BFM 2025, il giro del mondo
in oltre centosessanta film

Bergamo Film Meeting
International Film Festival

43a edizione
8 – 16 marzo 2025
Le sale del festival:
Auditorium
Sala dell’Orologio
Cinema Teatro del Borgo
BFM Stream
Il programma completo

Bergamo Film Meeting
International Film Festival

43a edizione
8 – 16 marzo 2025
Le sale del festival:
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Sala dell’Orologio
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Ogni promessa è un debito, recita un saggio proverbio popolare e quest’anno Bergamo Film Meeting rispetta l’impegno preso, ma saltato nell’edizione 2024, di offrire una completa retrospettiva dedicata a Otar Iosseliani, il regista, sceneggiatore e montatore georgiano naturalizzato francese scomparso nel 2023. Nell’occasione subentrò un altro maestro di cinema, Éric Rohmer, cacciando in un angolo il rimpianto, e con il programma dell’odierna quarantatreesima edizione del BFM si cancella definitivamente il debito con il pubblico.
L’ampia rassegna dedicata a Iosseliani include cortometraggi e documentari, oltre ai film che lo hanno consegnato alla storia del cinema, per un totale di venti opere. Si parte dal cortometraggio Akvarel (Acquerello) del 1958 e si arriva a Chant d’hiver risalente al 2014 che vedeva la partecipazione di Enrico Ghezzi nei panni del Barone, personaggio stralunato perfettamente calato in una narrazione un po’ chaplinesca, un po’ picaresca, del tutto surreale.
Come di consuetudine vi è affiancata una seconda retrospettiva, che quest’anno omaggia il visionario regista polacco Wojciech Jerzy Has (1° aprile 1925 – 3 ottobre 2020) in occasione del centenario della sua nascita. A lui è anche dedicata l’immagine di questa edizione del Festival, realizzata dallo studio di comunicazione visiva e graphic design Studio Suq (foto sotto).

Has è noto in special modo per il lungometraggio del 1964 Rękopis znaleziony w Saragossie, ovvero la trasposizione del romanzo del suo connazionale, il conte Jan Potocki (1761-1815): Il manoscritto ritrovato a Saragozza, “un esempio tra i più alti” di letteratura fantastica, come scrisse Roger Caillois. Storia ambientata in epoca napoleonica che vede protagonista il capitano della guardia reale Alfons van Worden (interpretato da Zbigniew Cybulski, l’attore prediletto da Has) che vive incredibili e affascinanti avventure costellate di fantasmi, briganti, zingare, amori licenziosi e apparizioni demoniache durante i suoi viaggi dall’Andalusia a Madrid. Un’opera che vanta tra i suoi ammiratori Luís Buñuel, Jerry Garcia, David Lynch, e Francis Ford Coppola, oltre a Martin Scorsese che ne ha sostenuto il restauro assieme agli film di Has. Sette in totale i lavori in calendario, diversi dei quali tratti da lavori letterari, tra cui il suo esordio nel 1957, Pętla (Il cappio), tratto dal romanzo di Marek Hłasko, vicenda drammatica di un uomo, Kuba alle prese con la propria dipendenza dall’alcol. Puro surrealismo cinematografico è poi Sanatorium pod klepsydrą (La clessidra, 1973), tratto dall’omonimo racconto del connazionale Bruno Schulz. È la storia di un giovanotto, Józef (Jan Nowicki) che va a trovare suo padre in un sanatorio. Il genitore è in realtà morto ma lì è sottoposto a una cura di ritardo temporale per cui in quella struttura ancora vivo. Edificio che si rivelerà presto un mondo dove realtà, finzione, presente e passato si confondono continuamente. Il film si aggiudicò il Premio della giuria al Festival di Cannes di quell’anno.
Tornando a Iosseliani, attento osservatore dei comportamenti umani e lungamente osteggiato dalla censura sovietica, è stato un autore acclamato dalla critica internazionale e ha conquistato numerosi riconoscimenti tra cui Venezia, Cannes e Berlino. È stato negli anni anche un raffinato documentarista. Ne sono esempio Ghisa (Tudzhi, 1964), dove si racconta una giornata di lavoro in una fabbrica metallurgica di Rustavi, in Georgia, Antichi canti georgiani (Dzveli qartuli simgera, 1968), Euzkadi été 1982 (1982), sui Paesi Baschi francesi e i suoi abitanti, Un petit monastère en Toscane (1988), sulla quotidianità di una piccola comunità di agostiniani francesi nel monastero di Castelnuovo dell’Abate, tutti lavori inclusi nella rassegna, e il monumentale documentario di quasi quattro ore Seule, Géorgie del 1993 che ripercorre duemila anni di storia turbolenta della Georgia attraverso filmati d’archivio e estratti da film.

L’ultimo film di Otar Iosseliani: Chant d’hiver.

Dei suoi lungometraggi ci limitiamo qui a segnalare alcuni gioielli come Les Favoris de la lune (I favoriti della luna , 1984), che si regge su un esile filo narrativo ‒ una collezione di porcellane del 18° secolo e un ritratto femminile ottocentesco che passano di mano in mano nel corso degli anni ‒ attorno al quale si svolge un girotondo di personaggi, tutti dediti a rubare, in senso reale o metaforico. Risale all’anno successivo Et la lumière fut (Un incendio visto da lontano, 1989), quasi un documentario etnografico che racconta della distruzione di un piccolo villaggio africano. Entrambi i film vinsero il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia. Sul finire del secolo arrivò Adieu, plancher des vaches (Addio terraferma, 1998), storia di un marabutto (un trampoliere africano) che si intrufola nei ricevimenti chic. Gli fece seguito Lundi matin (Lunedì mattina, 2001), Orso d’argento per la regia al Festival di Berlino e Giardini in autunno (Jardins en automne, 2005), dove uno straordinario Michel Piccoli veste i panni della madre del protagonista. Da ricordare, infine, il suo primo lungometraggio, Iko shashvi mgalobeli (C’era una volta un merlo canterino, 1971), storia di Guia (Gela Kandelaki), un giovane musicista che suona il timpano nell’Orchestra di Tbilisi. Svagato, distratto, sempre in giro tra amici e ragazze, fa fatica a concentrarsi sulla musica, rischiando ripetutamente di essere cacciato dal direttore. Nonostante i rimproveri, però, Guia non si preoccupa affatto di cambiare. Simpatico e svagato flâneur, viene (in)seguito da Ioseliani per le vie della capitale georgiana con la stessa ondivaga leggerezza con cui lui si muove fino al colpo di scena finale.
Bergamo Film Meeting non è soltanto storia del cinema, ma anche attualità della settima arte e questa attenzione viene declinata anche quest’anno in diverse sezioni a iniziare dalla Mostra Concorso che vede in lizza sette lungometraggi di fiction inediti in Italia.

Fainéant.e.s di Karim Dridi in competizione nella Mostra Concorso.

Quest’anno tutte le opere in competizione mostrano un forte elemento in comune: la famiglia e in particolare donne nel ruolo di protagoniste. È una giovane donna, Carola, al centro di Oro Amargo di Juan Olea, anche se è una storia di minatori, e altrettanto giovani sono Elvira, che vive da sempre soltanto con sua madre in un villaggio sami in Lapponia (il film è Biru Unjárga di Egil Pedersen), Tarika, la protagonista dell’omonimo film di Milko Lazarov, vicenda fiabesca e drammatica legata alla formazione ossea della ragazza detta “ali di farfalla”, ereditata dalla madre. Giovane ragazza anche la coprotagonista di Hiver à Sokcho di Koya Kamura e Gina, che ha addirittura sole nove anni nel film omonimo diretto da Ulrike Kofler. Donna adulta è invece la quarantenne già madre di tre figlie che rimane inaspettatamente incinta nel film Od marca do mája di Martin Pavol Repka. Ultimo dei film in gara, Fainéant.e.s di Karim Dridi, racconta a sua volta le avventure on the road di Nina e Djoul, due punkabbestia rimaste senza casa dopo uno sfratto.
Si gareggia anche nell’altra classica sezione, Visti da vicino, che vede la partecipazione di quattordici documentari, produzioni indipendenti provenienti dal panorama internazionale e tutte inedite in Italia. Nella selezione si possono individuare tre filoni narrativi. Una prima tranche di opere è decisamente focalizzata sull’attualità in particolare sui conflitti in corso. Vi appartengono lavori come Dear Beautiful Beloved di Juri Rechinsky dedicato alla guerra in Ucraina, The Jacket di Mathijs Poppe che rivolge il suo sguardo alla Palestina e Afterwar di Birgitte Stærmose, che fa i conti con le ferite lasciate dal conflitto in Kosovo. Il maggior numero dei lavori in concorso si focalizza perlopiù su tematiche sociale eterogenee: la malattia (il diabete in Fais le mort! di Matthew Lancit), oppure le violenze ginocologiche subite da molte donne (Ex Utero di Lili Forestier), mentre una terza area di interesse è quella dei documentari dedicati a comporre dei ritratti personali, racconti di storie assai particolari, alcune di taglio più divertente, per esempio la storia di Dietrich Kuhlbrodt raccontata da Arne Körner in Nonkonform, storia di un novantenne arzillo quanto mai, attore di secondo piano del cinema tedesco con mille storie da riferire.

Generationen von bildern di Johannes Gierlinger, uno dei quattordici documentari in concorso nella sezione Visti da vicino.

Altri ritratti sono più intimi, come Los restos del pasar di Luis (Soto) Muñoz Cubillo e Alfredo Picazo, tutto giocato sulla memoria, sul ricordo di un evento (una processione pasquale in un paesino andaluso) e di un’amicizia, quella del narratore, ai tempi un ragazzino con un anziano pittore.
Al cinema d’autore europeo contemporaneo guarda invece la sezione Europe Now!, che quest’anno propone due personali complete in anteprima nazionale dedicate ad Alice Nellis (Repubblica Ceca) e Christian Petzold (Germania). La regista ceca ritorna a Bergamo dove aveva presentato nel 2000 il suo esordio nel lungometraggio, Ene bene e ancora nel 2008 aveva presentato Tanjosti. Entrambi i film furono premiati e vengono ripresentati in questa edizione assieme ad altri otto lavori (tra cui un documentario), tutti lavori che ruotano intorno al tema della genitorialità, tema esplicitato nel docufilm Adopce: Konkurs na rodice (2014) realizzato seguendo per quattro anni alcune coppie nel loro percorso di adozione. Un tema con variazioni accompagnato sempre da musiche efficacissime, colonne sonore che fanno da protagoniste al pari dei personaggi, fino a essere soggetto stesso della storia nel caso di Revival (2013), che racconta dei quattro membri di una rock band oramai non più giovani che decidono di rimettersi a suonare assieme, a testimoniare della sua versatilità, confermata anche da un altro lungometraggio, Andelé vsedního dne (2014), basato sull’omonimo romanzo best seller del connazionale Michal Viewegh, racconto di quattro angeli alle prese con le fragilità degli esseri umani di cui si prendono cura.

Revival di Alice Nellis.

Corposa e ricca di opere di grande valore è poi la personale dedicata a Christian Petzold, comprendente quattordici lungometraggi e tre corti, i suoi primi lavori. Autore affermato, visto non quanto meriti in Italia, a eccezione del poetico Undine (2020) passato di recente in Rai nella versione doppiata. Il film funge da primo capitolo di una “Trilogia degli elementi” concepita dal regista tedesco, non il primo trittico della sua carriera. In questo caso la vicenda si svolge all’insegna dell’acqua, poi gli ha fatto seguito il fuoco nel 2022 con Il cielo brucia (Roter Himmel), vincitore dell’Orso d’argento alla Berlinale nel 2023. Il suo nuovo film Miroirs No., in fase di ultimazione, non farà parte però della trilogia, ma dovrebbe essere la storia di una giovane pianista che perde il fidanzato in un incidente stradale. Cinema molto cinefilo quello di Petzold, che ama citare autori e generi e a cui capita anche di citarsi. Cinema che calibra spesso assieme noir, thriller e love story, che a più riprese annida in un gioco di sguardi la chiave di lettura dell’intera vicenda. È anche cinema che porta con sé il cambiamento epocale seguito alla riunificazione delle due Germanie e tutto ciò è particolarmente evidente in un’altra trilogia composta negli anni Dieci del nuovo Millennio e svolta sul tema “L’amore al tempo dei sistemi oppressivi”.  I film in questione sono Barbara (2012) con il quale ottenne la vera consacrazione a livello internazionale, un film con la sua attrice prediletta, Nina Hoss, ambientato ai tempi del Muro. La Hoss aveva iniziato a lavorare con Petzold nel 2001 in un film per la TV, Toter Mann, un lavoro che vedeva il regista tedesco cimentarsi in una sua personale variazione de La donna che visse due volte di Alfred Hitchcockdi cui riprende la trama con la storia di un avvocato e di una donna bionda e sola, e di un’attrazione che si trasforma in ossessione.

Paula Beer e Franz Rogowski in Transit di Christian Petzold.

Gli fece seguito Wolfsburg (2003), un mélo che intreccia fili sociali e morali, con protagonista nuovamente Nina Hoss, a cui fece seguito nel 2015 lo splendido Phoenix (noto in Italia con il titolo Il segreto del suo volto), lavoro che è anche un secondo omaggio a Hitchcock, un’altra variazione sul medesimo film, che vanta un finale magistrale affidato sempre a Nina Hoss. La trilogia si chiuse nel 2018 con Transit (La donna dello scrittore), libero adattamento dell’omonimo romanzo di Anna Seghers. Racconta di un rifugiato politico, fuggito da Parigi a Marsiglia durante l’occupazione nazista, che assume l’identità di uno scrittore morto suicida e intreccia una relazione con la vedova del defunto. Film spiazzante, quasi ucronico, perché si svolge nella Marsiglia dei nostri tempi. Questa volta, il ruolo femminile è affidato a Paula Beer, che tornerà nei film successivi di Petzold, ovvero i due capitoli della “Trilogia degli elementi”. Da segnalare ci sono ancora almeno i tre lungometraggi che compongono la prima trilogia di Petzold, quella dei fantasmi, che prese il via con Die innere Sicherheit (2000), seguito da Gespenster (2005) e Yella (2007).
Il programma dedicato alla fiction prevede anche due ulteriori selezioni a tema. La prima riguarda l’omaggio dedicato alla testimonial della campagna Support di BFM 43: Audery Hepburn. Un’occasione per rivedere sul grande schermo classici che non necessitano certo di presentazione, da Colazione da Tiffany (Blake Edwards, 1961) a Sabrina (Billy Wilder, 1954) per un totale di sei lungometraggi. Il secondo appuntamento è con sette film accumunati dalla medesima data di nascita: il 1975. L’iniziativa è targata AFFN, ovvero Archive Film Festival Network, rete nata per promuovere i film d’archivio e del patrimonio cinematografico a cui BFM aderisce. Tra i compiti dell’AFFN c’è quello di dar vita a una sezione del programma con un pacchetto di titoli comuni, denominata AFFN Presents, che fa il suo esordio a Bergamo presentando questi magnifici sette: Una romantica donna inglese (Joseph Losey), Falso movimento (Wim Wenders), Bilancio trimestrale (Krzysztof Zanussi), Hustruer (Mogli, Anja Breien), Professione: reporter (Michelangelo Antonioni), Picnic ad Hanging Rock (Peter Weir) e Flic Story (Jacques Deray). Tra gli eventi speciali vanno anche ricordati i due film che passeranno il testimone a Bergamo Jazz Festival: Il coltello nell’acqua di Roman Polański che vantava una splendida colonna sonora scritta da Krzysztof Komeda, jazzista finissimo, e la sonorizzazione dal vivo a opera di Danilo Gallo del film muto di Ernst Lubitsch, Kohlhiesels Töchter (Due Sorelle, Germania, 1920). Un secondo dittico di spessore è quello proposto per l’appuntamento notturno della Fantamaratona. I due assi calati quest’anno sono Il demone sotto la pelle (1975 anch’esso) di David Cronenberg e quell’autentico masterpiece intitolato L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel. Tra gli eventi speciali, infine, segnaliamo l’anteprima dell’ultimo lavoro di Robert Guédiguian, La gazza ladra (2024).

Valzer con Bashir di Ari Folman.

L’altra grande sezione ospitata dal BFM è quella dedicata al cinema d’animazione che quest’anno si distingue perché focalizzata su una forma ibrida di narrazione: il documentario animato. Si intitola per l’occasione AnReal e la selezione ripercorre le tappe fondamentali del genere, dal primo esempio datato 1918, The Sinking Of The Lusitania di Winsor McCay, autore del fumetto Little Nemo in Slumberland e papà del primo dinosauro, anzi dinausaura protagonista al cinema, Gertie (1914) allo splendido Valzer con Bashir di Ari Folman che incluso nella sezione competitiva ufficiale del 61° Festival di Cannes nel 2008 legittimò definitivamente il genere nei confronti del pubblico e della critica. Ampio spazio è dato ai lavori più recenti che testimoniano l’evoluzione del genere, uno per tutti Kék Pelikan (2023) di László Csáki, presentato in anteprima al 41° Torino Film Festival, è l’incredibile storia di Ákos, Petya e Laci che, nell’Ungheria degli anni Novanta subito dopo la fine del comunismo, trovano un metodo ingegnoso per ovviare ai costi improponibili dei biglietti dei treni, falsificandoli usando semplicemente del detersivo per i piatti e la carta carbone Pelikan Blu. L’animazione si mostra anche il mezzo più idoneo per raccontare favorendo la necessità celare per sicurezza l’identità dei tre.
In definitiva, con oltre 160 film tra corti e lungometraggi, la 43ma edizione del Bergamo Film Meeting sarà una volta di più il crocevia del cinema internazionale in Italia, proponendo inoltre ospiti, incontri, altri eventi speciali, webinar, masterclass, percorsi di visione per le scuole e numerose iniziative.