I favolosi anni Ottanta
sono uno stato d’animo

Arnaldo Greco, Pasquale Palmieri
La nevicata del secolo
L’Italia nel 1985
Il Mulino, Bologna, 2024

pp. 241, € 16,00

Arnaldo Greco, Pasquale Palmieri
La nevicata del secolo
L’Italia nel 1985
Il Mulino, Bologna, 2024

pp. 241, € 16,00


“La nevicata record del 1985… avrà anche paralizzato l’Italia ma tutti noi ce lo ricordiamo come un qualcosa di meraviglioso… alzino la mano i vecchietti… chi c’era nel 1985?”. Così un post sul gruppo Facebook Solo anni 80, che negli ultimi quattro anni ha raccolto 11.800 like, 5.000 condivisioni e oltre 3.000 commenti. Troviamo in questo meme tipicamente internettiano tre elementi evidenziati nel libro La nevicata del secolo di Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri. Il primo è il ricordo “meraviglioso” che sopravanza la consapevolezza dei problemi che la grande nevicata del gennaio 1985 provocò nel Paese: i problemi, dopotutto, passano, mentre i ricordi restano. Così scrivono i due autori:

“Imponiamo una metamorfosi anche agli eventi tragici, valorizzando nei nostri racconti i segmenti di segno positivo. Così la crisi energetica del 1973 diventa il ricordo delle domeniche a piedi, il terremoto del 1980 diventa il ricordo delle notti in macchina ad ascoltare la radio, la strage di Capaci diventa il ricordo delle lenzuola bianche ai balconi, il delitto di via Poma si confonde con il sapore dei gelati confezionati che si mangiavano d’sestate, quando il prezzo era ancora esposto in lire e non sembrava così spaventosamente divorato dall’inflazione”.

Il secondo elemento è che, nel ricordo, l’evento assume contorni iconici nonostante l’eccezionalità venga facilmente ridimensionata dalla comparazione storica. Certo Milano fu colpita dalla più forte nevicata del secolo, ma per esempio la più abbondante nevicata a Roma risale al 1965 e a Palermo al 1980. Tuttavia, l’evento del 1985 entra prepotentemente nella memoria collettiva, e qui si insinua il terzo elemento: il suo utilizzo per costruire una “memoria generazionale” da contrapporre, chiaramente, ai tempi presenti. “Chi c’era nel 1985?”, chiede l’autore del post, riferendosi a “vecchietti” in modo evidentemente ironico, perché tra coloro che rispondono c’è anche chi all’epoca era poco più di un bambino e ricorda i giorni trascorsi a casa perché le scuole erano chiuse, e che oggi non ha nemmeno cinquant’anni. Ma nell’auto-definirsi “vecchietti”, i commentatori stanno al gioco e intendono così stabilire un solco identitario tra “chi c’era” e “chi non c’era”, ossia tra le generazioni del Baby-Boom e degli X da un lato e quelle che sono venute dopo, che non possono sapere e nemmeno immaginare cosa volesse dire vivere in quegli anni “formidabili”. Di fronte a queste considerazioni, Arnaldo Greco – giornalista – e Pasquale Palmieri – storico dell’età moderna – tentano un’operazione decisamente impegnativa: cercare di ricostruire, tra cronaca e storiografia, cosa fu e cosa rappresentò (che sono due cose, evidentemente, diverse), la nevicata del 1985. Impegnativa perché destinata a impantanarsi a ogni piè sospinto nelle sacche della nostalgia, problema che gli autori riconoscono fin dalle prime pagine (“ma senza la nostalgia, esisterebbe questo libro?”) e a cui si arrendono nelle ultime, riconoscendo che in fondo non è possibile – ancora – fase storia di un passato che non passa, che è talmente inscritto nella memoria collettiva da rappresentare qualcosa a metà tra un eterno presente e un nostalgismo appiccicoso come la melassa. Complice, del resto, una rievocazione che – riconoscono gi autori – “comincia fin troppo presto”, già con quel Cosa resterà degli anni ’80 cantata da Raf (1989), e che non si ferma più, passando dal film Notte prima degli esami (Brizzi, 2006) alla serie Stranger Things (2016-in corso) senza alcuna soluzione di continuità, gli anni Ottanta hanno finito per penetrare anche nelle coscienze di coloro che all’epoca non c’erano, o erano appena nati: i Millennials e gli Z-Gen che per quel periodo provano “anemoia”, termine che designa la nostalgia provata per un tempo mai vissuto, perché interiorizzata dai ricordi dei genitori o appunto dalle rievocazioni mediatiche insistenti.

Due storie parallele
La nevicata del secolo è, da questo punto di vista, un’opera di riflessione sull’impossibilità di fare storia di un’epoca ancora troppo vicina a noi, al punto da rappresentare una sorta di “eterno presente”. Gli anni Ottanta non sono mai finiti. Ma quali anni Ottanta? E quale 1985? Evidentemente non quello che, nel suo messaggio alla nazione nel Natale 1985, Elisabetta II riassumeva con una formula tranchant: “Nothing is going right in the world”. I giornali che la regina Elisabetta aveva sul tavolo erano – mutatis mutandis – gli stessi che gli italiani leggevano in quei mesi, e che raccontavano di un anno drammatico come pochi in quel decennio: il più sanguinoso in termini di vittime di incidenti e attentati sugli aerei (quasi duemila), con drammatici dirottamenti finiti in bagni di sangue e attentati negli aeroporti (tra cui Fiumicino); il sequestro dell’Achille Lauro; il terremoto in Messico, che fece oltre 30.000 morti; le stragi negli stadi di Bradford e dell’Heysel; il terribile disastro della Val di Stava, un nuovo Vajont che fece oltre duecento vittime; l’esplosione del vulcano Nevado del Ruiz, in Colombia, che fece oltre 20.000 vittime; la carestia in Etiopia, che causò quasi un milione di vittime. E invece, nel ricordo il 1985 sembra l’apice – ricordano gli autori – di una belle époque, e la memoria della grande nevicata si mescola con il mito nazionalpopolare della settimana bianca, sdoganata da Vacanze di Natale (1983), nel quale per la prima volta la meta un tempo esotica di Cortina d’Ampezzo risulta alla portata di (quasi) tutte le tasche. In questa confusione di immaginari, la nevicata è il “piccolo risarcimento” per quella residua parte di proletariato che non si può permettere né Cortina né altre mete sciistiche, e si diverte a fare pupazzi di neve al Vomero o discese con slittini improvvisati a Trinità dei Monti. L’apparente discontinuità rispetto ai nostri tempi, data dal fatto che quella dell’85 fu effettivamente una delle ultime grandi nevicate in una Italia in progressivo riscaldamento – e proprio in quegli anni, ci ricordano Greco e Palmieri, prende forma la coscienza dei cambiamenti climatici –, è mitigata dunque dal fatto che l’immaginario degli anni Ottanta non è mai tramontato, né mai tramontato è quell’«edonismo reaganiano» su cui tanto insisteva Roberto D’Agostino ospite di Quelli che la notte, né le disuguaglianze economiche da allora destinate a impennarsi, né l’affermarsi del terziario avanzato, né il turismo di massa, né l’anti-politica. In questo senso risulta di particolare efficacia la citazione che Greco e Palmieri riportano da 1992, la serie con Stefano Accorsi (2015) in cui nella prima puntata il personaggio che impersona Marcello Dell’Utri, all’epoca dirigente di Publitalia ’80 – il cui nome stesso designa l’eccezionalità di un’epoca – respinge l’affermazione che “non siamo più negli anni Ottanta” replicando con un’osservazione che ha il sapore della distopia:

“Gli anni Ottanta sono uno stato mentale, possono tornare e durare per sempre, dipende solo da voi”.

Ascolti
  • Raf, Cosa resterà degli anni ’80 in Cosa resterà…, Warner, 1989.
Visioni
  • Fausto Brizzi, Notte prima degli esami, Rai Cinema, 2006 (home video).
  • Giuseppe Gagliardi e Stefano Accorsi, 1992, Sky Atlantic.
  • Carlo Vanzina, Vacanze di Natale, 1983; Filmauro, 2022 (home video).