Si è sempre pensato a Brian Eno come a una sorta di Apollo capace di creare con acropolico distacco dalla rumorosa città. D’altronde è dalla gran confusione metropolitana che si ritiene sia nato il bisogno di creare ambienti musicali protetti, in grado di fornire realtà altre rispetto alla nostra: schizoide. Fu proprio la ricerca di queste atmosfere che lo portò alla creazione dell’ambient music, figlia di Erik Satie e John Cage, a partire nel 1975 con l’album Discreet Music, seguito da lavori come Music for Films, Music for Airports, On Land, Possible Musics. Inoltre, dal rapporto con Robert Fripp, parimenti schizoide, la nascita di altre costellazioni sonore come No Pussyfooting, Evening star e in seguito The Equatorial Stars. Ma Eno riesce ad allargare il discorso musicale ad altri campi artistici, coinvolgendo anche quello figurativo legato alla pittura e al video. Quindi l’ambient music diviene Music for Installation, che porterà alla creazione di notevoli musiche legate ad altrettante notevoli installazioni artistiche. La tavolozza di 77 Million Paintings costituisce un’altra esperienza che gli permette di lavorare anche alla rivitalizzazione di spazi e architetture in cui immagini e suoni viaggiano su piani astrali. La poliedricità di Eno è d’altra parte ciò che lo rende artista unico. Per queste ragioni ci è sembrato naturale e logico nel suo cammino apollineo vederlo esibirsi, con il fratello Roger al teatro di Epidauro a Atene. Il teatro è situato proprio nel magico complesso dell’acropoli di Atene, che rimane tutt’oggi uno dei luoghi più significativi e vitali creati dalla civiltà umana. L’acropoli di Atene è sito del distacco dal caos e luogo della meditazione, luogo sacro per eccellenza. Il nuovo lavoro di Brian Eno, ForEverAndNoMore, è figlio di quel concerto all’acropoli di Atene il 9 agosto 2021.
In quell’occasione Eno, all’ombra dei 45 gradi presenti sull’acropoli, si rende pienamente conto della drammaticità del nostro momento storico, che vive tra pandemia e mutamenti climatici catastrofici. Avverte nuovamente che bisogna sperare in una rinnovata visione del mondo e di questo vuol cantare nel suo nuovo disco. Un ritorno al futuro, in quanto già nel 1975 con Another Green World, immerso in una giovanile solarità, era stato lanciato un grido sulle necessità di rinnamorarsi del nostro pianeta. Si muovono in tal senso There Were Bells e Garden of Stars, i primi due brani eseguiti nel concerto di Atene, che ritornano nella scaletta ForEverAndNoMore. Non più musica ambient, ma Eno come un lirico greco, vuole lanciare nel mondo sonoro il suo nuovo inno sacro, inerente al significato escatologico del nostro mondo. In ForEverAndNoMore, le tematiche cantate da Eno sono relative al bisogno di creare una rinnovata capacità di sentire la bellezza del nostro pianeta, allontanandosi dalle volontà speculative tipiche della nostra epoca. In un’intervista riportata da Sky Tg 24 si legge:
“Sono sempre più convinto che la nostra unica speranza di salvare il nostro pianeta sia se iniziamo a provare sentimenti diversi al riguardo: magari se ci innamoriamo di nuovo dell’incredibile improbabilità della vita; forse se abbiamo sofferto il rimpianto e persino la vergogna per ciò che abbiamo già perso; forse se ci fossimo sentiti esaltati dalle sfide che dobbiamo affrontare e da ciò che potrebbe ancora diventare possibile. In breve, dobbiamo innamorarci di nuovo, ma questa volta della Natura, della Civiltà e delle nostre speranze per il futuro”.
Dei dieci brani che compongono il disco otto sono vocali, per lo più affidati alla voce dello stesso autore e sin dal primo, Who Gives a Thought, si coglie la solennità con cui Eno declama e canta, con un fare frutto della piena maturità ormai raggiunta, e si prosegue con We Let It In quasi una preghiera che vola sulle nuvole in alta montagna, musica alpina. Il tono non cambia in Icarus or Blériot, in cui la voce si staglia su un quadro sonoro dal sapore cosmico. Il canto solenne di Eno esprime in pieno il senso dell’opera, la musica diviene espressione di una volontà di comunicare la drammaticità del nostro tempo, il bisogno di un cambiamento radicale: mutamento, pausa, riflessione sono i concetti chiave. Nella stessa intervista, ha precisato:
“Mi ci è voluto molto tempo per abbracciare l’idea che noi artisti siamo in realtà dei mercanti di sentimenti. I sentimenti sono soggettivi. La scienza li evita perché sono difficili da quantificare e confrontare. Ma i «sentimenti» sono l’inizio dei pensieri e anche i loro accompagnatori a lungo termine […] L’arte è il luogo in cui iniziamo a prendere confidenza con questi sentimenti…”.
In Garden of Stars, l’atmosfera di suoni stellari e spaziali diviene più presente e avvolge la voce che si svolge, in questo contesto, con contrappunti di voce femminile. Inclusion è il primo dei due brani strumentali, il pezzo si muove come una pausa di riflessione, un incipit fatto di suoni allusivi, rimpianti e memorie ci appaiono come luci in un giardino lunare. Appena il tempo di lasciarsi andare e arriva There Were Bells, uno dei brani più intensi dell’album, e per drammaticità, e per la performance vocale di Eno. Il suo tono ricorda, fatalmente, quello da lirico greco, in cui destino, caso, durezza dell’esistenza si fondono in un tutt’uno. Il vento dell’acropoli di Atene sembra soffiare inesorabilmente senza approdi possibili in cui la nostra condizione di umani trovi pace, solo l’arte e le sue muse possono offrire un conforto. I’m Hardly Me è un’ulteriore preghiera, in cui a una delicata introduzione cantata da una voce femminile, fa da contraltare la voce maschile più definita e naturale.
L’atmosfera musicale crea suoni provenienti da una natura incontaminata e pura, punteggiata con un canto di timidi uccellini. Sherry suona come una lenta nenia in grado di cullarci in un sonno riparatore dalle nostre angosce. These Small Noises svolge il suo canto come fosse un rituale, un recitativo di ineluttabile determinazione, la musica conseguentemente si muove su percorsi fissi, quasi degli ostinati. Making Gardens Out of Silence ricorda le atmosfere della musica creata per la installazione dei Dormienti di Mimmo Paladino. I Dormienti sono delle sculture, quasi dei calchi, come le famose figure pompeiane catturate proprio nell’esalare dell’ultimo respiro, nel momento in cui fuggivano, affannosamente, dalla incredibile eruzione del Vesuvio nel 79 d.c. Anche in questo brano, ma è un po’ una costante del disco, è la voce inespressa, carica di fascino misterioso, a costituire il cuore del discorso. Ciò che non si riesce a esprimere, che rimane latente, quasi sepolto come un fossile, può e diviene la voce da ricercare. La musica diventa il territorio dove i Dormienti sono le anime da risvegliare, da interrogare, per avere un futuro più autentico.
- Brian Eno, Music for Installations, Opal/Universal, 2018.