Arriva dal film Le roman d’un tricheur (Il romanzo di un baro, 1936) di Sacha Guitry (1885-1957), l’immagine ufficiale della quarantaduesima edizione del Bergamo Film Meeting, che adatta alcuni frame di quella. Un’edizione quella 2024 di BFM che vede l’esordio alla direzione artistica di Fiammetta Girola e Annamaria Materazzini, che sostituiscono Angelo Signorelli e che da tempo si occupano della manifestazione.
Autore versatile, attore, regista teatrale e cinematografico, Guitry si sbizzarrì proprio in quel film, tratto dal suo unico e omonimo romanzo scritto e pubblicato nel 1934, il primo a non essere una trasposizione delle sue pièce teatrali, interpretando sette ruoli diversi, in un’opera orchestrata per flashback nel segno dell’inganno, del camuffamento e la finzione. L’immagine è stata realizzata dallo studio di comunicazione visiva e graphic design Studio Suq e oltre ad annunciare la manifestazione, anticipa i contenuti di una delle sezioni del festival: l’omaggio al cinema di Guitry, appunto. Verranno proposti tredici lavori chiamati a rappresentare la sua cospicua filmografia, che prese le mosse nel bel mezzo della Grande Guerra, dandogli grandissima fama dapprima e ingiusta condanna patita nel secondo dopoguerra. Guitry fu infatti sospettato di collaborazionismo, venne incarcerato e riabilitato (ma l’onta rimase come un’ombra) soltanto quando si apprese dell’aiuto che recò a diversi artisti destinati ai campi di concentramento. Cinema ricco d’inventiva il suo, brillante e amaro, sempre pronto a mostrare il lato peggiore dell’essere umano, frutto della sua visione della vita ispirata a un sano cinismo. Basti qui ricordare uno dei suoi ultimi film Ho ucciso mia moglie (La poison, 1951), commedia nera che mette a nudo le miserie della condizione umana, ridicolizzando ruoli e istituzioni.
Frame dal film Le roman d’un tricheur (Il romanzo di un baro, 1936) di Sacha Guitry per l’immagine ufficiale di Bergamo Film Meeting 2024.
Nel complesso la 42a edizione di BFM, in nove giorni di programmazione, proporrà 160 film tra lungometraggi, documentari e cortometraggi distribuiti nelle storiche sezioni: le due competitive – la Mostra Concorso riservata ai lungometraggi di finzione e Visti da Vicino, rivolta invece al cinema documentario -; la sezione Europe, Now!, dedicata al cinema europeo contemporaneo; il cinema d’animazione e la consueta ampia retrospettiva che quest’anno è dedicata a Éric Rohmer (1920–2010), regista, sceneggiatore, montatore e critico cinematografico francese tra i protagonisti della Nouvelle Vague. Numerose le iniziative collaterali e gli eventi speciali tra cui l’anticipazione venerdì 8 marzo (ore 21, Ex Chiesa di Sant’Agostino) costituita dalla sonorizzazione dal vivo e in anteprima nazionale di L’angelo Sterminatore (1960) di Luis Buñuel, a opera del chitarrista, compositore e produttore statunitense Gary Lucas.
La Mostra Concorso vede in lizza sette lungometraggi, inediti in Italia, lavori intrisi di contemporaneità, attenti a temi quali l’emarginazione, il disagio giovanile, l’emigrazione e la guerra. Dentro questo orizzonte si colloca il film che aprirà le danze, l’ungherese Valami madarak (Some Birds è il titolo internazionale) di Dániel Hevér, storia di un anziano finito suo malgrado in una casa di riposo e di un’adolescente insofferente alle leggi “obbligata” a prestare servizio per quella comunità. Incontro ravvicinato tra due solitudini che darà frutti insospettabili.
Valami madarak (Some Birds) di Dániel Hevé, film della Mostra Concorso.
Migranti in primo piano in diverse storie, per esempio in Até que a Música Pare (Until the Music Is Over) di Cristiane Oliveira, The Wall di Philippe Van Leeuw e Okarina di Alban Zogjani, ma anche incursioni nella commedia grottesca con il film di Tomáš Pavlíček e Jan Vejnar, Přišla v noci (She Came at Night), racconto delle disavventure di una coppia causate da una suocera assai invadente che occupa la vita dei due coniugi, oppure un affondo nel fantastico con Băieții buni ajung în Rai (Good Guys Go To Heaven) di Radu Potcoavă, una vicenda post mortem ambientata in Purgatorio… dalla neanche tanto sottile vena romantica. La settima storia, infine, Levante (Power Alley) di Lillah Halla, partendo da una gravidanza indesiderata, ruota intorno ai temi dell’emancipazione femminile e dell’intolleranza religiosa in un Brasile dove l’aborto è fuorilegge.
Altrettanto e forse ancor di più variegato il panorama offerto dall’altra sezione competitiva, Visti da vicino, che propone ben quattordici produzioni provenienti dal panorama internazionale, anch’esse tutte inedite in Italia. Molti dei lavori ruotano intorno al tema della memoria con declinazioni originali ed eterogenee, dall’eutanasia della nonna centenaria che funge da spunto per ricostruire ricordi familiari con un teatro di marionette in Bon Voyage di Karine Birgé alla memoria collettiva di una colonizzazione spietata “conservata” in una discarica di Lagos, oltre centocinquanta scheletri di uomini, donne e bambini, schiavi all’epoca della dominazione portoghese, da cui prende il via Contos do Esquecimento (Tales of Oblivion) di Dulce Fernandes.
Bon Voyage di Karine Birgé, documentario in concorso nella sezione Visti da vicino.
Oppure il ricordo di un film leggendario, mai visto, il primo film mai realizzato da un regista nero di lingua francese, ovvero Mouramani diretto da Mamadou Touré nel 1953. Sulle sue tracce si incammina Au cimetière de la pellicule (The Cemetery Of Cinema) di Thierno Souleymane Diallo, mentre sono vere e proprie memorie del futuro quelle registrata da Poznámky z Eremocénu (Notes from Eremocene) di Viera Čákanyová, ricordi e riflessioni sulla relazione tra esseri umani e tecnologia, tra avvento dell’intelligenza artificiale ed effetti del cambiamento climatico, laddove il concetto di Eremocene è preso a prestito dal biologo e naturalista Edward O. Wilson, che indicò l’era della solitudine, come l’approdo inevitabile dopo i disastri antropocentrici. Non mancano in concorso opere che privilegiano la sfera privata per sviluppare riflessioni sui grandi temi. Uno per tutti è il documentario And They Will Talk About Us di Sieva Diamantakos, che a partire da due vicende individuali sullo sfondo della crisi del Dumbass, quella di un singolare imprenditore di turismo estremo sui luoghi del conflitto e una volontaria che fa l’animatrice per bambini dopo essere fuggita da Donetsk, si cala da una prospettiva insolita nello scenario di una guerra ancora in corso. Della storia dell’industria di ieri e di oggi ci raccontano invece Wir Waren Kumpel (Once We Were Pitmen) di Christian Johannes Koch, Jonas Matauschek, storie di minatori tedeschi dopo l’interruzione dell’estrazione di carbone in Germania nel 2018, e The Golden Thread della regista Nishtha Jain, viaggio nell’industria della juta, fonte di occupazione per milioni di persone in Bengala. Stabilimenti risalenti all’alba della Rivoluzione industriale e tuttora in attività tra incidenti e routine.
A sua volta la sezione Europe, Now! quest’anno presenta in anteprima nazionale le personali complete dei registi Frederikke Aspöck (Danimarca), Lukas Moodysson (Svezia) e Metod Pevec (Slovenia).
Frederikke Aspöck
La carriera della regista Frederikke Aspöck è cominciata con quattro cortometraggi, uno dei quali, Happy Now (2004), le fa vincere, tra gli altri, il Primo Premio Cinéfondation a Cannes. Il suo primo lungometraggio, Labrador, dramma psicologico con soli tre personaggi su un’isola deserta e ventosa, viene presentato in proiezione speciale a Cannes e vince il Gran Premio al Festival di Marrakech. Il successivo Rosita (2015), è una storia che ruota attorno ai temi dell’immigrazione e dei matrimoni combinati, seguito da De frivillige (Out of Tune, 2019), mix di commedia e tragedia, che vanno di pari passo seguendo le vicende sopra le righe di sei detenuti in un penitenziario. L’ultimo, Viften (Empire, 2023), è un dramma ambientato nella colonia danese di St. Croix nel fatidico 1848. È la storia di due amiche, donne di colore il cui status sociale è però assai diverso: Anna Heegaard e Petrine, la prima libera, moglie del governatore generale danese Peter von Scholten e proprietaria dell’altra, governante di mestiere. Circolano voci di una ribellione e alle due donne toccherà schierarsi.
Lukas Moodysson
Lo svedese Lukas Moodysson è noto soprattutto per i suoi film a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Il suo esordio, l’agrodolce Fucking Åmål è la storia romantica di una coppia non convenzionale composta da due ragazzine di una cittadina, la fottutissima Åmål, appunto. Gli fa seguito il provocatorio Tillsammans (Together, 2000) ambientato nel 1975. Tutto si svolge quasi interamente all’interno di una sgangherata casa di periferia che ospita una comune idealista chiamata Tillsammans, che in svedese vuol dire “insieme”, da cui il titolo del film. Successivamente gira Lilya 4-ever (2022), lavoro dai toni assai drammatici, essendo la storia di una ragazza di un fatiscente paese dell’ex Unione sovietica che viene rapita, e condotta in Svezia dove è costretta a prostituirsi. Una discesa all’inferno.
Da sinistra: We Are the Best! (2013) di Lukas Moodysson, Viften (Empire, 2023) di Frederikke Aspöck ed Estrellita – pesem za domov/Estrellita (2006), lavori dalle tre rassegne della sezione Europe Now!
Fanno seguito due lavori sperimentali. Il primo è Ett hål i mitt hjärta (A Hole in my Heart, 2004), protagonista un regista porno amatoriale, suo figlio che nella stanza di fianco si mette al riparo da gemiti e quant’altro ascoltando musica in cuffia, e una coppia di attori interpreti del filmino. L’altro è l’ermetico Container (2006), sorta di stream of consciousness in B/N affidato alla voce fuori campo dell’attrice Jena Malone che parla di continuo per settanta minuti di fila, mentre scorrono immagini autonome dal testo. Più tradizionale il successivo Mammoth (2009) storia di una coppia newyorkese di successo, della loro figlia e della sua tata filippina alle prese con la globalizzazione e lo spumeggiante We Are the Best! (2013), adattato da un graphic novel della moglie Coco e incentrato sulle vicende di una band composta da tre tredicenni che fanno musica punk agli albori degli anni Ottanta. Riuniti gli amici della comune dell’originario Together, realizza Together 99 (2023) e quei ventiquattro anni dopo si vedono tutti…
Metod Pevec
Infine, la personale dello sloveno Metod Pevec, dapprima attore, in seguito scrittore e sceneggiatore e infine regista, esordendo con il cortometraggio Vse je pod kontrolo (Everything Is Under Control, 1992), seguito dal lungometraggio Carmen (1995) e dalla commedia romantica Pod njenim oknom (Beneath Her Window, 2003). Il successo internazionale arriva con Estrellita – pesem za domov (Estrellita, 2006), che manda in scena la storia di un’eredità, quella di un prezioso violino, contesa da personaggi assai eterogenei. Seguono Lahko noč, gospodična (Good Night, Missy, 2011) e Vaje v objemu (Tango Abrazos, 2012), due film girati uno dopo l’altro, che in modo diverso affrontano le dinamiche delle relazioni di coppia. C’è un’eredità in ballo anche nel suo lavoro più recente, Jaz sem Frenk (I Am Frank, 2019), così come sono sempre protagoniste la musica, la danza e i personaggi femminili.
Un’inquadratura passata alla storia del cinema: lo guardo di Jerome che cade sul ginocchio di Claire. Dai Contes moraux di Eric Rohmer: Le genou de Claire (Il ginocchio di Claire, 1970).
La grande retrospettiva quest’anno vede protagonista il cinema di Eric Rohmer, subentrato in zona Cesarini a quello di Otar Iosseliani, selezione prima annunciata e poi rientrata per questioni di diritti di distribuzione. Del sommo regista francese verranno riproposti integralmente i sedici film appartenenti ai tre grandi cicli, ovvero i Six contes moraux (Sei racconti morali), le Comédies et proverbes (Commedie e proverbi) e Les contes des quatre saisons (I racconti delle quattro stagioni) e altre opere non riconducibili a questi per un totale di ventitré lavori. Dissertazioni sull’amore in primo luogo, il sentimento sul quale si interrogano sempre i suoi personaggi, giungendo a conclusioni il più delle volte spiazzanti, inattese (“Forse è perché non l’amavo più che sono tornato con lei”, si afferma in L’amico della mia amica, il sesto capitolo delle Comédies et proverbes), raggiunte dopo un lungo dibattito non solo interiore, tra seduttori che girano a vuoto, innamorati perennemente insoddisfatti, inappagati, dando vita a elucubrazioni sulla fedeltà, sulla coerenza, sul desiderio, insomma mettendo in scena l’umano agire nei confronti dei propri oggetti del desiderio e le tribolazioni del proprio animo.
Il conflitto morale che si infiamma a partire dallo sguardo di Jerome che cade sul ginocchio di Claire scoperto involontariamente quando lei sale su una scala poggiata su un ciliegio in fiore (Le genou de Claire/Il ginocchio di Claire, 1970), è la cifra e l’icona del precipizio sul quale si muovono i suoi personaggi in un gioco infinito e scintillante di manovre più verbali che fattuali, meditando, riflettendo, provocando, analizzando, prendendosi in giro, filosofeggiando, flirtando, provocando, anche ingaggiando schermaglie e insultandosi. Un cinema sempre caratterizzato da geometrica precisione dell’intreccio, dialoghi calibratissimi e una scrittura sì letteraria (i Six contes moraux, in fondo erano stati concepiti in origine come un romanzo) ma assai fluida, cosicché Rohmer riesce sempre a tessere qualcosa di affascinante e profondo lavorando anche su tempi convenzionali come le storie d’amore.
Nestor (2019) di João Gonzalez, uno dei cortometraggi inseriti nella panoramica sul cinema d’animazione portoghese intitolata Gerações X\Y .
La sezione dedicata al cinema d’animazione si intitola Gerações X\Y e diversamente dagli scorsi anni, non si tratta di una personale su un singolo autore, quanto una panoramica sulle tendenze dell’animazione portoghese con un approfondimento sulla nuova generazione di animatori e registi portoghesi (Laura Gonçalves, Alexandra Ramires, David Doutel e Vasco Sá, Marta Monteiro, João Gonzalez) di cui si presentano in anteprima mondiale le filmografie complete. Tra anteprime, classici ed eventi speciali, un cenno al poker d’assi nel segno di Walter Matthau, omaggiato con le proiezioni di Hello, Dolly! (Gene Kelly, 1969), È ricca la sposo e l’ammazzo (A New Leaf di Eliana May, 1971), Prima pagina (Front Page, di Billy Wilder, 1974) e La strana coppia (The Odd Couple di Gene Saks, 1966). Infine, dopo quattro anni (maledetto Covid!), torna la fantamaratona che propone Beyond the Time Bar (1960) ) di Edgar G. Ulmer e Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre, 1974) di Tobe Hopper.
Si chiuderà con il passaggio di testimone tra BFM e Bergamo Jazz, con la proiezione del film Un colpo da due miliardi (Sait-on Jamais, 1957) di Roger Vadim, con la colonna sonora composta di John Lewis eseguita con il “suo” Modern Jazz Quartet, e la sonorizzazione dal vivo del film Non vorrei essere un uomo (Ich möchte kein Mann sein, 1918) di Ernst Lubitsch ad opera del pianista Massimo Colombo.