Da qualche mese, a Perugia, una nuova casa editrice si è affacciata sul già densamente popolato panorama editoriale italiano. Si tratta di déclic, piccola realtà che, promettendosi pugnace, sembra dichiarare per sé un desiderio su tutti: dare spazio a voci letterarie che di spazio non ne hanno abbastanza, secondo una formula spesso utilizzata in sede di lancio commerciale ed egualmente spesso disattesa in sede di scaffale; ma non è questo il caso, per fortuna. Voci caratteristiche che, proponendosi come sperimentali o di ricerca, e mostrando un radicale piglio divergente rispetto alla norma editoriale a cui siamo abituati, possano farsi latrici di proposte letterarie davvero innovative dalle nostre parti: è il caso della romana Francesca Perinelli e del suo lasaga (déclic 2024), inusuale raccolta di prose non assertive che riassemblano in maniera ironica e originale stralci discorsivi di varia localizzazione generati dalla più larga ipertrofia testuale della contemporaneità, o del fantasiologo Massimo Gerardo Carrese, che con il suo SpuntiSunti (déclic 2024) ha esplorato in maniera spassosamente parodistica, con una lingua privata dalla sintassi tutta sua, le minime fratture che si aprono nel tessuto della realtà quotidiana in cui tutti siamo passivamente immersi.
Ultimo volume pubblicato in casa déclic è Bosco, a firma del giovane autore campano Antonio Vangone, già noto a chi frequenta la cosiddetta scrittura di ricerca per aver esordito nella collana Glossa di piédimosca edizioni con la convincente raccolta di microracconti intitolata Attribuzioni (2023). Nel dar seguito a un’attitudine che al disinteresse per l’intreccio narrativo affianca una vigorosa attenzione per le possibilità della parola, Vangone conferma quanto di buono aveva già fatto nel suo esordio, regalandoci una nuova raccolta di ventisei testi brevi e brevissimi in cui ci sembra di riconoscere una postura rubricabile nell’ampio calderone del gusto letterario di ispirazione ispanoamericana.
Si tratta di racconti che non esibiscono una trama muscolare né vogliono avere nulla di avvincente da dire, non curandosi affatto di spendersi in virtuosismi d’ordito con cui tenere inchiodato il lettore alla poltrona, al divano, alla sedia, al letto o dovunque questi collochi le terga mentre legge: nessun colpo di scena, nessun improvviso cambio narrativo di rotta, nessun climax in crescendo, nessun finale a effetto popola i racconti di Vangone. Piuttosto una costante tensione descrittiva che fossilizza immagini semplici e spesso domestiche o familiari in quadri conchiusi che paiono volontariamente farsi limitare nello spazio di una cornice: immagini a cui volgere lo sguardo ogni volta con un peculiare e rinnovato fervore linguistico, lasciandosi spesso e volentieri andare agli eccessi di una o più procedure compositive testardamente singolari, nella doppia accezione che è possibile dare a questo termine: singolari perché francamente bizzarre; singolari perché basate sulla reiterazione di un singolo elemento lessicale e/o grammaticale e/o sintattico e/o metrico e/o etc. Come già successo anche in Attribuzioni, per esempio nel racconto La guerra dei polpi, narrato esclusivamente tramite una sequenza di verbi all’infinito, in Bosco salta subito all’occhio l’utilizzo consistente di simili procedure massimaliste.
Si considerino, in proposito, i seguenti quattro racconti della raccolta: Canalizzare il piccione, che sembra prendere a prestito dall’argentino Alberto Laiseca di Indubbiamente, ferocemente, orribilmente (Laiseca, 2022) il gusto sovversivo e decisamente irrituale per il gerundio, reiterato per tutta la lunghezza del racconto; Disappunti di Camilla Peluso, in cui un’assolutista e ipertrofica aggettivazione segue l’evoluzione comune di una storia lunga una vita, dall’infanzia alla senilità, concedendosi un unico sostantivo soltanto nel finale; Haiku il robot, nel quale ci sembra di ascoltare la voce di un automa che racconta se stesso in terza persona, componendo per l’appunto una sequenza continua di haiku; e infine Compare, comare, dove, in maniera simile a Disappunti di Camilla Peluso, grazie all’espediente della lista si racconta, sulla scorta del messicano Alberto Chimal di Album (Chimal, 2017), un tragitto biografico fatto di immagini vincolate alle prime esperienze della vita del protagonista, prima della sua emancipazione.
Si legga a titolo illustrativo l’incipit di Canalizzare il piccione:
“Canalizzando l’interiore piccione, impassibile aggirandosi le strade nella mattina. Paventando l’essere umano, dondolando la testa circolare i parchetti le panchine ammirando le immondizie – oleate carte, schiacciate lattine, cornicioni di pizza nell’acqua spazzata. Annusando panini dolci dal vapoforno desiderando avanti e indietro timidamente non fermandosi, musica dai palazzi piani alti ascoltando, dei bambini a scuola arrivare schiamazzanti”.
Accanto a simili testi, Bosco ci presenta però anche racconti meno centrati sull’ipertrofia della forma, racconti in cui, pur contemplando quel deciso disinteresse per la trama a cui si faceva riferimento sopra, sviluppano narrazioni in un certo senso più “comuni”, sebbene accostabili, nel caso, al fantastico irragionevole tanto caro a una certa letteratura rioplatense: e qui il riferimento va in particolare allo straordinario autore uruguaiano Mario Levrero, non a caso presente con un libro davvero bizzarro, A caccia di conigli, nello stesso catalogo che ha dato ospitalità all’esordio di Vangone (Levrer, 2024), in cui peraltro è presente anche il già citato Chimal con la raccolta di microprose intitolata 83 romanzi (Chimal, 2023).
Ecco allora che assistiamo alle ingiustificate avventure di addetti alla violenza che svolgono la propria mansione professionale alle dipendenze di un crudele gamberetto agopuntore (Nella grotta), o alle vicissitudini di un gruppo di pesci dotati di piedi rinvenuti in una fontana cittadina (Guardare il sole), o ancora alle vicende di una congrega di suore che, con l’intenzione di stanare demòni ctoni, scavano sotterra infinite gallerie, producendo con la terra di risulta tonnellate di mattoni da destinare poi al mercato dell’edilizia in superficie (Scavare la terra rossa).
Nell’uno e nell’altro caso, ovvero nel primo gruppo di racconti come nel secondo, che spesso tuttavia si sovrappongono, Vangone sembra voler dichiarare un’intenzione su tutte, ovvero smarrire consapevolmente la strada maestra che percorre e taglia le geografie del suo bosco letterario, in favore invece dell’utilizzo di sentieri laterali, stradine impervie, tracciati poco o per nulla battuti che affondano nella vegetazione incontinente: vie nascoste e spesso scomode che talvolta non portano da nessuna parte o che riportano indietro, ma che egualmente vale la pena di percorrere per salvarsi dalla monotonia di ciò che è facile e immediato, di ciò che è troppo prevedibile e dunque certamente deludente.
- Massimo Gerardo Carrese, SpuntiSunti, déclic, Perugia 2024
- Alberto Chimal, Nove, Arcoiris, Salerno, 2017
- Alberto Chimal, 83 romanzi, piédimosca, Perugia, 2023
- Alberto Laiseca, Grazie Chanchúbelo, Wojtek, Pomigliano d’Arco (NA), 2022
- Mario Levrero, A caccia di conigli, piédimosca, Perugia, 2024
- Francesca Perinelli, lasaga, déclic, Perugia 2024
- Antonio Vangone, Attribuzioni, piédimosca, Perugia, 2023