L’idea di catalogare e descrivere gli esseri viventi è probabilmente antica quanto l’uomo: non possiamo sottovalutare il potere delle pitture rupestri, in genere tanto accurate e realistiche quanto antiche, e probabilmente di grande significato per chi le ha realizzate. Le ragioni che l’uomo può trovare per compilare una lista di animali (e di piante, in diversi casi) sono le più varie, nascendo certamente da un’esigenza strettamente materialistica: quando trovare questi animali nella nostra zona di caccia? E come cacciarli? Quante volte un simile discorso deve essere stato intrapreso dai nostri antenati; però probabilmente questi concetti, di assoluta necessità per una tribù di cacciatori, potrebbero essere stati abbelliti da aneddoti, basati su reali esperienze, su osservazioni (magari del tutto fraintese) e persino su invenzioni (le barzellette sui pescatori e sulle loro idee di dimensioni si sprecano anche oggi).
Osservare (e immaginare) la natura
A un certo punto della cultura umana, l’esigenza di narrare, di descrivere, si è spostata alla sfera della divulgazione naturalistica. Non più manuali di caccia, o cataloghi ritualistici per propiziare l’abbondanza di prede, oppure per evitare gli incidenti di caccia: i volumi delle storie naturali si staccano, paradossalmente, dalla natura stessa, per diventare metodi di insegnamento morale. Gli animali si trasformano in esempi, come negli scritti di Esopo, e poi diventano dei veri e propri casi studio per dimostrare o contrastare teorie filosofiche, spesso ignorando del tutto la realtà, o basandosi su dicerie e voci popolari (l’illustre Plinio il Vecchio fu campione in questo); persino Aristotele cedette spesso alla tentazione di inserire “leggende metropolitane” (ci si perdoni il termine) nella sua opera.
Nel medioevo cristiano i bestiari smettono definitivamente di essere opere di divulgazione naturalistica (se mai lo sono state) e indossano l’abito di opere morali: gli animali vengono descritti e catalogati, spesso inventati senza remore, in base a quanto i loro comportamenti si sposino o dissentano dall’insegnamento morale ecclesiastico; la volontà, spesso la necessità di dimostrare le proprie tesi con una sorta di bollino di garanzia dato dagli scritti dei predecessori diviene più che una moda, quasi un requisito per questo tipo di opere, che arrivano a dare poche o nessuna informazione sul modo di vivere degli esseri descritti, se non qualche nebuloso suggerimento in genere tratto da opere letterarie e non dall’osservazione diretta (d’altronde, l’Uomo stava perdendo progressivamente la necessità di osservare la natura e stava ormai stabilizzandosi in un universo fortemente antropocentrico).
Un libro-mondo
Arriviamo dunque a Caspar Henderson, autore di documentari per la BBC e collaboratore di testate divulgative del calibro del New Scientist, e al suo Libro degli esseri a malapena immaginabili pubblicato da Adelphi: in poco più di 540 pagine, Henderson ci propone una carrellata di organismi a suo avviso bizzarri, e non è che abbia torto: pochi sono gli organismi sul pianeta che non potremmo definire tali. Semmai bizzarra è la trattazione che il giornalista e scrittore inglese ne fa. Henderson non nasconde il suo intento sin dall’introduzione: esperto principalmente di diritti umani, energia e questioni ambientali, non si limiterà a descriverci gli animali di cui parla (anzi, spesso nemmeno li descriverà), bensì usa ciascuna creatura come un vero e proprio trampolino per lanciarsi in voli pindarici che toccano una vasta gamma di argomenti, sempre con un attento occhio all’umanesimo o alle scienze “elette” (matematica, chimica e fisica), mentre di naturalistico troveremo ben poco.
Il suo scopo, tuttavia, è esattamente quello di scrivere un bestiario contemporaneo: di parlare del pensiero umano usando come scuse gli animali. Il concetto è perfettamente espresso, per esempio, nel capitolo riguardante Iridogorgia, un corallo dalle forme a spirale: nelle ventotto pagine dedicate a questa straordinaria colonia, circa una parla davvero di Iridogorgia, mentre il resto riguarda la forma spirale, i virus e la scoperta del DNA. Scorrendo i numerosi ritratti, talvolta impareremo qualcosa di nuovo sugli organismi trattati, ma molto più spesso inseguiremo Henderson in narrazioni riguardanti la letteratura o la storia, tanto è vero che perderemo di vista molto presto l’animale che dà il nome al capitolo, per apprendere factoids su tanti altri argomenti.
Infinite forme bellissime
Bisogna affrontare questo libro, quindi, con una ben precisa mentalità: se cercate qualcosa che vi illustri l’ecologia o il comportamento degli animali, dovete spostare altrove la vostra attenzione; ma se ciò che cercate è un brillante esercizio letterario (sebbene a volte con citazioni talmente complesse da essere comprensibili solo da specialisti, e con qualche eccesso come frasi in altre lingue non tradotte e non tutti siamo poliglotti), che, come gli antichi bestiari, sfrutti il pretesto di descrivere la natura per offrire al lettore una panoramica della cultura umana sfaccettata e variegata, Il libro degli esseri a malapena immaginabili non può non essere apprezzato. Henderson dimostra una scarsa dimestichezza con le scienze naturali quando commette errori che per uno studioso di organismi viventi sono gravi, ma che passeranno certamente quasi del tutto inosservati al lettore non versato, per esempio, in paleontologia: un po’ di confusione sulle prime forme pluricellulari, sulle comparse di insetti e uccelli, o sull’apparente dimenticanza di citare Tiktaalik come primo probabile vertebrato “terrestre” (fossile invece citato persino in una canzone dei Nightwish). Dobbiamo però considerare che nulla tolgono, queste sviste, all’apparato letterario messo su da Henderson.
La lettura del volume risulta una sorta di avventura da scoprire pagina per pagina: avvincente in alcuni punti, più ostica in altri, ma destinata indubbiamente a lasciare traccia sul lettore. Alla fine di ogni capitolo, persino un lettore esigente (come l’autore di questo articolo, che si occupa di zoologia e paleontologia), si trova invariabilmente a porsi tante domande, che è esattamente lo scopo di un “bestiario” come lo descrive Henderson nella prefazione: contribuire all’apertura mentale del lettore, spingerlo a chiedersi cose, dare indizi quasi come semi di alberi che vanno coltivati, accuditi, curati per produrre la meraviglia che essi racchiudono in potenza: proprio come la mente umana.
In conclusione, Caspar Henderson ha probabilmente davvero creato un bestiario come nelle migliori tradizioni antiche e medioevali, un libro che usa le “infinite forme bellissime e meravigliose”, per citare Darwin in persona, della Natura per permettere a uno dei capolavori dell’evoluzione, il nostro cervello, di prendere il volo verso nuovi mondi e nuove scoperte.