Non è facile non è difficile definire
“il cinema indipendente italiano”.
Più probabile che sia impossibile.
(Enrico Ghezzi)
È possibile oggi definire il cinema indipendente italiano? Forse di fronte alla crisi del settore cinematografico questa domanda andrebbe riformulata: può esserci oggi in Italia un cinema indipendente? Il crollo dei consumi culturali, le difficoltà di ripresa di sale d’essai e festival mettono a dura prova i produttori più economicamente deboli. Eppure tentativi di apertura di spazi di circolazione continuano a essere proposti. Per certi prodotti una rete informale di festival, sale, cineforum e associazioni è necessaria per trovare attimi di interesse e quindi sviluppare nuove possibilità creative, produttive, collaborative. Parte anche da queste premesse la nuova edizione del Bellaria Film Festival per rinascere.
Dopo anni in cui il festival è stato dedicato interamente al cinema documentario, una nuova direzione organizzativa (l’associazione locale Approdi) e artistica (Daniela Persico, selezionatrice per il Locarno Film Festival) ha scelto una via più intrepida e ambiziosa per costituire nuovi spazi di visibilità per la produzione indipendente italiana. Una via glocal si potrebbe dire, attenta al tempo stesso, già nell’organizzazione, sia al rapporto con il territorio sia alla costituzione di una cinefilia consapevole della scena globale. Ma è nell’ambito estetico che emerge maggiormente l’ambizione glocal con l’esposizione di una serie di produzioni nazionali dall’ambizione internazionale e di qualche prodotto globale circolato in grandi festival.
Una selezione all’insegna dell’innovazione
Alla produzione nazionale sono dedicati i due concorsi: Gabbiano, a cui questo articolo si dedicherà nella seconda parte, cerca di tracciare nuove vie sperimentali nella produzione italiana; Casa Rossa presenta i prodotti più pregiati di quel cinema indipendente italiano che con difficoltà e solo grazie alla buona volontà e alla forza delle reti informali riesce a circolare nel territorio nazionale. Piccolo corpo (Laura Samani, 2021), Il legionario (Hleb Papou, 2021), Mother Lode (Matteo Tortone, 2021), Re Granchio (Rigo de Righi, Zoppis, 2021), Atlantide (Yuri Ancarani, 2021), Calcinculo (Chiara Bellosi, 2021), titoli apparsi fugacemente nelle sale italiane, nonostante siano le produzioni nazionali che maggiormente tirano nel circuito globale dei festival. Tra i prodotti internazionali invece sono stati presentati in anteprima nazionale l’Orso d’oro Alcarràs (Carla Simón, 2022, nelle sale in questi giorni) e il premio alla Giuria a Cannes Memoria (Apichatpong Weerasethakul, 2021). Un accostamento che vorrebbe essere proficuo per tutti, spingendo la produzione nazionale a nuove pratiche sempre più globali ma anche la cinefilia a un sentire più internazionale.
Omaggio a Enrico Ghezzi
Non solo innovazione però, ma anche fedeltà alla storia di un festival che quest’anno festeggia la quarantesima edizione e che per anni è stato gestito da un trio di celebri critici come Morando Morandini, Gianni Volpi ed Enrico Ghezzi. Proprio a Ghezzi sono state dedicate molte occasioni del festival tra cui delle letture dal suo libro L’acquario di quello che manca (2021) interpretate da famosi attori come Luigi Lo Cascio, Lino Musella e Lucia Mascino. Ghezzi è l’esponente più celebre di una generazione di cinefili appassionata di oggetti filmici non facilmente identificabili. Il cinema indipendente italiano del tempo rappresentava una sfida alle categorie definitorie della critica e i festival nati in quegli anni (Torino, Filmmaker, Bellaria) si originavano proprio da questa tensione tra sperimentazione critica e sperimentazione produttiva. Si può considerare la nuova edizione del BFF una ripresa rafforzata di questa originaria tensione.
L’Ors di Alessandro Abba Legnazzi (2022, 85′).
Il concorso Gabbiano di quest’anno presenta una selezione di film sfuggenti e radicali, in pieno accordo con lo spirito eversivo del concetto di indipendente. È quindi solo attraverso un’analisi di questi prodotti che si può compiere lo sforzo di definire cos’è il cinema indipendente italiano. Il compito non è dei più semplici viste le molteplici differenze produttive tra i film in concorso: formati diversi (pellicola, digitale), durate diverse (cortometraggi, lungometraggi), dimensioni produttive diverse (registi produttori di sé stessi o produzioni più industriali). Eppure da queste produzioni si possono scorgere caratteri comuni: una certa propensione al reale e all’ibridazione di linguaggi. Reale che non significa realismo nudo e crudo, ma un “realismo impuro” (Nausica Tucci, in Cervini, Tagliani, 2020), una realtà deformata, attraversata dalla finzione, se non a volte una finzione come verità più vera della realtà. Una realtà che si rivela incontrollabile, imprevedibile, imponendo al racconto strutture non definite ma in divenire in cui i linguaggi di genere si compenetrano. È compito del regista incanalare in un processo questa realtà incontrollabile, gestire il suo carattere instabile. Il cinema indipendente diviene così discorso sull’alterità e il cinema macchina etica, produttore di sintesi, sempre parziali, tra le differenze.
I film della sezione Gabbiano
Tra i film esemplari della sezione vi è L’Ors (Alessandro Abba Legnazzi, 2022, 85′), cronaca in forma di reenactment dell’uccisione dell’orso M13 nella Val Poschiavo (Svizzera). La vicenda si dipana nella sua complessità attraverso una moltiplicazione di punti di vista, rispetto al cui proliferare, il regista pare distanziarsi, spinto da uno sguardo antropologico. Preferisce indagare il modo di costituzione dello sguardo umano verso l’animale, annotare i conflitti d’interpretazione e di pratiche gestionali del rapporto con l’altro. Un uomo-orso si aggira nella valle innescando uno stravolgimento formale che trasforma la cronaca in horror con l’intento di provocare nello spettatore i suoi istinti di terrore verso alterità. Di fronte al pericolo dell’altro vengono implementati confini.
Per tutta risposta il film apre la spazialità ai molteplici modi di poterla cogliere e a una possibile e diversa convivenza con l’animalità. Anche Spartivento (Marco Piccarreda, 2022, 39′) tratta il rapporto tra differenza e spazialità e la ricerca di una possibile nuovo rapporto, stavolta, di cura. Il giovane Ariele passa l’estate nella torrida Capo Spartivento (RC) in compagnia della nonna Rosetta. Ai continui tentativi di Ariele di spezzare l’immobilità dello spazio si contrappongono quelli di Rosetta di indirizzare l’irrefrenabile erranza di Ariele. In questa dialettica vi si può scorgere la stessa propensione del regista da una parte a cogliere l’elemento instabile che deforma il reale e dall’altro a disciplinare l’attore Ariele, a trasformare questo rapporto in una narrazione, a dirigere la realtà verso la finzione. Rispetto ai tentativi di Ariele di uscire dall’inquadratura, di evitare il rapporto con l’altro, il cinema può costituire uno spazio affettivo di prossimità.
Piaga di Gaetano Crivaro (2022, 20′).
Il tempo pandemico entra nel cinema con i suoi risvolti più cupi: isolamento, desertificazione dei sentimenti e della socialità. Alcuni film recepiscono maggiormente il senso di desolazione, la distopia realizzata del presente. Ma la realtà si coglie solo attraverso una forte astrazione, così attraverso quadretti pittoreschi e maschere grottesche Piaga (Gaetano Crivaro, 2022, 20′) trasforma un’ambientazione rurale in un paesaggio post-apocalittico. Una beffarda ironia diviene la forza con cui si può svelare un’umanità indifferente rispetto al proprio agire.
In questa rassegna di spazi immobili titolo programmatico appare Il posto sospeso (Manuel Zani, 2022, 51′), ambientato nel borgo di Montetiffi (FC). Con le sue ritualità e tradizioni, il tempo, come nel cinema di Ermanno Olmi, sembra essersi fermato. Eppure continua a scorrere, con il passare delle stagioni, i racconti di tempi passati degli anziani del villaggio e il senso di morte che si approssima. L’isolamento pandemico diviene quindi occasione per riflettere sull’anzianità e il rapporto con la mortalità.
Badabò di Stefano Cau (2022, 52′).
Ma la vecchiaia può essere anche apertura a una rinnovata vitalità. Lo dimostra Badabò (Stefano Cau, 2022, 52′) cronaca della musicista sarda Rossella Faa che in seguito alla pandemia si reinventa assistente geriatrica.Momenti di compagnia con gli anziani diventano occasioni di apertura a un nuovo senso della propria vita, ma anche di apertura alla finzione. È proprio la musica a rigenerare la vita, ma anche a trasformare il documentario in musical, la cronaca in spettacolo.
Tra isolamento e apertura a una nuova comunanza anche il vincitore del concorso Quello che conta (Agnese Giovanardi, 2022, 45′), un altro documentario stretto sul punto di vista del protagonista, questa volta un professore di matematica di Palermo costretto ad affrontare la DAD. Con uno sguardo sincero il film coglie gli attimi di socialità tra maestro e allievi, facendo intravedere la possibilità di una scuola diversa in cui l’accrescimento spirituale e lo sviluppo di legami sociali possano avere pari dignità rispetto alla mera acquisizione di nozioni. Una narrazione lineare dal lockdown al ritorno alla presenza scandisce le tappe del progressivo sviluppo di un corpo sociale.
Una claustrocinefilia di Alessandro Aniballi (2022, 84′).
Altro titolo esemplare sul tema lockdown è Una claustrocinefilia (Alessandro Aniballi, 2022, 84′) lettera di un cinefilo al proprio pc in tempo di lockdown. Giunti dopo oltre un secolo alla prima chiusura delle sale cinematografiche, la cinefilia si riversa sui dispositivi di visione privata con cui stringe un rapporto affettivo. La visione privata di film diventa pharmakon, sia medicina per sopperire a una depressione sia veleno, ossessione per il cinefilo. Questi pare sempre più preso in una dialettica tra desiderio di avvicinarsi sempre di più, di toccare le immagini, e consapevolezza di dover staccarsi, di tornare a una propria vita. Attraverso le immagini tra le più iconiche della storia del cinema viene glorificata questa Magnifica Ossessione. Immaginario sociale e immaginario affettivo arrivano così a coincidere rivelando l’impatto fenomenologico del cinema.
Appendice ad un film girato in estate di Samira Guadagnuolo e Tiziano Doria (2022, 12′).
L’intimità nel proprio rapporto con le immagini fuoriesce anche dallo sperimentale Appendice ad un film girato in estate (Samira Guadagnuolo, Tiziano Doria, 2022, 12′), diario di appunti da outtakes del lungometraggio La Zita (Samira Guadagnuolo, Tiziano Doria, 2021). Qui i pensieri sul rapporto con l’amore diventano pensieri sul proprio rapporto affettivo con le immagini. Un’atmosfera melanconica rivela però la distanza insormontabile tra le cose e le immagini, tra l’oggetto d’amore e il nostro affetto, tra il mondo e l’uomo.
L’archivio è protagonista anche in Enklave (Marco Balestri, 2022, 39′), ma dalla dimensione personale-affettiva si passa a una dimensione storico-sociale. Un campo di prigionia denazificante di Rimini è stato rimosso dalla storia, sostituito dalle architetture di oggi. Lunghe panoramiche della riviera e delle sue abitazioni mettono lo spettatore di fronte all’impossibilità di immaginare questa vicenda. Anche il racconto in voice-over sembra inerme davanti alla grandezza del rimosso. Quegli stessi luoghi una volta campo di prigionia per nazisti si sono trasformati in luogo d’intrattenimento per turisti tedeschi. Allo stesso modo il film diviene una city symphony, una vitalità spettacolare sottolinea la distanza che ci separa da qualunque elaborazione dell’accaduto.
Enklave di Marco Balestri (2022, 39′).
Lo spazio apre alla storia collettiva anche in La Grande Quercia (Maria Cristina Giménez Cavallo, 2022, 16′) dove, protagonista della vicenda, una quercia rimane impassibile ad assistere alla danza dell’umanità. Un lungo piano sequenza sfonda ogni temporalità e sinuosamente segue le lotte del popolo nella Storia, come nel cinema di Miklós Jancsó. La natura si fa qui simbolo di memoria storica di lotte ambientaliste e sociali per un mondo migliore suggerendo una connessione tra rispetto per la natura e spinta dell’uomo al progresso sociale.
Chiudiamo la carrellata di film della sezione con il film che meglio esprime il fervore stilistico della produzione indipendente e la sua coniugazione con un discorso etico. The Walk (Giovanni Maderna, 2021, 62′) è un tour de force della macchina da presa attorno alla performance del proprio attore, Lino Musella, qui nei panni di Robert Walser, scrittore del racconto da cui è tratto il film, La Passeggiata. Film di pedinamento per le vie di Roma, la macchina segue ossessivamente il camminare del suo personaggio cosicché la potenza del corpo errante di Musella-Walser inizia a coincidere con il gesto del camminare. “Il cinema riconduce le immagini nella patria del gesto”, scriveva Agamben (1996). Il gesto rende apparente l’essere entro il linguaggio dell’uomo. Allo stesso modo gli sbalzi della macchina a mano e i tagli di montaggio della pellicola spezzano il senso di realismo esibendo il linguaggio cinematografico come tale.
The Walk di Giovanni Maderna (2021, 62′).
“Il gesto fa apparire l’essere-in-un-medio dell’uomo e, in questo modo, apre per lui la dimensione etica”, conclude Agamben e, forse, anche Maderna. In un’era in cui il camminare appare perduto, la sua ripresa come gesto ha la capacità di rivalutare ogni altro atto riportando l’uomo alla questione dell’uso che si fa del proprio agire. Smarrito nello spazio buio della sala, lo spettatore s’imbatte in oggetti senza scopo, aperti all’interpretazione. Esposto al flusso incontrollato del reale, riscopre il cinema come luogo di incontri imprevisti. Viene infine riportato alla dimensione etica, all’uso che si fa della realtà. Lo spettatore si immerge in mondi per poter rivalutare il proprio linguaggio del mondo, riconsiderare spazi e tempi, rileggere la propria affettività con gli oggetti d’amore, riaprirsi a rapporti di convivenza. Al critico non resta che l’impervio compito di una decifrazione parziale di segni sfuggenti per indirizzare verso possibili usi di certo cinema. Ma se si cerca una definizione compiuta del cinema indipendente italiano bisogna deporre ogni velleità e concordare con Ghezzi: impossibile.
- Giorgio Agamben, Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino, Bollati Boringhieri, 1996.
- Alessia Cervini e Giacomo Tagliani (a cura di), La forma cinematografica del reale. Teorie, pratiche, linguaggi. Da Bazin a Netflix, VerbaManent, Palermo, 2020.
- Daniele Dottorini, La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo, Mimesis, Milano-Udine, 2018.
- Enrico Ghezzi, L’acquario di quello che manca, La nave di Teseo, Milano, 2021.