Meraviglie del mostruoso:
gli angeli caduti del Vorrh

Brian Catling 
Gli ancestrali
Traduzione di Massimo Gardella

Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo
Safarà, Pordenone, 2021
pp. 440, € 25,00

Brian Catling 
Gli ancestrali
Traduzione di Massimo Gardella

Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo
Safarà, Pordenone, 2021
pp. 440, € 25,00


Nell’aprile 2021, Safarà ha pubblicato Vorrh. La foresta senza fine, primo volume di una trilogia scritta da Brian Catling, uomo dal multiforme ingegno: poeta, scultore, scrittore, regista, e last but not least, professore di Belle Arti alla Ruskin School of Art dell’Università di Oxford. Nel suo caso non si può certo affermare che la ricerca e l’avanguardia abitino la gioventù, visto che Catling è ormai residente nella terza età, ed è comunque un faro per chi posiziona la ricerca nel campo dell’arte tra i suoi obiettivi culturali. Dalla pubblicazione del primo volume non è trascorso nemmeno un anno e già nel dicembre dello stesso 2021 è stato presentato ai lettori il secondo. L’editore per questa nuova edizione ha confermato lo staff che aveva contribuito al successo di critica e di pubblico ottenuto solo pochi mesi prima. La traduzione è quindi rimasta affidata a Massimo Gardella, che aveva fatto un ottimo lavoro con la precedente, e anche in questo caso l’opera è impreziosita dalle splendide immagini di Gianluigi Toccafondo. Bisogna dire che tra le copertine delle varie edizioni in altre lingue è davvero difficile scegliere le più belle, vista l’altissima qualità grafica che le contraddistingue, ma l’edizione italiana non ha nulla da invidiare alla concorrenza di gruppi editoriali ben più blasonati. Se la copertina risponde al piacere dell’occhio, immediatamente l’intelletto si sofferma invece a riflettere sul titolo. Nell’edizione italiana si è deciso di intitolarlo Gli ancestrali, e si tratta di una scelta che ci porta immediatamente nel cuore del racconto. Difatti il titolo originale è The Erstwhile, che in italiano viene tradotto normalmente come “l’ex” o “il precedente”. Il termine “ancestrale” invece ha in aggiunta una sua valenza ben precisa, e rimanda a un sapere arcaico, antico, un qualcosa di precedente il tempo stesso. Inoltre, sottolinea la personalizzazione di questo elemento, poiché “gli ancestrali” appaiono come delle entità individuali, creature indefinibili poste sull’orlo della realtà. La foresta senza fine, sottotitolo del primo volume, si rivela perciò essere una sorta di lunghissimo preambolo agli eventi cataclismatici che pervadono questo secondo tomo.

Una delle illustrazioni di Gianluigi Toccafondo per Gli ancestrali.

Raccontandoci il passato della foresta, Catling ci ha introdotto alla vicenda più antica del mondo, alla storia stessa dell’umanità, descrivendo, con un linguaggio junghiano e legato a dei codici archetipici, l’impenetrabilità e l’alterità assoluta del Vorrh, mostratoci come una sorta di culla primordiale della vita stessa. In una certa forma questo principio viene presentato come sempre latente e in certe situazioni presente anche nella vita del mondo cosiddetto civilizzato, e proprio questa emergenza di un passato antichissimo è ciò che si mostra e si disvela ne Gli ancestrali, dove tutto ciò che era potenziale diventa atto. Difatti il romanzo comincia a Londra, dove si svolge anche una parte degli eventi, e a seguire è il mondo intero a essere sul punto di esplodere, mentre le tensioni latenti si concretizzano in avvenimenti assolutamente straordinari. Gli esseri che vengono evocati già dal titolo stesso sono gli angeli caduti, scacciati dopo il loro fallimento nel proteggere l’Albero della Conoscenza, rimasti dormienti per l’intera storia del pianeta e che ora, di fronte al pericolo e alla devastazione della guerra a venire, si risvegliano, per tornare a muoversi nella grande foresta e coinvolgendo poi il mondo intero.

“Così Ishmael aveva appreso che in base alla leggenda gli Ancestrali posti da Dio sulla Terra per proteggere l’albero della conoscenza nel giardino dell’Eden. E quando Adamo commise il primo peccato, Dio si infuriò per il vergognoso fallimento, e voltò loro le spalle, dimenticandosi della loro esistenza. Nel corso dei secoli, per la disperazione, erano regrediti o si erano arresi per lasciarsi sopraffare da una decadenza arbitraria. Trasformati nell’aspetto e nel significato, avevano tentato di morire o di dissolversi nel nulla”.

Gli Ancestrali sono quindi esseri ibridi, parzialmente integrati con gli elementi stessi della foresta, e dotati di poteri soprannaturali. Alcuni di loro riescono perfino a incarnarsi fisicamente e diventare simili agli esseri umani, come Nicholas, l’elementale incontrato a Londra dal dottor Hector Schumann. Questo elemento di mutagenità, propria del Vorrh e di chi lo abita, permette agli ancestrali di indurre cambiamenti anche nel corpo di chi viene in contatto con loro, come accade ad esempio a Sidrus, oppure al ciclope Ishmael che ottiene un occhio artificiale per nascondere la sua deformità.

Una magnifica ossessione: i ciclopi
Come già nel primo volume, Catling ama inserire nella storia dei personaggi realmente vissuti e che sono ritenuti paradigmatici. Se in Vorrh la guida inconsapevole del lettore era stato Raymond Roussel, a cui si erano affiancati il medico Sir William Gull e il fotografo Eadweard Muybridge, qui incontriamo, tra gli altri, William Blake, mentre ritorna il ciclope di nome Ishmael, omonimo del narratore di Moby Dick. I ciclopi sono per Catling una sorta di ossessione, che l’artista coltiva da tempo. In una intervista su SF Signal, a Ketchersid, l’intervistatore che gli chiedeva del suo interesse particolare per questa figura, facendo anche riferimento a una sua performance (cfr. Catling, 1995), rispose che:

“Il mio interesse per i Ciclopi è iniziato nel Museo Ungherese del Royal College of Surgeons di Londra. Nella sezione dentale/Nel reparto odontoiatrico, in fondo, c’era la minuscola testa di un umano nato Ciclope. Capelli rossi e lentiggini. Una tragica, inquietante anomalia che non era sopravvissuta alla nascita (o non le era stato permesso di farlo). Qualche anno dopo, durante una performance nella Biblioteca di Londra, una telecamera catturò il mio riflesso diviso in due in una teca di vetro e vidi di nuovo il Ciclope, potevo diventare lui. Così il suo modo di pensare, quello di parlare e il suo isolamento sono nati da lì”
(Ketchersid, 2015).

Emblema della mostruosità così come era concepita nella Grecia arcaica, alle origini della nostra civiltà, i ciclopi abitano il caravanserraglio mostruoso che attraversa il romanzo, in cui si ritrovano fantasmi, macchine umanizzate, e anche gli zombie lavoratori della foresta già incontrati nel primo romanzo (i Limboia, gli abitanti senza memoria scomparsi) e le più impensabili genie che sarebbero stati destinati alla Rupe Tarpea. I ciclopi nella mitologia hanno differenti origini, da un lato in molti testi si sottolinea la loro particolare intelligenza, dettata dal terzo occhio di cui sono dotati, dall’altro sono visti come affini ai giganti e agli antropofagi (come ad esempio Polifemo nell’Odissea). A volte (in Omero) sono visti come figli di Poseidone, altre volte (da Esiodo) come figli di Urano e Gea, e quindi più antichi degli stessi dei dell’Olimpo. In ogni caso, e questo è un elemento cruciale, i ciclopi sono affini agli uomini, nel bene o nel male: in prima istanza sono lavoratori, che siano fabbri nelle fucine di Efesto, o allevatori come Polifemo, o muratori come i costruttori delle mura ciclopiche di Tirinto e Micene (lo racconta Ovidio), e inoltre la loro grandezza fisica è contenuta, è umanamente accettabile, sebbene e-norme, diversamente da quella di Titani e Giganti, che sono assurdamente lontani dalla nostra comprensione.

Un momento della performance tenuta da Brian Catling nel 1995 a Londra.

I ciclopi non vivono nell’eterno presente ombelicale dell’Olimpo, ma li scopriamo tra di noi, in mezzo alle nostre beghe, ed è per questo che appartengono alla nostra realtà, seppur alla parte che definiamo simbolica, così come ne fanno parte gli Ancestrali, angeli dimenticati e costretti a mescolarsi con il mondo vivente e mortale. Affascinato dalla mostruosità vista come momento della metamorfosi, Catling ci conduce nel famigerato Bedlam Asylium, soprannome popolare per il Bethlem Royal Hospital di Londra, per secoli l’unico luogo deputato alla cura (e alla detenzione) delle malattie mentali in Inghilterra, una sorta di museo degli orrori, che nell’800 si era addirittura trasformato in una importante attrazione per turisti, che pagavano per poter vedere e spesso seviziare le creature alla loro mercé. La storia davvero inquietante di questo istituto, lunga dal medioevo sino ai nostri giorni è ben riportata in uno speciale della BBC a firma Paul Chambers.

“«Difficile immaginare un essere umano in una condizione più degradata e maltrattata di quella in cui ho trovato questa donna». Questa fu una delle tante terribili scoperte fatte durante un’ispezione presso il «manicomio» Bethlem di Londra nel 1814. Il Bethlem Royal Hospital (la sua qualifica ufficiale, anche se era più comunemente conosciuto come Bedlam) era in teoria la più importante istituzione psichiatrica della Gran Bretagna, ma gli ispettori pensavano che avesse «l’aspetto di un canile». Bethlem fu fondata nel 1247 e per la maggior parte della sua storia rispecchiò le convinzioni del momento sulla terapia e sull’assistenza delle persone colpite da una malattia mentale. Ci fu, tuttavia, un periodo più buio in cui l’ospedale divenne più prudente, misterioso e, alla fine, violento nella cura dei suoi pazienti. Questo periodo è durato per più di un secolo e, nonostante le riforme successive, ha portato a identificare definitivamente il termine «Bedlam» con tutto ciò che è caotico o sregolato”
(Paul Chambers, 2020).

Lingua letteraria stupefacente
Da un punto di vista letterario la lingua di Catling è una vertigine di metafore e di riferimenti. È sufficiente leggere l’incipit per rendersi conto della potenza evocativa che lo contraddistingue:

“È qui che arranca l’uomo-bestia, il suo corpo un tempo virtuoso ora rivoltato, scorticato e spellato, con rampicanti e tendini che crescevano al contrario attraverso la sua cane, piume primordiali anchilosate che gli guarnivano i polmoni e i lombi come un filo intrecciato di spine e ruggine. Senso di colpa e paura avevano consumato poco alla volta i polpastrelli, lasciando che dalle mani infine spuntassero gli artigli, affilati mentre scavava la propria dimora, dentro una fossa poco profonda”.

La narrativa di Catling si inserisce appieno nel New Weird, percorrendo una linea ideale che unisce Mervin Peake a China Miéville. Alcuni dei personaggi in tutto ciò simboleggiano il tentativo di razionalizzare il soprannaturale che li circonda, ma è evidentemente una battaglia senza alcuna possibilità di successo. Padre Timothy, uno di loro, è costretto dalla creatura chiamata Modesta, a scrivere lettere e testi incidendo la roccia con le dita, a eterno monito del sangue che costa ogni pensiero, ogni riflessione, ogni idea.

“Dopo la prima ora il dito di padre Timothy cominciò a sanguinare. L’inchiostro di acqua zuccherata lo aiutava a tamponare l’emorragia ogni volta che lo intingeva nella soluzione, ma la pressione di scrivere sulla nuda pietra aveva un costo. Quando gli si spezzò l’unghia il dolore divenne insopportabile”.

La scrittura, difatti, è sempre scrittura del corpo, ed è sempre dolore, esclusione, cesura, trasporto, così era nei mistici così è nel Weird. Lo è anche in Jeff Vandermeer, e a conferma dobbiamo dire che il Voorh è una zona, secondo i dettami visti nella Trilogia dell’Area X, un luogo dove il magico e il soprannaturale si incarnano. Il Vorrh è un ecosistema, è un iperoggetto, è un luogo ostile che favorisce le trasformazioni fisiche e psichiche dei personaggi che lo attraversano, lanciando ami letterari in ogni direzione, presagendo la Seconda guerra mondiale e la shoah (tema che troverà la sua sede nel terzo volume). Infine, va detto che in una trilogia il secondo atto è quello più a rischio, quello che più facilmente si rivela un momento di transizione tra la ricchezza dell’inizio e la sorpresa della fine. Certamente non è questo il caso, come si dice bene su The Guardian,

“Le parti centrali delle trilogie sono cose difficili, un atto di equilibrio tra conclusione e proseguimento. La parte centrale non serve soltanto a tenere a galla la baracca, ma non può neanche precorrere i tempi. Nelle mani giuste, è proprio questo equilibrio che può essere ellitticamente stuzzicante. The Erstwhile quasi si compiace del suo status di intervallo tra Genesi e Apocalisse, e applica il gioco di prestigio che riesce a molti dei migliori libri intermedi, allo scopo di uno spostamento del focus”
(Kelly, 2017).

Gli Ancestrali amplifica le dinamiche iniziate nel primo volume, e si rivela essere un romanzo travolgente e affascinante, che lascia il lettore nella trepidante attesa del terzo atto, The cloven, che speriamo Safarà regali al più presto.

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