Benjamin Lew, o suonar sogni
tra le dune di Brussels

Benjamin Lew
Le Personnage Principal
Est Un Peuple Isolé
Stroom, 2019

Musicisti: Benjamin Lew, elettronica;
Steven Brown, sassofoni, clarinetto, organo, pianoforte, sintetizzatore;
Marc Hollander, percussioni, clarinetto, sassofoni, organo, sintetizzatore;
Giles Martin, trattamenti, campionamenti, sintetizzatore, percussioni;
Samy Birnbach, voce;
Luc Van Lieshout, ottoni;
Vini Reilly, chitarra;
Renault Pion, legni (fiati);
Michel Berckmans, corno inglese, fagotto;
Denis Moulin, sintetizzatore, violino, basso, sitar;
Blaine L. Reininger, violino;
Peter Principle, chitarra, basso;
Aurelia Boven violoncello;
Alain Lefebvre, batteria.

Benjamin Lew
Le Personnage Principal
Est Un Peuple Isolé
Stroom, 2019

Musicisti: Benjamin Lew, elettronica;
Steven Brown, sassofoni, clarinetto, organo, pianoforte, sintetizzatore;
Marc Hollander, percussioni, clarinetto, sassofoni, organo, sintetizzatore;
Giles Martin, trattamenti, campionamenti, sintetizzatore, percussioni;
Samy Birnbach, voce;
Luc Van Lieshout, ottoni;
Vini Reilly, chitarra;
Renault Pion, legni (fiati);
Michel Berckmans, corno inglese, fagotto;
Denis Moulin, sintetizzatore, violino, basso, sitar;
Blaine L. Reininger, violino;
Peter Principle, chitarra, basso;
Aurelia Boven violoncello;
Alain Lefebvre, batteria.


Non ci sono campionamenti nella musica di Benjamin Lew, salvo rare eccezioni. A suonarla sono musicisti occidentali, eppure sin dalle prime battute si vola tra dune, minareti e ancor più lontano fino all’estremo Oriente. In azione ci sono solo pochi strumenti in genere familiari dalle nostre parti, talvolta un clarinetto, oppure un violino, o un pianoforte e soprattutto ci sono i piccoli suoni del suo sintetizzatore analogico, sufficienti per far magie, come volare su un tappetto volante verso città invisibili. La musica di Benjamin Lew è indefinibile e dunque inclassificabile. È schietta immaginazione e niente più. Possiede la consistenza della luce filtrata da una tenda che protegge dalla calura pomeridiana del deserto. Una collana di miniature sonore che con l’avvicinarsi della notte rilucono intermittenti forando l’oscurità prima di abbandonarsi al sogno.
La musica di Benjamin Lew è autenticamente senza tempo, conserva intatto tutto il suo fascino, che gioca sull’attesa e su apparenti disvelamenti; cela dentro di sé qualcosa dell’eternità, o quantomeno di una durata che oltrepassa le nostre misure ordinarie. Uno scorrere del tempo che appartiene ai grandi spazi, come il deserto, luogo sempre presente nella musica di Lew, sullo sfondo, al centro, ai margini o in primo piano.

Benjamin Lew è tuttora in attività, ma registra pochissimo, appartiene agli anni Ottanta, alle cose migliori di quella decade, vituperata oltre misura e che invece è tempestata di piccole e grandi gemme, disseminate qui e là ai quattro angoli del mondo.
La pietra preziosa chiamata Lew spunta a Bruxelles all’alba del decennio e ora un discreto sunto delle sue registrazioni arriva grazie all’etichetta Stroom che sistema su un ellepì antologico, Le Personnage Principal Est Un Peuple Isolé, dodici brani provenienti dagli album che registrò con la belga Crammed Discs (partner nell’operazione) per la collana Made To Meisure (MTM), o successivamente inclusi come volumi della serie (i suoi primi due dischi). Inspiegabilmente, la selezione esclude del tutto l’esordio di Lew, incantevole a iniziare dal titolo: Douzième Journée: Le Verbe, La Parure, L’Amour (1982), realizzato a quattro mani con Steven Brown dei Tuxedomoon da poco trasferitisi nella capitale belga.
Una lacuna che può essere colmata visitando la pagina Bandcamp della Crammed Discs: l’album è ancora disponibile in formato digitale (come tutti gli altri) e la pagina propone anche una precedente antologia, ormai risalente al 2003, Compiled Electronic Landscapes 1982-93, comprendente quattro brani del disco d’esordio (le scalette delle due antologie condividono unicamente tre brani).
Fatto sta che, pur lasciando perplessi, la scelta di escludere in toto l’album d’esordio è cosa fatta. Il rammarico viene però compensato dalla bontà di questo cocktail, comunque ben riuscito, che restituisce appieno il gusto rarefatto della musica di Lew. Qui il riferimento al mondo degli alcolici, agitati o mescolati a seconda dei gusti, è opportuno perché quando questa storia prende le mosse Benjamin Lew non fa il musicista, ma bensì lavora in un tropical bar chiamato Le Papaya. Oggi probabilmente lo si indicherebbe come un bartrender piuttosto che un barman.

Al Le Papaya erano soliti ritrovarsi molti artisti operanti a Brussels, soprattutto musicisti, designer, e capitò che vi si recasse anche Steven Brown a festeggiare il suo compleanno. Lo racconta lo stesso Lew nelle frammentarie note dell’album, annotando, tra l’altro, che trascorrere allora buona parte della vita in un bar non gli dispiaceva affatto: in fondo gli bastavano poche ore di sonno e parecchio alcool. Era quindi nel posto giusto, così giusto che di lì a poco chiese a Brown di ascoltare i suoi esperimenti sonori che si dilettava a comporre con un piccolo sintetizzatore analogico.
Era anche il momento giusto, perché la scena musicale belga da alcuni anni dava segni di vitalità in direzioni diverse.
Aveva dato il suo piccolo grande contributo al punk, come testimonia bene una raccolta di un paio d’anni fa, Everything Is Shit. Punk In Brussels 1977-79, da cui sprizzano i suoni ruvidi e sporchi, la rabbia e i ritmi scelleratamente essenziali di gruppi come Chainsaw, X Pulsion e Phallus Band e altre oscure formazioni che non sfiguravano affianco a gruppi (specie inglesi) più celebri.
Altrettanto pimpanti erano le band attive sul fronte dell’elettronica più ritmata, la cosiddetta EBM (Electronic Body Music), a base di riff micidiali e innumerevoli bpm. Capofila furono i Front 242, seguiti da una pletora di agguerritissimi (e sfiancanti) rivali, tra cui i Klinik e i Vomito Negro, per citarne un paio.
Soprattutto, nel 1980 aveva aperto i battenti un’altra etichetta belga negli anni capace di scrivere una bella pagina di storia della musica: Les Disques du Crépuscule. Aprì le danze con un’antologia programmatica, From Brussels With Love, che adunava tra gli altri lavori di Gavin Bryars, Michael Nyman, Harold Budd e Bill Nelson sospesi tra minimalismo e ambient music. Nel giro dell’etichetta finirono belle promesse di allora come il belga Wim Mertens e artisti internazionali come i Cabaret Voltaire, Ludus e Tuxedomoon. È in questa dimensione cosmopolita della capitale belga, mentre sullo sfondo si disegnava una nuova scena nel segno della musica per ambienti di Brian Eno e di quelle possibili di Jon Hassell, che nasce la Crammed Disc. Prese il via nella seconda metà degli anni Settanta sulla base di un’idea musicale di Marc Hollander, musicista inventore del combo sghembo Aksak Maboul, vagamente imparentato con la nascente congrega di Rock in Opposition. La band venne allestita nel 1977 proponendo subito una combinazione davvero singolare di suggestioni musicali senza confini: jazz, elettronica, finte musiche popolari provenienti dai Balcani e dall’Africa, minimalismo.

Hollander lo si ritrova di lì a poco in Gravity (1979), il primo disco da titolare dell’ex Henry Cow, Fred Frith; poi pensò bene di creare una propria etichetta, la Crammed Discs per ospitare musiche nello spirito dei suoi Aksak Maboul. È il 1981 e tra le prime cose l’esordio su disco della sua band, Un Peu De L’Âme Des Bandits e inizia a produrre altre formazioni di confine, tra cui i Family Fodder, i Julverne, i Minimal Compact e gli Honeymoon Killers, tutte dedite alla contaminazione tra i generi, ciascuna a modo suo.
È con la Crammed Discs, appunto, che Lew, pubblica il suo primo disco. Ricorda lo stesso Hollander che in realtà Lew non era affatto un musicista, piuttosto un dilettante illuminato, nel senso più nobile e rinascimentale del termine, perché si dilettava con la medesima grazia nella fotografia, nella scrittura e nelle arti visive. Un non musicista autentico, secondo la definizione di Brian Eno, allora ancora non passata alla storia. Sulle prime, infatti, la sua attività artistica principale consisteva nel produrre una fanzine intitolata Fossile (sottotitolata 100.000 ans d’art et de culture, son influence sur la pensée et la litterature). Conteneva anche un flexy-disc con i primi esperimenti sonori di Lew, fortemente debitori dei cut-up di William Burroughs. La tirò in un bel po’di copie, ma tra un trasloco e un incendio quasi tutto andò perso, ma in qualche modo una copia finì tra le mani di Hollander. Lew intanto provò a insistere con la musica acquistando un piccolo sintetizzatore con il quale diede forma ad alcune sue idee e le suonò a Steven Brown proponendogli di far qualcosa insieme.
Il cerchio si chiuse, Brown accettò, Hollander propose a Lew di incidere per lui e così nacque Douzième Journée: Le Verbe, La Parure, L’Amour, in pratica un disco in trio con Hollander coinvolto anche come musicista e con il prezioso tecnico del suono Gilles Martin. Di lì a poco Hollander varò la collana Made To Measure, pensata per ospitare musiche possibili e in diversi casi realmente utilizzate per film, sonorizzazioni, video, spettacoli e altro.

Il primo volume accolse musiche per balletto dei Minimal Compact, un estratto dalla colonna sonora di un filmato privato degli Honeymoon Killers e altre per una commedia dedicata alla vita di Vladimir Majakovskij a opera dei suoi Aksak Mabuol, altra musica da film dei Tuxedomoon (per Het Veld van eer di Bob Visser) e un contributo di Lew pensato per accompagnare una sfilata di moda intitolata Huit Jeunes Stylistes Limbourgeois. Da lì prese il via una serie che andrebbe interamente riscoperta, il cui titolo più famoso è quello dell’album con le musiche di John Lurie per Stranger Than Paradise di Jim Jarmusch. Successivamente, in occasione delle ristampe su compact disc, vennero inclusi anche album originariamente non usciti nella collana, tra cui il primo disco di Lew e A Propos d’un Paysage, il secondo album che pubblicò nel 1986, realizzato sempre a quattro mani con Brown. È da qui che parte la nuova antologia.
Entrando nel dettaglio dell’album, la scaletta propone quattro brani tratti da A Propos d’un Paysage. A dare una mano nell’occasione, il chitarrista Vinni Reilly, meglio noto come Durutti Column, che si aggiunse in alcuni brani ai soliti Hollander e Martin. Arrivano da questo album i due brani che aprono le danze: Profondeurs des eaux des laques e Moments, il primo arabescato con tocchi di malinconia e agitati da rapidi battiti di ciglia, il secondo che smarrisce con la sua andatura da tango suonato in una kasbah.
Sul primo lato troviamo anche il terzo brano estratto dall’album del 1986, Face a ce qui se derobe, tutto sviluppato sull’elegante contrasto tra ritmo elettronico appena più insistito e fiati umbratili, vagamente jazzy. Sul lato B, troviamo Etendue, ultimo tra quelli selezionati da A Propos d’un Paysage, dove la musica di Lew, lasciando del tutto dune, villaggi e paesaggi assolati, si eleva verso una dimensione spirituale, ultraterrena, con un coro di voci eteree accompagnate da poche note sghembe al piano di Brown. È uno dei rari casi in cui Lew ricorre a un nastro che reitera il canto registrato chissà dove, un po’ come la strofa cantata dall’ubriaco colta da Gavin Bryars e orchestrata in Jesus Blood Never Failed Me Yet (1975), che inaugurò a sua volta un’altra collana, la celebre Obscure di Brian Eno.
Il disco successivo fu Nebka (1988, il titolo indica un tipo particolare di duna) e ne vengono proposte tre delizie: Qu’ill fasse nuit (sul lato A con un altro Tuxedomoon, Blaine L. Reininger al violino), Joyeux regrets imprécis e Hommes assis devant un mur chaulé. Se il primo fa spuntare nel bel mezzo di un mercato mediorientale un motivetto danzabile per il clarinetto di Hollander, gli altri due sono fatti della sostanza di cui sono fatte le fiabe delle mille e una notte: Joyeux regrets imprécis cerca ancora una volta di balzare in direzione dell’altrove con il beneplacito di Erik Satie, e Hommes assis devant un mur chaulé si spinge dentro i misteri di notturne kasbah. Entrambi sono opera del solo Lew alle prese con le sue elettroniche.

Altri due brani arrivano da un lavoro minore e qui hanno valore di testimonianza storica, ma aggiungono poco, anzi tolgono. Arrivano da un altro disco realizzato in coppia, questa volta con Samy Birnbach, ovvero la voce dei Minimal Compact: When God Was Famous (1989). Il disco metteva in musica poesie (il sottotitolo infatti è: A tribute To Poetry) di Paul Celan, Gottfried Benn, Paul Éluard e altri di identico valore. Ne venne fuori un disco di canzoni, dove solo a tratti il sottofondo creato da Lew incanta come altrove prima di essere risucchiati dalla voce qui quantomai monocorde di Birbach. I due brevi brani selezionati sono The Wheel su testo di William Butler Yeats e Little Birds Sit On Your Shoulders, e qui il poeta è Kenneth Patchen. A rendere ancor più curiosa la scelta, va annotato che quest’ultimo brano non compariva nell’ellepì originale, ma soltanto come bonus track nell’edizione compact disc.

Infine i tre brani dall’ultimo disco realizzato da Lew nel 1993, Le Parfum du Raki. Il brano eponimo è posto sul primo lato e ancora una volta sembra suggerire una storia che come le altre vola via come sabbia tra le dita. È uno dei brani dove maggiormente la finzione etnica è svolta alla perfezione, con suoni miscelati di voci in una lingua indistinguibile, fagotto, sitar, percussioni e i consueti mini arazzi elettronici. Da qualche fumosa contrada sembra provenire Ces personnages, mentre La magnifique alcolique è un dichiarato omaggio di Lew a una donna bellissima, sempre assai sbronza e non solo, che frequentava Le Papaya. Anche ignorandone il retroscena si avverte una passionalità più accennata che altrove, un fremito, un sogno perso. Chiude la selezione e l’album mise fine alla produzione discografica di Lew.
È riemerso nel 2012 riuscendo a registrare sei composizioni in compagnia di Alinovsky e Luc Van Lieshout, con lui già ai tempi di Le Parfum du Raki. Poca roba dal momento che Lew, racconta Alinovsky, ha circa duecento composizioni rimaste incompiute. Tant’è, la mini raccolta Tant De Temps è uscita solo in edizione digitale (mp3) inafferrabile come un miraggio. In fondo, che altro è la musica di Benjamin Lew?

Ascolti
  • Autori vari, Made To Measure Volume 1, Crammed Disc, 1984.
  • Benjamin Lew, Steven Brown, Douzième Journée: Le Verbe, La Parure, L’Amour, Crammed Disc, 1982.
  • Benjamin Lew, Steven Brown, A Propos d’un Paysage, Crammed Disc, 1986.
  • Benjamin Lew, Nebka, Crammed Disc, 1988.
  • Benjamin Lew, Le Parfum du Raki, Crammed Disc, 1993.
  • Benjamin Lew, Alinovsky, Luc Van Lieshout, Tant De Temps, file mp3, no label, 2012.
  • Samy Birnbach, Benjamin Lew, When God Was Famous, Crammed Disc, 1989.