Avete presente il mega jukebox degli strimpellatori di tutta Europa noto come Eurovision Song Contest? No? Per farla spiccia, è quella maratona sonora nota nella nostra penisoletta come Eurofestival. Avete presente? È quel carrozzone sonoro che vide trionfare anche il tricolore in piena era ye-ye con la strappalacrime Non ho l’età della sedicenne Gigliola Cinquetti e poi fu necessario calare l’asso dell’italiano vero Toto Cotugno per fare il bis con Insieme:1992, una rimasticatura di melodia elettropoppizata che non lascia alcun dubbio sulla paternità del brano. Gongolando trionfanti, le ugole italiche non si sono più cimentate nell’arena continentale dal 1997 al 2011, ma ciò non è servito a nulla, perché l’Eurovision Song Contest non ha avuto difficoltà a proseguire e a commettere altri assalti sonici contro la coclea e tutto il resto.
Se non avete presente questa mostra delle atrocità sonore, che continua imperterrita dal 1956, buon per voi; forse per qualcuno è complice proprio l’uscita di scena dell’Italia per quattordici anni, ma non avete ancora sentito il peggio, o meglio non avete ancora letto come si può dare di più (d’accordo, questa non c’entra, vinse a Sanremo).
Se volete provare, osare, andare oltre, tuffatevi nel concorso sonoro galattico orchestrato da Catherynne M. Valente nel romanzo Space Opera: una vera esagerazione che rovescia il gioco e rende il tutto delizioso, tranne questa esagerata introduzione, probabilmente. Sì, Valente esagera scientemente, l’esagerazione è il plasma che scorre nella prosa da capogiro della scrittrice statunitense, poco tradotta da noi e meritoriamente proposta da una giovane casa editrice indipendente, 21Lettere, in un’edizione che si avvale per l’illustrazione di copertina anche del talento di Jacopo Starace, fresco dell’esperienza al Trieste Science + Fiction Festival 2019, per il quale ha creato il manifesto ufficiale della manifestazione.
Un’autrice pressoché inedita in Italia
È giunto il momento di spiegare che cosa ha a che fare Space Opera con l’Eurovision Song Contest? Quasi, prima sarà utile, o forse sovrabbondante, proferire qualche cenno sull’autrice, poco nota, in Italia, lo si è detto, al di fuori dei cultori della materia, laddove questa è la grande mamma fantascienza e quelli sono i suoi pargoli. Ebbene, nella bacheca di Catherynne M. Valente alloggia un bel mucchio di trofei guadagnati in questi anni: il James Tiptree Award, l’Andre Norton Award e il Mythopoeic Fantasy Award, nonché nomination agli Hugo Awards, World Fantasy Awards, e Locus Awards.
Anche Space Opera è entrato a far parte della pattuglia dei romanzi candidati all’Hugo per l’edizione 2019 (agguantato però da Mary Robinette Kowal con il suo The Calculating Stars).
Sul proprio scaffale, Catherynne M. Valente può già esibire una decina di romanzi, un mucchio di racconti di science fiction e fantasy, inclusa narrativa per ragazzi.
Di tutto questo bendidìo in italiano si possono leggere soltanto due romanzi della serie di genere fantastico Fairyland (cfr. Valente 2012, 2013); anzi nemmeno questi perché attualmente fuori catalogo. Il lettore italiano ha a disposizione soltanto il racconto incluso nell’antologia Le visionarie, a cura di Ann & Jeff VanderMeer, una delle gemme della raccolta: Tredici modi di concepire lo spazio-tempo (VanderMeer, 2018). Ciascuno tragga le sue conclusioni.
Una storia all’ombra luccicante dell’Eurovision Song Contest
Intanto, è giunto il momento di spiegare che cosa ha a che fare Space Opera con l’Eurovision Song Contest e anche con un altro mucchio di faccende, la relazione tra musica e fantascienza, il tema del primo contatto, le influenze di cui è tributario il romanzo, gli omaggi e i rimandi letterari e musicali di cui intrisa la storia, la vita, l’universo e tutto quanto. Proprio così, uno dei due nomi chiave di questa squinternatissima avventura fantascientifica è lui, Douglas Adams e la sua creatura prediletta, come schiettamente ci confida la stessa Valente:
“Senza Guida galattica per gli autostoppisti, questo libro non potrebbe far altro che dissolversi in una nuvola di logica. Santo cielo, senza Guida galattica, mi dissolverei io in una nuvola di logica”.
Come nel caso della succitata Guida, anche qui abbiamo qualcosa che ha come antesignano il favoloso manuale delle giovani marmotte, dove albergano le risposte alle grandi domande e anche alle piccole e che qui risponde al nome di Principi Imperituri di Goguenar Gorecannon. Di che si tratta? È presto detto, anzi è meglio che lo dica l’autrice stessa:
“Principi Imperituri di Goguenar Gorecannon contiene leggi dell’universo pure, affidabili ed esaustive al novantanove virgola nove percento, per come sono state osservate da un demotivato ippopotamo assassino mutante e sociofobico, ed è considerato essenziale per avere un’infanzia sana e bilanciata quanto gli abbracci, i lumini di notte, e la divisione cellulare. È praticamente impossibile dimenticare un Principio Imperituro di Goguenar Gorecannon. […] Eccovi il II Principio Universale Imperituro di Goguenar: Per ogni cosa che esiste, da qualche parte nell’universo, c’è una creatura che la mangia, la respira, la fotte, la indossa, la secerne, traspira, espira o espelle. Se volete contraddirmi su questo punto, pensate alla Bestia Butta Bolle di Ballun 4 e chiudete il becco”.
Il secondo personaggio chiave è Marcel Bezençon “che, nel 1956, ha concepito l’idea stessa dell’Eurovision Song Contest, che è stato la fonte d’ispirazione di questo libro”, riconosce Valente, che con medesima sincerità prosegue nelle note di copertina, confessando il suo rapporto contradditorio con la manifestazione canora:
“Credo […] che l’Eurovision sia uno dei più grandi traguardi dell’intera umanità, con tutta la sua assurdità e appariscenza e pomposità. Riuscire a unire un continente dopo la guerra più spaventosa della storia di questo pianeta con canzoni, balli e paillette è tanto ridicolo e insperato da risultare sublime. È esattamente nell’apparire senza peso né conseguenza né alta autorità artistica che si coglie la genialità dell’Eurovision: se fosse una cosa seria, non lo guarderebbe nessuno”.
Ecco che cosa vuol dire aver le idee chiare su cosa sia la buona musica e su che cosa sia la cultura pop tout court. Chapeau. Da qui, a partire da una sollecitazione tramite tweet, prende il via Space Opera. Si parte con il classico “c’era una volta”, ma poi sono subito scintille, fuochi d’artificio, iperboli, figure ardite, metafore, castelli di periodi ipotetici, un mucchio di colori accesi, vivaci, scurissimi, la vita, le citazioni, gli sberleffi i giochi di parole, fiumi di parole e l’intero repertorio retorico in orbita intorno ai nostri emisferi cerebrali. La storia (la storia?) è questa: non siamo soli nell’universo.
Non date retta a Enrico Fermi quando si chiede “dove sono tutti quanti?” riferendosi agli alieni. La risposta è sotto il nostro naso:
“La vita vuole essere. Non può proprio sopportare di non essere. L’evoluzione scalpita, è lì pronta a partire senza preavviso, e saltella da un piede all’altro come un bimbetto in coda davanti alle montagne russe, tutto un fremito mentre pregusta le luci colorate e la musica ad alto volume e i loop a testa in giù tanto che se la fa sostanzialmente nei pantaloni ancor prima di aver pagato il biglietto […] la vita è tutt’altro che rara e preziosa. È ovunque; è umida e appiccicaticcia; ha tutte le limitazioni di un pargolo lasciato troppo a lungo all’asilo nido senza succo di frutta”.
E se gli alieni sono dappertutto (circa centomila mondi ospitano specie di ogni tipo, contabilizza Valente), prima o poi si scontrano e combattono per il diritto a farsi riconoscere come senzienti fino a quando le innumerevoli conflittualità cosmiche, le cosiddette Guerre della Senzienza si dimostrano un inutile massacro e allora tanto vale stabilire una tregua duratura e competere in musica e allora ecco che prende il via il Gran Premio Metagalattico. E poi, quando i tempi si fanno maturi, tocca anche a noi.
Essere esseri senzienti o sparire
Così un bel giorno sul pianeta Terra tutti gli umani vengono contattati da un alieno per formalizzare, si fa per dire, l’invito a partecipare al Gran Premio Metagalattico. Altri tempi quelli di Robert Wise e il suo Ultimatum alla Terra (1951), quando il messaggio era meno canterino, più ieratico, pacifista, e l’extraterrestre si mostrava con sembianze fin troppo umane. L’alieno ambasciatore fiorito dall’immaginazione di Catherynne M. Valente è un Esca, un “mezzo fenicottero mezzo rana pescatrice di due metri” il cui “petto piumato lasciava trasparire ossa incrostate di cristallo, e un rugiadoso, gelatinoso fiore di giada gli penzolava attaccato alla testa come un’anziana signora decollata verso la chiesa”.
Ha con sé una lista di possibili artisti tra i quali selezionare il concorrente che gareggerà alla centesima edizione del Gran Premio Metagalattico, che nell’occasione si terrà sul pianeta Litost. In cima alla lista c’è Yoko Ono, ma sfortunatamente all’epoca di questi fatti la vedova Lennon è defunta, così come lo sono i Kraftwerk, Ryuichi Sakamoto, i Tangerine Dream e le Spice Girls, e non sono più disponibili neanche Brian Eno, Grace Jones, i Jefferson Starship, gli Hüsker Dü, Courtney Love, RuPaul, Nicki Minaj e Donna Summer. Allora non resta che raccattare l’ultimo nome in fondo alla lista, la formazione principe del glitter punk glam rock: i Decibel Jones and the Absolute Zeros. Un trio composto dal vocalist che all’anagrafe risulta essere Danesh Jalo, ricalcato anzichennò sul bowiano Ziggy Stardust, nonché il Duca Bianco con tutte le sue incarnazioni, e i suoi compari, Oort Sant’Ultravioletto, all’anagrafe Omar Calişkan, che stipava nell’Oortofono, strumento di sua invenzione, chitarra, fisarmonica, violoncello, ghironda elettrica, theremin e Moog e tuba, e Mira Splendida Splendente (Mira Wonderful Star nell’originale) “batterista, violentatrice seriale di tastiere e «femmina fake»”.
Entrati nel firmamento sonoro grazie a un album, doppio disco di platino, intitolato Fichi spaziali, e a una hit in particolare, Dandy non trendy, si sono in seguito dissolti: Decibel Jones ha vagheggiato una carriera da solista, Oort Sant’Ultravioletto ha messo su famiglia e Mira Splendida Splendente è morta dopo aver chiesto a Decibel Jones di sposarla (“per ragioni erariali”) ottenendo una risata per risposta. No, non è tutto. Al termine della conversazione lei aveva pestato non poco sull’acceleratore della sua auto fino al botto finale. Fatto sta che ai restanti due vengono affidate le sorti dell’umanità. Proprio le sorti, perché nel malaugurato caso si termini all’ultimo posto nella gara, l’intera specie verrà spazzata via.
I precedenti e le analogie principali
Tutto questo sa tanto di cartone animato? Sì, Space Opera affonda qualche radice anche nei cartoon, non solo per via dell’Esca che Den ribattezza Road Runner (il Beep Beep di Willie il Coyote), ma perché nello scombiccherato Rick & Morty (nonno scienziato matto e dal rutto facile, nipote tonto a far da aiutante), nell’episodio cinque della seconda stagione (2015), i due fanno proprio questo: rappresentano l’umanità in una versione spaziale dell’Eurovision. A sua volta, la liason letteraria a ben vedere non si ferma ad Adams. Quantomeno occorre fare un piccolo passo indietro, al romanzo di cui a sua volta l’inglese è debitore, ovvero Il difficile ritorno del signor Carmody (Dimension of Miracles, 1968) di Robert Sheckley.
Definibile ormai un classico, è uno spumeggiante romanzo di peripezie assortite che capitano all’anonimo impiegatuccio indicato nel titolo italiano, che aggiudicatosi un premio della lotteria intergalattica, come gli annuncia un misterioso personaggio, deve recarsi a ritirarlo in un fantomatico centro intergalattico. Ne seguono strampalati incontri in giro nell’universo, per esempio con un ingegnere edile fabbricante di pianeti a basso costo e con un dinosauro filosofo. Non bisogna però dimenticare che il cuore di Space Opera è la musica, e il tema non è dei più frequentati nella fantascienza. È la musica a esserne molto più intrisa, dalla semplice e minimale citazione a vere e proprie saghe.
La letteratura classica di fantascienza vanta pochi precedenti, una esigua pattuglia di storie: Richard Strauss resuscitato in Un’opera d’arte (A Work of Art, 1956) di James Blish, la musica marziana registrata da Isaac Asimov in Il senso segreto (The Secret Sense, 1939), il romanzo Odissea del superuomo (The Rose, 1953) di Charles L. Harness e soprattutto L’opera dello spazio (Space Opera, 1964) di Jack Vance, dove si narra della tournée sulla Terra di una troupe d’artisti provenienti dal pianeta Rlaru, suggerisce uno scambio con tanto di tour tra i pianeti, che presto si rivela un fiasco a tappe, fino all’insuccesso finale su Rlaru, dove conquista i nativi la Tough Luck Jug Band, il complessino formato da membri dell’equipaggio dell’astronave per ingannare il tempo. Come farà anche Valente, si gioca sull’equivoco: la musica è davvero un linguaggio universale o si addice unicamente agli umani? Se abbiamo un problema di primo contatto, il suono, il battito vitale aggira la questione per vie oblique. Così è se vi pare.
The Kids Are Alright: la scena cyberpunk
Qui e là si possono pescare altre testimonianze isolate, come nel racconto di Michael Moorcock, Un cantante morto (A Dead Singer, 1974), che vede protagonista Jimi Hendrix, ma occorrerà attendere il cyberpunk per iniziare a suonare sul serio, sin dalla antologia/manifesto Mirrorshades (1986) curata da Bruce Sterling e che include un suo racconto scritto a quattro mani con Lewis Shiner, Mozart in Mirrorshades, dove si riparte dal glorioso salisburghese. Da allora si è più affollata la scena musicale tra le pagine sci-fi. Tra i primi a suonare la carica fu John Shirley che in La musica della città vivente (City Come-A-Walkin’, 1980) ed Eclipse (1985) disegnò truci scenari a base di fantapolitica e rock sovversivo. Un antipasto, il racconto Freezone, storia affluente del ciclo Eclipse, venne antologizzato proprio in Mirroshades, dove trovò spazio anche l’agghiacciante A tutto rock (Rock On) di Pat Cadigan. Fine della digressione, che forse illumina meglio la culla di questa Space Opera. Quasi fine della digressione.
Un ultimo contributo arriva proprio dall’Italia con la raccolta di racconti orchestrata da Mario Gazzola per S.O.S. Soniche Oblique Strategie, ovvero un esperimento di scrittura “combinatoria”, ispirata alle carte che Eno distribuiva ai musicisti e ai tecnici in studio durante le sedute di registrazione dell’album 1. Outside (1995) di David Bowie. Incipit del tipo “È l’anno 2055. Sei un musicista in una band soul arab in un sex club nordafricano”, fungono da pretesto per realizzare otto racconti scritti da Danilo Arona, Ernesto Assante, Andrea Carlo Cappi, Giovanni De Matteo, Lukha B. Kremo, Maurizio Marsico, Claudia Salvatori e dal curatore. Fine per davvero della digressione.
Tornando a Space Opera, come si è detto, il registro è un altro, una via di mezzo tra una burla incontinente, un omaggio sconsiderato e indecente, una sollecitazione a base di quel che vi pare, motivetti a gogo da cantare a squarciagola durante abluzioni effettuate rigorosamente ad alta quota e tanta panna montata da cui fuoriescono esserini d’ogni fatta, come gli Smaragdita, per esempio.
“Osservando uno Smaragdita si ha proprio l’impressione che qualcuno abbia raffazzonato il corredo più inutilmente elaborato di terraglie corazzate del Settecento spagnolo da avorio e quarzo sbiancati, gli avesse aggiunto un cespo di capelli blu bianchi come in uno spot di uno shampoo anni ’70, avesse poi stirato il tutto tra i due e i tre metri come un gallese particolarmente rigido e criticone, poi l’avesse trovato un filino intimidatorio e avesse quindi deciso di dare un tocco di verde pastello e lavanda sulle giunture appuntite per garantirgli un look primavera-estate più festoso”.
Ebbene, tutti i partecipanti al Gran Premio Metagalattico sono altrettanto immaginifici e tutti i ritratti che tracimano dalla penna di Catherynne M. Valente sono di tal fatta e il bersaglio è centrato. Qui la fantascienza torna alle origini: intrattenerci meravigliandoci, la missione del sottogenere space opera…
Non c’è molto altro da aggiungere, il cimento canoro alfine ha luogo e quanto all’esito, beh, se siamo ancora qui a raccontarla…
- Douglas Adams, Guida galattica per autostoppisti. Il ciclo completo, Mondadori, Milano, 2016.
- Asimov, Il senso segreto, in Tutti i racconti, vol.3, Mondadori, Milano, 1996
- James Blish, Un’opera d’arte, in Le grandi storie della fantascienza 18, Bompiani, Milano, 2013.
- (a cura di) Mario Gazzola, S.O.S. – Soniche Oblique Strategie, Arcana, Roma, 2019.
- Charles L. Harness, Odissea del superuomo, Mondadori, Milano, 2014.
- Michael Moorcock, Un cantante morto, Robot 24, Armenia, Milano, 1978.
- Roberto Sheckley, Il difficile ritorno del signor Carmody, Mondadori, Milano, 1981.
- John Shirley La musica della città vivente, Mondadori 1996.
- John Shirley Eclipse, Mondadori, Milano, 1995.
- (a cura di) Bruce Sterling, Mirroshades, Bompiani, Milano.
- Catherynne M. Valente, La bambina che fece il giro di Fairyland per salvare la fantasia, Sperling & Kupfer, Milano, 2012.
- Catherynne M. Valente, La bambina che perse la sua ombra per salvare la magia del mondo, Sperling & Kupfer, Milano, 2013.
- Catherynne M. Valente, Tredici modi di concepire lo spazio-tempo, in Le visionarie (a cura) di Ann & Jeff VanderMeer, Nero, Roma, 2018.
- Jack Vance, L’opera dello spazio, Mondadori, Milano, 2003.
- Justin Roiland e Dan Harmon, Rick & Morty, Get Schwifty (Sbrachiamoci insieme), stagione 2 episodio 5, 2015 (Italia 2016), Netflix.
Robert Wise, Ultimatum alla Terra, Koch Media, 2008, (home video).