Il confine del fallimento
racchiuso in una notte

Alasdair Gray
1982 Janine
Traduzione di Enrico Terrinoni

Safarà, Pordenone, 2020
pp. 368, € 21,00

Alasdair Gray
1982 Janine
Traduzione di Enrico Terrinoni

Safarà, Pordenone, 2020
pp. 368, € 21,00


Chiuso nella stanza di un qualsiasi albergo dal mobilio dei novecenteschi anni Trenta, bicchiere di whisky sempre colmo a portata di mano, Jock McLeish, protagonista assoluto e anima motrice di 1982 Janine, ripercorre la sua vita ormai totalmente affumicato dall’alcol e intossicato dall’esistenza. È una nottata di lotta individuale e profonda, quella che attende il nostro, un furente, rancoroso e amareggiato tragitto interiore costruito grazie alle facoltà della memoria e dell’immaginazione. Un tragitto decisamente intricato, che assume talvolta le sembianze di un labirinto onirico, da percorrere d’un fiato per sfuggire all’onnipresente peso del fallimento senza tuttavia cercare alcun tipo di autoassoluzione, o quantomeno provarci.
Visto rapidamente in questo modo, 1982 Janine, romanzo fluviale dello scozzese Alasdair Gray (1934-2019) di recente pubblicato dalle edizioni Safarà nella traduzione di Enrico Terrinoni dopo l’unanime successo dei quattro volumi del fantastico Lanark, sembra insomma (e di fatto lo è) un libro profondamente novecentesco, in cui la dimensione intrapsichica, di per sé piuttosto frammentata, del protagonista/demiurgo/narratore diventa nelle pagine dell’autore una consapevole intenzione letteraria, facendosi a questo scopo struttura narrativa e ritmo, accorgimento tipografico, promiscuità argomentativa, sperimentazione linguistica ed eccesso sintattico.
L’evolversi del racconto, “recitato” come detto in una sola notte ma esteso su trecento e passa pagine, sembra infatti dichiarare la medesima intenzione totale che si trova alla base del monologo interiore e del flusso di coscienza, facendosi nell’occasione muovere da una disposizione d’animo cupa, nera e assai intensa, nonché programmaticamente votata all’esperienza della solitudine e dei suoi venefici effetti.
Fallimento, dunque, già in principio e fino alla fine, ma con qualche effimero e ingannevole miraggio di realizzazione nel mezzo, o forse piuttosto di temporaneo adattamento al contesto; fallimento che l’ipertrofica immaginazione dell’alcolizzato Jock McLeisch, uomo convintamente conservatore nonostante le opposte convinzioni della famiglia da cui proviene, combatte (o forse asseconda) tramite l’adozione di strategie del tutto peculiari:

1) dare per esempio vita, senza sosta e con inesausto ardore, a figure femminili più o meno reali e più o meno innocenti, come la Janine del titolo, Superba (o meglio Superbaldracca), Big Moma e così a seguire,

“tutte in fila coi loro jeans attillatissimi che sembrano essersi ristretti al lavaggio ma che non si sono ristretti. I polsi legati con delle corde giusto sopra la testa ma non è che vi penzolino anche se lo farebbero se qualcuno togliesse loro quei sandali con la zeppa e i tacchi di, ah, più di venti centimetri. Questi sandali aperti mi consentono di immaginarmi nei dettagli ogni loro unghia smaltata. La cinghia che cinge le loro caviglie ha una campanella attaccata a un lato, tipo quelle delle gattine viziate al collare. Tinkle tinkle. Un suono piacevole, yahooehi, uno sbadiglio. Sono molto stanco. Dov’ero rimasto?”.

Tutte da collocare in scenari di puro sadismo e su cui usare e far usare inusitata, continua e fantasiosa violenza (da cui il malriuscito tentativo di alcuni di collocare il libro, in maniera quanto meno riduttiva, nel solco della letteratura erotica);

2) oppure viaggiare a ritroso nel tempo della propria vita, quasi ci trovassimo in un classico romanzo di formazione, per provare a incontrare il punto da cui origina la fase discendente della parabola biografica, la causa del tracollo;

3) o ancora lasciare che a parlare sia un coro contemporaneo di irriducibili contraddizioni interiori che urlano sovrapposte e talvolta si confondono.

Insomma, fare attraversare le pagine da una sorta di morbido delirio costantemente conflittuale, nonostante ammirevoli sprazzi di lucidità messi nel flusso confessionale come odiose esche alla condiscendenza del lettore.

“Perché mi sento in trappola nel mondo più intricatamente vario e splendidamente vitale che mai scopriremo? L’unico mondo che può sopportarmi? Un mondo in cui persone dalla mentalità tecnica come me (e includo qui i politici, gli affaristi, i militari e la gente d’arte che ingrassa a spese nostre) sono i padroni indiscutibili? Disgusto per noi stessi. Abbiamo commesso crimini orribili che non arrecano alcun bene. Creiamo deserti”.

Sì, perché Jock McLeisch, personaggio infido e rancoroso, nella sua ordinarietà non sembra essere un eroe ma nemmeno un antieroe. Non ambisce a riscuotere odio o disprezzo né desidera suscitare amore o compassione. Non punta all’identificazione del lettore, quanto piuttosto lo mette alla prova indicando che il confine del fallimento, e con esso le sue conseguenze, è lì a portata di mano, non troppo distante per essere varcato da chiunque.

Letture
  • Alasdair Gray, Lanark. Una vita in quattro libri, vol. I-IV,  Safarà, Pordenone, 2015 – 2017.