Viaggio di andata e ritorno
al termine dell’infanzia

Alejandra Costamagna
Il sistema del tatto
Traduzione di Maria Nicola

Edicola Ediciones, Ortona, 2020
pp.184, € 15,00

Alejandra Costamagna
Il sistema del tatto
Traduzione di Maria Nicola

Edicola Ediciones, Ortona, 2020
pp.184, € 15,00


Sin dalle prime battute, Il sistema del tatto della cilena Alejandra Costamagna palesa la sua natura di cronaca intima, intrisa di silenzi e allegorie, di recherche proustiana ai confini con la biografia autentica, a partire dalle origini della stessa autrice, delle sue radici più profonde: i suoi bisnonni arrivarono dal Piemonte per stabilirsi in Argentina.
Costamagna è apparsa in Italia anni fa con i racconti pubblicati da Besa Editrice, Certe Notti, e più di recente con quelli della raccolta C’era una volta un passero, pubblicata dalla casa editrice italo-cilena Edicola Ediciones, che ora ne propone questo recente romanzo. Brevi storie sufficienti a rendere conto di una scrittura che si affida all’assenza, alla sottrazione, all’omissione, al non detto; un procedere per ellissi ribadito ne Il sistema del tatto. Anche per questa storia di più largo respiro il repertorio è essenziale: un nucleo familiare, un luogo e una bambina ormai donna che ritorna nei paesaggi estivi della sua infanzia. Abbastanza per infilare, come perline nel filo di una collanina, una collezione di istantanee, ricordi talvolta opachi, qualche volta ben a fuoco, frammenti sparsi qui e là tra un vuoto e un altro; illuminazioni di scene dimenticate da un documentario girato in privato e riservato in apparenza a pochi.
Il luogo si chiama Campana, dove la bambina l’hanno sempre chiamata la chilenita, la piccola cilena. Il suo nome di battesimo è Ania (Anya nel testo originale), ora ha quasi quarant’anni ed è un ex insegnante, che ha perso il lavoro perché sedotta dalla creatività del linguaggio dei bambini e poco severa nei loro confronti.

“Nel tema che aveva fatto rizzare i capelli alla direttrice un animale baldriva e Ania pensò alla strana suggestione di quel suono: un belato o un bramito che perforava l’aria come un trapano. Lei, a essere sincera, trovava favolose le invenzioni linguistiche degli alunni. Pensava che le parole avessero pieghe nascoste e occupassero il confine tra la pelle e il mondo”.

Licenziata, si arrangia occupandosi di cani, gatti e case altrui dietro compenso. A Campana qualcuno la chiama ancora la chilenita. Campana è in Argentina, a nord-ovest di Buenos Aires, e questo fa di Ania una straniera. È un luogo ridisegnato dall’immaginazione, riscritto: è e non è Campana al tempo stesso. Non si è alterata, al contrario, indifferente allo scorrere del tempo, la differenza tra loro e lei, gli abitanti del luogo e la straniera; una marcatura sottolineata, seppure addolcita dal diminutivo, dall’aggettivo chilenita.

In realtà, Ania Coletti è figlia di un argentino, Juan Coletti; anche i suoi nonni sono argentini e lo stesso dicasi del cugino Augustín. Lui da Campana non si è praticamente mai allontanato, il mondo oltre Mar del Plata è fatto di sogni e desideri. A trattenerlo è sempre stato il legame abnorme con la madre, Nelida, piemontese mandata a nozze con un cugino già stabilitosi in Argentina: sono i prozii di Ania. Lei da bambina andava a Campana in vacanza dai nonni; ogni inizio estate un viaggio di andata attraversando la cordigliera, accompagnata dal padre, oltrepassando un confine fisico e giuridico, una barriera gigantesca. Quello di Ania è un viaggio nella storia dell’emigrazione, della miseria, dei sogni perduti di chi se ne andava a cercar fortuna dall’altra parte dell’oceano.
A fine estate il viaggio di ritorno, un altro attraversamento, e nel mezzo la lunga stagione estiva, con suo padre lontano, in giro chissà dove e lei a giocare con la cuginetta Claudia, oppure in compagnia di Augustín, che abita nella casa di fianco a quella dei nonni, e del suo amico Gariglio, anche lui alle prese con un corso di dattilografia e procacciatore di romanzi horror per le letture nei lunghi pomeriggi estivi. Augustín è lì ad attenderla ogni anno. Aspetta l’estate e con lei il ritorno della chilenita, sognando di fuggire da Campana:

“Oh, se la chilenita lo salvasse. Se lo portasse via di lì, se gli aprisse la porta, facendogli attraversare il mare se necessario, se gli dicesse che quei libri sono pieni di bugie, che la vita è un’altra cosa. Ma la bambina è una bambina e non può cambiare la storia”.

Lo apprendiamo dalla sua voce, da un piano temporale, quello delle vacanze estive della bambina, che fa da contrappunto alla narrazione al presente di Ania, recatasi a Campana per porgere al cugino l’estremo saluto. È andata per far le veci del padre, l’argentino che se ne andò dall’altra parte delle Ande. C’è poi una terza voce forte e al tempo stessa inudibile, quella di Nelida, donna tormentata, addolorata, troppo tormentata, morta suicida. Una parte di quelle estati, Ania le trascorreva proprio nella stanza immersa nella penombra della prozia, una donna condannata a una inesorabile discesa nelle rovine della sua mente. È un viaggio tra i ricordi quello compiuto da Ania, e d’altra parte l’estate è la stagione ideale per seminare future memorie seppure nella noia di pomeriggi interminabili.

È anche un viaggio tra i morti quello intrapreso da Ania e non può essere diversamente, perché la terra dei ricordi è popolata da persone scomparse. È un viaggio tra visioni e rovine, polvere, penombra e silenzi che rimandano a un viaggio analogo, avvenuto molto più a Nord e descritto circa settant’anni prima in Pedro Paramo dal messicano Juan Rulfo: il viaggio di Juan Preciado tra i fantasmi di Comala. Meno corale il registro scelto da Costamagna, o meglio, la scrittrice cilena predispone una diversa coralità per ricomporre il ritratto di famiglia che il tempo ha scolorito.

“Deve spingere la porta, varcare il confine. Non è facilissimo, ma dopo qualche scossa il legno cede. Penombra, ragnatele, odore di chiuso”.

È in fondo il tono tipico della sua scrittura. A mo’ di dichiarazione d’intenti è riassunto nel titolo del suo primo romanzo: En voz baja (a bassa voce, 1996). Non a caso, poco dopo, nel 1999 Roberto Bolaño la segnalò, avvisando tutti della nascita di “una generazione di scrittrici che promette di mangiarsi il mondo” (Bolaño, 2004) ponendola in testa a tutte assieme a Lina Meruane.
Infine, quello di Ania è un viaggio alla ricerca di un’identità al tempo stesso consapevole del proprio passato e libera dal suo fardello; per far emergere il proprio tempo ritrovato lascia che a parlare siano anche e soprattutto le cose, quelle che parlano di noi, per dirla con lo studioso di cultura materiale Daniel Miller. Ania scopre un intero tesoro in una scatola:

“Quello che trova lì dentro sono fotografie spedite da un continente all’altro, lettere di parenti e amici di Nelida, passaporti, un manuale di comportamento per emigranti, il certificato di battesimo di Agustín, libretti di lavoro, quaderni, una radio a pile e oggetti che vanno dai santini alle banconote di lire italiane”.

Documenti, oggetti, materiali autentici, vestigia della sua storia familiare che Costamagna incastra nella narrazione senza alterarne il minimalismo di fondo. Foto di famiglia, lettere, quaderni, estratti dalla Gran Enciclopedia del Mundo, che facevano compagnia ad Ania nei viaggi con il padre, altri dall’esilarante Manuale dell’emigrante italiano all’Argentina, datato 1913, nel quale apprendiamo deliziose regole di comportamento come questa:

“Quando una banda musicale intona l’inno nazionale, tutti i presenti si scoprono il capo in segno di riverenza”.

Infine, a più riprese esercizi di battitura a macchina inclusi passaggi da un manuale di dattilografia, che svela anche l’origine del titolo scelto per il romanzo:

“Tra i diversi sistemi impiegati sino a oggi per l’insegamento della scrittura a macchina, qello che si e dimostrato più efficace e che presenta maggiori vantaggi, è indiscutibilmente il cosiddetto sistema Del Tatto, essendo l’unico scientifico. Oltre a essere il piu veloce è quello che stanca di meno lo scrivevente, perché il lavoro si distribuisce su tutta la mano consentendo, come ultriore vantaggio, di poter scrivere senza mai guardare la tastiera”.

“Il cosiddetto sistema Del Tatto” tornerà utile ad Ania come allegoria per la sua emancipazione interiore. Il testo è battuto a macchina da Augustín e non manca di errori di battitura, così come gli esercizi introdotti nel corso della narrazione, tutti riportati con un altro corpo tipografico, differenti dal testo principale, così come gli altri inserti: un inaspettato affondo dentro la lunga storia delle avanguardie letterarie novecentesche.

Non mancano i sunti delle tre famigerate storie dell’orrore che Ania lesse nell’ultima estate trascorsa a Campana: I bambini diabolici, L’eredità maledetta e Panico nel paradiso, storie perturbanti anzichenò. Quella fu l’ultima estate, segnata dall’ostilità verso il diverso, lo straniero, tale da colpire anche una bambina come lei. Va ricordato che all’epoca in cui si svolsero le ultime vacanze estive della chilenita, tra le giunte militari dei due Paesi non correva buon sangue (“Il Cile e l’Argentina rischiavano di entrare in guerra, gli argentini vincevano i Mondiali di Calcio…”).
Non c’è però assembramento alcuno in questa adunanza di cose del passato, anzi tutte assieme intonano un motivo come strumenti di un’orchestrina di paese. È una canzone eseguita dimenticando qualche parola per strada, ma è quanto basta (qui si procede per sottrazione, non dimentichiamolo) per comporre il ritratto di una donna, delle sue radici e della vita nuova a cui finalmente approda, ancora una volta al termine dell’estate.

Letture
  • Roberto Bolaño, Tra parentesi. Saggi, articoli e discorsi, Adelphi Milano, 2004.
  • Alejandra Costamagna, Certe notti, Besa Editrice, Lecce, 2009.
  • Alejandra Costamagna, C’era una volta un passero, Edicola Ediciones, Ortona, 2016.