Cercando il (quasi) niente
nel più grande dei laboratori

Anna De Manincor/ZimmerFrei
Almost Nothing
Produzione: Mustang
Entertainment, 2019


Distribuzione: CG Entertainment

Anna De Manincor/ZimmerFrei
Almost Nothing
Produzione: Mustang
Entertainment, 2019


Distribuzione: CG Entertainment


Com’è fatto il nulla? I ricercatori del CERN provano di continuo a immaginarselo, ma non è facile. Nel documentario Almost nothing, la regista Anna De Manincor del gruppo di artisti ZimmerFrei chiede loro di chiudere gli occhi per svuotare la mente e immergersi nel nulla, vedi mai che riescano a rivelarne il segreto prima e meglio delle gigantesche macchine che lavorano senza sosta nelle viscere della terra, sotto il suolo ginevrino, per sondarne i misteri. Ma dallo sguardo perplesso di Fabiola Gianotti, direttrice del CERN, quando riapre gli occhi, si capisce che l’impresa va ben al di là delle capacità umane. Eppure, l’universo è fatto quasi interamente di nulla. Anche gli atomi sono perlopiù vuoti al loro interno, il loro nucleo ha la massa di una mosca all’interno di una cattedrale.
Tutto intorno a noi, e lì fuori, tra gli abissi cosmici, il vuoto sembra ribollire di particelle che nascono e muoiono in infinitesimi di secondo, di vibrazioni di campi quantistici (quanto piace questa immagine ai cultori delle pseudoscienze!), da cui vien fuori quel 70% della massa-energia dell’universo che oggi chiamiamo “energia oscura”, perché non-abbiamo-la-minima-idea-di-cosa-sia suona poco poetico.

La vita tra laboratori e caffetteria
È questa, in sostanza, la missione del CERN. Le telecamere ci portano all’interno di questa città che dà lavoro a diecimila persone, con il suo sindaco (la direttrice Gianotti), le banche, la posta, la caffetteria, luogo-simbolo dove a ogni ora del giorno e della notte ricercatori, tecnici e premi Nobel si riuniscono, spesso per scrivere equazioni su tovaglioli di carta, più spesso per esprimere la loro frustrazione di fronte a quel corto circuito di cui proprio non si riesce a venire a capo. La caffetteria, su cui indugiano le telecamere, è il luogo dove le semidivinità del CERN ritornano umane, intrecciano relazioni, litigano, si corteggiano, suonano la chitarra o si lamentano dal cibo. La loro quotidianità è estremamente prosaica. Un team di ricerca, spesso composto da giovani dottorandi o borsisti guidati da un senior, inizia la giornata definendo obiettivi e parcellizzando le attività. Riuscire a comprendere come quella scheggia apparentemente insignificante del loro lavoro abbia a che fare con la ricerca delle verità ultime sull’universo è un lavoro improbo, forse inutile.

Il rischio dell’effetto Pauli
Per il fisico teorico è diverso. John Ellis, che come un vecchio guru degli anni Settanta ha una lunga barba bianca e preferisce lavorare sommerso dalle scartoffie (sembra che il suo ufficio abbia anche vinto un premio come ufficio più disordinato), vanta un più diretto contatto con quel grande nulla di cui si occupano i ricercatori del CERN. Lui lo immagina con le equazioni scritte sulla lavagna, lo può contemplare più volte al giorno, ha il tempo per pensarci su. Agli altri spetterà il compito di progettare gli esperimenti per capire chi ha ragione. Il fisico teorico rifugge dalla praticità. Si racconta che Wolfgang Pauli mandasse in avaria tutti gli apparati sperimentali ogni qualvolta entrasse in un laboratorio.
Oggi viene scherzosamente definito “effetto Pauli” per prendere in giro la scarsa manualità dei fisici teorici. Al CERN lo prendono molto sul serio: basta che un interconnettore elettrico sui ventimila che fanno funzionare l’acceleratore LHC vada in avaria, e il disastro è servito. Nel 2008 fu così che, alla prima accensione di prova, il gas superfluido che raffredda l’acceleratore (120 tonnellate di elio) andò fuori controllo provocando un’esplosione e congelando istantaneamente i tubi. Occorse un anno di lavoro per rimettere tutto a posto.

Sogni e incubi della fisica moderna
Almost Nothing mette in luce anche un altro divario, quello tra il sogno di una comunità perfettamente egalitaria e democratica raccontata da alcuni, e i problemi più pratici raccontati da altri: un tempo era comune ottenere al CERN un contratto a tempo indeterminato dopo tre anni di “precariato”, oggi invece solo a una persona su tre viene offerta l’assunzione.
Per moltissimi giovani, il CERN è una porta girevole dove si entra, si fa un giro e altrettanto velocemente si esce, fornendo un contributo infinitesimale di cui non resterà probabilmente traccia. Ne viene fuori “un clima di incertezza e di competizione”, come spiega Django Manglunki, che non fa bene alla ricerca scientifica, che avrebbe invece bisogno di “spirito di squadra e solidarietà”. Tutto questo può avere certamente degli effetti anche sul risultato finale della ricerca.
Sebbene Luis Alvarez Gaume si affretti a precisare che la scienza non abbia risposte preconfezionate, a differenza della religione, è facile che uno scienziato si faccia trasportare dal fascino della sua teoria. Capita così che LHC stia cercando da anni particelle (previste dalla teoria della supersimmetria) che non sono mai venute fuori, mentre altri esperimenti in tutto il mondo ne cerchino altre (previste da diversi modelli sulla materia oscura) che tardano a farsi vedere. Sarà anche per questo che l’incertezza e la competizione in questi anni sia in aumento.
La posta in gioco è alta e nessuno vuole davvero trovarsi un giorno di fronte all’eventualità che da tutti questi sforzi possa venir fuori almost nothing, quasi niente.