memorie del futuro è quello della nostalgia. Nella distinzione, ripresa da Svetlana Boym, tra nostalgia restauratrice e nostalgia riflessiva (cfr. Boym, 2002), si coglie molto bene in che termini fare memoria degli orizzonti d’attesa del passato possa essere rilevante nel presente. Mentre la prima forma di nostalgia è rivolta al passato ed è mossa dalla volontà di ripristinarlo, la seconda individua nel passato progetti inespressi e percorsi abbandonati che possono essere riattivati nell’oggi. In questo caso non si cerca di restaurare qualcosa che è già avvenuto ma, consapevoli del corso della Storia, si individuano in essa atteggiamenti e aspirazioni che hanno ancora qualcosa da dire. La speranza che la nostalgia riflessiva suscita è legata anche alla capacità critica che stimola: nel recuperare la tensione verso un futuro che non si è realizzato, ci si potrebbe chiedere i motivi per cui le cose sono andate in un certo modo, individuando così responsabilità personali e collettive.
In altri casi il confronto con i futuri desiderati in passato mostra come non tutto ciò a cui abbiamo aspirato è degno di essere riesumato, come suggeriscono “le memorie del Progresso”. Si pensi alle conseguenze ambientali o alle diseguaglianze sociali che quel modo di tendere al futuro ha prodotto. Al contrario, ritornando a quanto avvenuto in Italia con i movimenti del Sessantotto, si potrà riflettere sul fatto che, se certi modi di agire e interpretare la realtà sono stati in parte ingenui e, talvolta, controproducenti, si stava però lavorando bene sul piano delle aspirazioni: il futuro a cui si aspirava poteva essere costruito solo se vi avessero cooperato in molti. In un contesto in cui, specialmente nei discorsi dominanti dei paesi occidentali, le aspirazioni sembrano essere sempre più individuali e competitive, riattivare quel modo di tendere al futuro ha un’enorme potenzialità. Recuperare alcuni slanci utopici del passato può diventare allora non tanto un modo per realizzare un progetto utopico concreto (anche perché, sottolinea l’autore, non tutti condividono le stesse utopie…), quanto invece un punto di partenza per elaborare una visione critica del presente.
Una postura differente
Se Jedlowski aveva precedentemente proposto una riflessione sulla memoria autocritica, capace di spogliare certe pagine di storia dal tono autocelebrativo che le hanno accompagnate (si pensi al colonialismo) e da intendersi come “la memoria dei torti che abbiamo riservato ad altri” (Jedlowski, 2016), la memoria del futuro può esserne un complemento. Entrambe sono dotate di valore civile: la prima invita all’assunzione di responsabilità; la seconda, mettendo in campo la speranza, trova in certe aspirazioni e progetti del passato una certa carica orientata al futuro, necessaria affinché la memoria autocritica non si limiti ad un atteggiamento decostruttivo. Si apre così la possibilità di “pensare altrimenti” e di iniziare a interpretare il presente, e il futuro che ne deriverà, non come una realtà ineluttabile ma come qualcosa che può essere modificato.
Le memorie del futuro, per la grande varietà di situazioni in cui le si incontra, non vanno intese tanto come un tema specifico, quanto invece come un concetto, uno strumento analitico e interpretativo. Un testo come questo, infatti, offre allo studioso intuizioni e concetti che possono illuminare alcuni aspetti di ricerche e riflessioni teoriche, suggerendo spunti interpretativi o anche, semplicemente, un’angolatura nuova da cui osservare certi fenomeni sociali. Il valore aggiunto del testo va individuato anche nella chiarezza attraverso la quale un tema potenzialmente astratto, la memoria di ciò che in passato abbiamo immaginato come futuro, viene declinato nella realtà. La lettura risulta di conseguenza estremamente agevole e interessante anche per il lettore non specialista.
Se la “crisi del futuro” sembra essere affrontata principalmente attraverso spinte individualistiche, chiusure eccessivamente nostalgiche e un certo senso di impotenza, in Memorie del futuro Jedlowski propone una postura differente: non si tratta né di abbandonarsi ad un eterno presente, né di restaurare un passato non più attuale. Piuttosto si apre la possibilità di agire responsabilmente nel presente, recuperando la dimensione collettiva dell’azione e individuando nel passato delle potenzialità inespresse, che possono trasformarsi in preziose indicazioni per il futuro; non per anticiparlo, ma per costruirlo attivamente.
- Svetlana Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York, 2002.
- Paolo Jedlowski, Il Sapere dell’esperienza. Fra l’abitudine e il dubbio, Carocci, Roma, 2008.
- Paolo Jedlowski Paolo, Intenzioni di memoria. Sfera pubblica e memoria autocritica, Mimesis, Milano-Udine, 2016.
- Wright Mills, The Sociological Imagination, Oxford University Press, New York, 1959.