Due compleanni, una sintonia
Quella tra Rai e il pubblico

Alessandro Nicosia
(a cura di)
70 anni di Televisione,
100 anni di Radio
MAXXI Roma

10 ottobre 2024 – 3 dicembre 2024

Alessandro Nicosia
(a cura di)
70 anni di Televisione,
100 anni di Radio
MAXXI Roma

10 ottobre 2024 – 3 dicembre 2024


Dicembre è da sempre emblema del tempo dei bilanci dell’anno trascorso e ormai giunto al capolinea. Sotto questo profilo, senza alcun indugio è possibile affermare che il 2024 abbia rappresentato un anno vorticoso in cui gli avvenimenti che hanno solcato la storia della comunicazione del nostro Paese nel passato e nel presente hanno costruito un dialogo loquace e curioso scaturito in un percorso museale interattivo intitolato 70 anni di Televisione, 100 anni di Radio, creato dall’azienda concessionaria del servizio pubblico presso il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) a Roma in mostra dal 10 ottobre al 3 dicembre 2024 in cui è stato possibile esplorare il vissuto della Rai fin dalle sue origini. L’elaborazione del suddetto itinerario trova una duplice ragione d’essere nelle date che hanno incontrovertibilmente irradiato di una luce nuova e potente il mondo dell’informazione e dell’intrattenimento: la prima risale al 6 ottobre del 1924, quando alle ore alle 21:00 “s’inaugurava la florida stagione radiofonica con la prima messa in onda del concerto di musica da camera nel quale si eseguiva l’Opera 7 di Joseph Haydn annunciato dalla violinista Ines Viviani Donarelli” (Siciliano, 2024a); la seconda invece data 3 gennaio 1954 quando alle ore 11:00, per la prima volta, l’annunciatrice Fulvia Colombo apparve su tutti gli schermi casalinghi d’Italia pronta a scatenare uno degli uragani più sconvolgenti della storia mediale dichiarando “La RAI, Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive” (teche.rai.it, 2024).

Sin dall’anticamera che introduce il pubblico a un viaggio nelle glorie del passato nella mostra si respira un’aria nostalgica che permette allo spettatore di richiamare alla propria memoria il ricordo di personaggi topici cui riferisce le diverse tappe della propria vita. Da Corrado, passando per Totò e Anna Magnani, fino a Monica Vitti, deviando per il Trio Solenghi-Lopez-Marchesini, attraversando Gigi Proietti e Loretta Goggi, e ancora passando dall’immancabile Eduardo De Filippo a Enzo Tortora facendo un’ultima tappa agli inconfondibili Renzo Arbore e Gianni Boncompagni per giungere infine a Rosario Fiorello e al più recente ingresso di Stefano De Martino nella grande famiglia degli iconici conduttori Rai. Il corridoio dell’edificio, costellato di foto di alcuni dei grandi volti che hanno rimpinguato di sfaccettature il diamante identitario di Mamma Rai, è quasi come se sottintendesse che lo scandire del tempo della nostra vita, indipendentemente dalla generazione di riferimento, possa trovare nei programmi della Radiotelevisione italiana e nei relativi conduttori, dei rimandi che ci ricollegano intrinsecamente alla nostra esistenza, quasi come a sottolineare quanto, seppur implicitamente, ognuno di noi coltivi un intimo legame con la Rai e come un simile riconoscimento accomuni la società italiana nella sua assoluta interezza.

Varcando la soglia che apre all’universo Rai si ha l’impressione di vestire i panni di Alberto Angela e partire alla ricerca di una storia collettiva ricca di tappe che si legano a doppio filo con una molteplicità di storie di vita che riecheggia rumorosamente nei corridoi del museo.  Il viaggio non può che partire da dove tutto ebbe inizio: la voce.

“Nel momento in cui io parlo, mi sembra di essere proiettato davanti a me, lasciando me stesso indietro. Ma se la mia voce e all’esterno da me, di fronte a me, questo mi fa percepire che il mio corpo è in qualche posto dietro di essa. Come una specie di proiezione, la mia voce mi permette di ritirarmi o tirarmi indietro. Questo può rendere la mia voce un personaggio, una maschera o uno schermo sonorizzato. Allo stesso tempo la mia voce è l’avanzare di una parte di me, uno scoprirsi per mezzo del quale io divento sempre più esposto alla possibilità di esibizione, sono capace di proteggermi dietro la mia voce solo se la mia voce può essere me. Tuttavia, essa può essere me soltanto se ha qualcosa della mia duttilità e della mia sensibilità. […] La mia voce può essere un guanto, un muro, un’ingiuria, una zona infiammata, una cicatrice o una ferita”
(Connor, 2007).

Di fronte agli occhi commossi di chi da amatore, studioso o semplice attore della storia ha visto crescere il colosso Rai, si offre una ricca varietà di dispositivi radiofonici che va dai primi trasmettitori tramite cui Guglielmo Marconi depositò il brevetto nel 1895 fino ad alcuni dei modelli di apparecchi più noti che per anni hanno animato le case degli italiani.

“La nostra patria, a differenza degli Stati Uniti d’America che continuavano ad effettuare ingenti investimenti nell’ammodernamento degli apparecchi radiofonici immessi sul mercato da grandi aziende come la Philips, doveva affrontare delle lacune sociali consistenti che dilaniavano le fibre del tessuto societario della nazione, quali un dilagante analfabetismo, uno sproporzionato divario tra le condizioni di vita nel Settentrione, dove si concentrava l’avanzamento e la crescita industriale e metropolitana della realtà italiana, e il Meridione in cui la comunità non si era ancora scardinata dal modello rurale e che a sua volta impediva anche soltanto il concepimento di modalità di trasmissione del segnale radio, dell’erezione di stazioni radiofoniche e quindi dell’integrazione di mezzi di comunicazione innovativi. Sotto questo profilo, l’esperienza dell’URI è stata altamente rimarchevole nonché illuminante in seguito per la RAI perché fu esattamente da lì che si assunse il compito di raggruppare le più disparate fasce di pubblico”
(Siciliano, 2024a).

La RAI non è ancora propriamente nata, la concessionaria è l’URI (Unione Radiofonica Italiana), e le case raggiunte dal segnale e in cui possiamo ritrovare un apparecchio radio sono davvero poche. Il sogno nato dal genio di Marconi si è avverato ma non può essere ancora popolare, costa troppo caro.

“Considerando le condizioni socioeconomiche che tra il 1924 e il 1925 distinguevano il panorama italiano, la percentuale di persone che poteva permettersi di acquistare un apparecchio radiofonico era abbastanza esigua. […] Stando a quanto è stato appena attestato, non è casuale che a venire a capo di una situazione così intricata sia stata la Società Allocchio Bacchini & Co., una delle prime aziende dell’industria elettronica nazionale sviluppatasi nell’immediato dopoguerra che, […] mediante la targhettizzazione del pubblico, ha radicalmente cambiato il corso degli eventi, permettendo che negli anni Trenta comparissero sul mercato dei dispositivi radiofonici «popolari» come Radio Rurale e Radio Balilla che potessero andare incontro alle esigenze di chi non riusciva a permettersi una Radialba, modello di punta della società”
(ibidem).

Ma, come si può leggere all’interno dei pannelli che accompagnano gli spettatori durante la mostra, è soltanto nel 1928 quando l’URI si evolve in EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, che la radio si converte nel primo e concreto mezzo di comunicazione di massa.

“In pochi anni si arriva al milione di abbonati e si creano veri e propri happening e luoghi di ascolto collettivo; la fascinazione è enorme e se non si può avere un apparecchio radio si cerca in qualche modo di goderne riunendosi in piazze o locali. […] Il segnale radio arriva dovunque, non ha barriere; a differenza del giornale arriva anche a chi non sa leggere, basta ascoltare. I leader politici nel mondo ed in Italia colgono in un attimo il potere enorme della radio”
(dalla mostra 70 anni di Televisione 100 anni di Radio).

“Unire o disunire, questo era il dilemma. L’apparecchio radiofonico, che richiese molta dedizione nell’integrazione tra i mezzi di comunicazione a disposizione della popolazione globale, nacque con uno scopo dall’enigmatica identificazione. Analizzando criticamente quanto affiorato sinora, potremmo evincere un proposito di coesione più rapida e immediata tra persone distanti centinaia di chilometri l’una dall’altra, almeno apparentemente, perché volgendoci ai tempi che seguirono, le certezze costruite su fittizi capisaldi sarebbero state destinate a crollare […]. La radio ha accompagnato la Seconda guerra mondiale dai retroscena che nessuno avrebbe mai pensato avrebbero condotto a un conflitto su così ampia scala”
(Siciliano, 2024a).

Fu così per i numerosi discorsi rivolti da Mussolini alla Nazione per richiamare un millantato sentimento patriottico e altrettanto dicasi per le famose “chiacchiere da caminetto” nelle quali Eisenhower tentava di fare breccia nei cuori dell’intera repubblica federale degli Stati Uniti mediante delle conversazioni che avevano un carattere intimo. Fu così

“fino al 9 maggio del 1945 quando uno dei futuri padri della televisione, il conduttore Corrado, annunciava cum gaudio magno la fine di un’epopea che aveva straziato il mondo fin troppo a lungo. Al termine della guerra i sentimenti erano molti e confusi: c’era la contentezza di chi era riuscito a sopravvivere, l’amarezza di chi aveva perso tutto, l’incertezza di chi temeva si trattasse soltanto di una tregua temporanea e la paura di chi ormai quel tragico evento lo portava inciso sulla pelle. Di tutti questi segmenti non ce n’è uno che la radio non abbia esplorato, ma è stata un’impresa ardua e annosa. Per più di dieci anni la radio era stato il teatro dei burattini dove gli impiegati erano semplici marionette le cui fila venivano mosse dalle alte cariche degli stati e gli ascoltatori erano semplicemente un conglomerato di malcapitati che non aveva mezzi e modi per comprendere che quella che veniva provvista loro non era l’informazione pluralistica e imparziale ma una deformazione, una mistificazione della realtà operata da chi voleva distogliere l’attenzione da ciò che stesse realmente avendo luogo nel mondo. Tuttavia, la radio era stato anche il mezzo tramite il quale i primi forti dissensi in ordine ai regimi hanno avuto luogo, basti pensare al programma L’Italia combatte! trasmesso su Radio Bari, Radio Napoli e Radio Roma”
(ibidem).

A proposito della predominanza del ruolo che la radio ha svolto nel Novecento, sono plurimi gli apparecchi radiofonici messi a disposizione e disseminati nelle loro più disparate evoluzioni all’interno della mostra fino all’ultimo e nuovissimo perfezionamento di natura aleatoria e digitale che permette l’ascolto di una qualsiasi stazione attraverso schermate touch che indicano con scrupolosa meticolosità cosa i visitatori stiano scegliendo di ascoltare in quel momento. La varietà di contenuti riproducibili è rimarchevole, tuttavia ve ne sono alcuni che spiccano in maniera quanto mai distinta, tra cui il famoso annuncio radiofonico con il quale l’Italia ha potuto riassaporare la libertà il 9 maggio del 1945: “Interrompiamo le trasmissioni per comunicarvi una notizia straordinaria: le forze armate tedesche si sono arrese agli angloamericani. La guerra è finita, ripeto: la guerra è finita” (teche.rai.it).

“Affinché il popolo italiano potesse iniziare a fidarsi della radio non più ciecamente ma consciamente era però necessario applicarsi in una impegnata operazione di rebranding che avvenne su diversi fattori: primo su tutti il completo ripensamento della logistica dell’apparato amministrativo e di attività che hanno richiesto anni di lavoro e dedizione per distinguersi segnatamente nell’ultima evoluzione dell’EIAR in RAI, Radio Audizioni Italiane; secondariamente il disciplinamento dei rapporti fra l’azienda in questione che ad oggi rimane concessionaria del servizio pubblico, e infine la programmazione che s’infittì di trasmissioni come L’Approdo che nascevano veramente con lo scopo di innalzare il tasso di alfabetizzazione in Italia. Dopo questo radicale mutamento, la radio era finalmente pronta a mettersi essa stessa all’ascolto e quindi al servizio dei suoi utenti”
(Siciliano, 2024a).

Da allora, il fermento della Rai è diventato un inarrestabile moto rivoluzionario che ha portato alla creazione di alcuni dei generi radiofonici che fungono tuttora da perno nella programmazione quali il giornale radio, il varietà, la radiocronaca sportiva, il radiodramma e i prodromi di talk. Le trasmissioni in questione hanno originato un secondo fenomeno, ossia l’emersione delle prime figure divistiche e non solo nell’ambito della spettacolistica. Basti pensare alle appassionanti interpretazioni di Vittorio De Sica, alle entusiasmanti trasmissioni condotte da Nunzio Filogamo o ai reportage calcistici di Niccolò Carosio che inventa un modello di radiocronaca il cui acme è ravvisabile in Tutto il calcio minuto per minuto, trasmissione rivoluzionaria che debutta nel 1959 adunando una comunità virtuale di oltre trenta milioni di ascoltatori che fanno delle voci di Enrico Ameri, Sandro Ciotti e molti altri leggendari telecronisti le colonne sonore della loro quotidianità. Dopo la guerra e con la nascita dei tre Programmi Nazionali ha inizio l’età dell’oro della radio contrassegnata dalla nascita della RAI che trova un corrispettivo simbolico nel restauro e nell’ammodernamento degli storici studi di Via Asiago 10. Da quel momento in poi i corridoi degli studi Rai pullulano delle più eminenti personalità del panorama artistico italiano: “dalla verve comica e grottesca di Alberto Sordi e Franca Valeri al rigore analitico di giornalisti come Zavoli, la radio diventa proscenio di eventi di spessore e sempre più mezzo di diffusione di cultura e di nuove tendenze, anche musicali”, come sottolineato all’interno della mostra. Ma in quegli anni un’altra mirabolante invenzione era giunta ad ampliare il variopinto ventaglio delle innovazioni tecnologiche: la televisione.

“L’insediamento e l’adattamento del nuovo dispositivo nel tessuto societario italiano degli anni Cinquanta aveva catalizzato esponenzialmente l’attenzione da parte dell’azienda poiché, specialmente nei primi anni di rodaggio, richiese una partecipazione lavorativa di gran lunga superiore a quella adoperata fino a quel momento in radio. A ogni buon conto la radio, colonna portante del crescente universo RAI, non solo continuava regolarmente a trasmettere contenuti dalle policromatiche sfumature andando a tangere i più disparati ambiti della quotidianità, ma stava anch’essa mettendo a punto un approfondito dominio del suo campo demarcando in maniera specifica un’identità che la differenziasse dal nuovo mezzo e che ne segnasse l’indole altamente camaleontico, capace di adattarsi ad ogni epoca e ogni nascente esigenza e, pertanto, irrinunciabile. La radio, per la prima volta nella storia dei media, si mostrava non solo come essenziale strumento del passato, ma anche come imprescindibile alleato del presente e inalienabile bene futuro. La sua onnipresenza non era quindi oggetto di discussione, la televisione non avrebbe sostituito la radio, si sarebbe solo aggiunta nel ventaglio di possibilità che l’avanzamento tecnologico aveva costituito negli anni ampliandone così il raggio d’azione in maniera sempre più avanguardistica. Il cambiamento però era inevitabile: l’avvento della televisione aveva ineluttabilmente portato a dei riassestamenti del sistema radiofonico che vigeva all’epoca causando un ammodernamento e un adeguamento in base alle esigenze di una società che si avviava sempre più verso la specializzazione dei singoli mezzi e la creazione di figure ad hoc per governare e regolamentare a regola d’arte ognuno di essi. Seguendo minuziosamente il percorso della mostra e le diramazioni della dimensione sia radiofonica che televisiva della concessionaria del servizio pubblico, è stato possibile scoprire che i pionieri di una simile impresa siano principalmente ravvisabili in Corrado, Renzo Arbore e Raffaella Carrà”
(ibidem).

Tra i vari video, gli audio e i fotogrammi messi a disposizione da Rai Teche, particolarmente significativi sono risultati gli ascolti di alcuni dei momenti più emblematici di Bandiera Gialla un format di grande notorietà trasmesso in radio sul Secondo Programma dal 1965 al 1970, ideato da Gianni Boncompagni e condotto dal mitico Renzo Arbore che consisteva in una sorta di

“gara fra dodici canzoni, divise in quattro gruppi da tre e i ragazzi in sala, alzando le loro bandierine gialle (ma soprattutto urlando, applaudendo e fischiando come in un concerto) indicavano i quattro finalisti che poi si scontravano fra loro eleggendo il «disco giallo» della puntata, che aveva diritto a tornare in gara la settimana successiva. In questo modo vennero lanciati brani da n.1 in hit parade e fra i pluri-vincitori per svariate settimane da ricordare Michelle dei Beatles a Paint it, Black dei Rolling Stones, […] These Boots Are Made For Walking di Nancy Sinatra, Papa’s Got Brand A New Bag di James Brown”
(teche.rai.it, 2020).

Non solo, la concessionaria del servizio pubblico ha anche messo a disposizione alcuni dei costumi più iconici indossati dai conduttori. Tra questi, a risaltare notevolmente sono quelli di Raffaella Carrà, showoman dall’innata poliedricità che aveva debuttato in Rai con il programma radiofonico Raffaella con il microfono a tracolla. Quest’ultima, nota per essere un’icona di stile, parafrasando il regista premio Oscar Pedro Almodovar, rivive all’interno della mostra mediante l’esposizione di paillettes, lustrini e sfarzosissimi body nei quali la discrezione e l’introversione di Raffella Pelloni lasciavano spazio alla solarità inebriante dell’artista che più di tutte ha tracciato il profilo su cui si è andata a delineare la figura del performer: Raffaella Carrà.

La Rai, sin dalle prime luci che hanno visto l’albeggiare di una nuova era mediatica, ha sempre fatto propria una missione: raccontare l’Italia a chi ne conosceva solo piccole realtà frammentate allo scopo di unificare un popolo dall’identità storica cementificata in un sentimento di coscienza sociale vivace e fervida. Per questa ragione la Rai è sempre stata in prima linea nella narrazione e nella documentazione dei più grandi eventi di cronaca che hanno marcato inobliabilmente la nostra storia ma anche quella del mondo intero. Il disastro del Vajont scandagliato da Sergio Zavoli, la caduta del muro di Berlino nel 1989 immortalata da una giovane Lilli Gruber e ancora il reportage documentaristico 1367 – La tela strappata a cura di Giancarlo Licata (2012) che con cura effettua una ricostruzione delle ore intercorse tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio nel 1992 (1.367 per l’appunto) avvalendosi delle immagini e dei filmati che gli operatori e i giornalisti dell’azienda avevano fatto sui luoghi del delitto vent’anni prima. Ma Rai non è soltanto sinonimo di informazione e comprovazione storica. Quello con la Rai è un legame che viene tramandato di generazione in generazione. Un affondo nella memoria collettiva stimolato in mostra dalla presenza di alcuni prototipi di televisione a tubo catodico che trasmetteva spezzoni dei programmi che più hanno suggellato l’identità della Rai come Carosello, Indietro Tutta! e l’immancabile Festival di Sanremo.

“Era il 29 gennaio del 1951 quando la dolce voce di Nunzio Filogamo inaugurava la trasmissione dell’evento canoro sul Programma nazionale (o Primo programma) della RAI dicendo «Miei cari amici vicini e lontani, buonasera. Dal salone delle feste del casinò di Sanremo vi presentiamo la prima serata del Festival della canzone italiana»”
(Siciliano, 2024a).

“Sono numerosi i brani che hanno fatto la storia della musica italiana, pur non vincendo Sanremo due. Tra questi Le mille bolle blu cantata da Mina, che nel 1961 arrivò quinta, Un’avventura con cui Lucio Battisti nel 1969 si classificò nono, e Piazza Grande di Lucio Dalla che raggiunse l’ottavo posto nel Festival del 1972, presentato da Mike Bongiorno. Il 1972 è anche l’anno del primo annuncio sperimentale a colori fatto da Rosanna Vaudetti in occasione delle Olimpiadi di Monaco”
(dalla mostra 70 anni di Televisione 100 anni di Radio).

A oggi, il Festival di Sanremo è un evento che ha una risonanza di portata internazionale che, a prescindere dal periodo storico, dal continente o dall’età, continua a incollare allo schermo intere famiglie che si ritrovano proprio per festeggiare quella che a tutti gli effetti è una ricorrenza nella quale si celebra la meraviglia che l’arte è in grado di continuare a produrre. L’intrattenimento è sempre stato focale per la Rai ed è attorno a questo concetto che si sviluppa la parte ultima della mostra caratterizzata da una molteplicità di schermi atti alla riproduzione di diversi programmi di divulgazione storico-scientifica, film, serie tv e talk show che, nei vari decenni, hanno accompagnato generazioni di spettatori, gli stessi che poi rimanevano incantati a guardare probabilmente perdendosi ognuno nella romantica nostalgia che quegli spezzoni rievocavano in loro. Dalla prima puntata di Ulisse, magnifico programma di Alberto Angela, alla sigla di Un medico in famiglia con il mitico Lino Banfi che per ben diciotto anni ha vestito i panni di Nonno Libero, o ancora Il maresciallo Rocca che annoverava tra i protagonisti l’incommensurabile Gigi Proietti e la verace Stefania Sandrelli, la prima puntata de La prova del cuoco condotto da una spumeggiante Antonella Clerici, e così via discorrendo. Ciononostante, la mostra pone in rilievo costantemente quanto la radio e la televisione abbiano sempre camminato una a fianco all’altra.

Il rapporto di forte codipendenza ha fatto sì che entrambe potessero sopravvivere e contare, a oggi, una comprovata immortalità nel campo dei media e come la costante ricerca nata dai primi trasmettitori di segnali sia talmente progredita da aver garantito attualmente la possibilità di volgere l’attenzione verso il nascente ambito sempre più frequentato dell’intelligenza artificiale. La penultima sezione si incentrava infatti su una sperimentazione avviata presso il Centro Ricerche Innovazione Tecnologica e Sperimentazione della Rai inerente all’applicazione degli strumenti e delle competenze dell’Intelligenza Artificiale Generativa alla produzione televisiva, in particolare con riguardo alla realizzazione di una serie tv. “Dalla scrittura del copione, alla realizzazione dei personaggi animati e degli ambienti, fino alla composizione della colonna sonora e al montaggio finale, l’AI offre un supporto innovativo e completo” (ibidem). Accanto al pannello che illustra i propositi con cui la Rai si appropinqua al mare magnum dell’IA vi è uno schermo sul quale vengono trasmessi i filmati del Baron Gearheart, ovvero la versione virtuale dell’emblematico Phileas Fogg, protagonista del romanzo Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne. Questo progetto ambizioso, presentato all’interno dell’IBC2024 ad Amsterdam, “la più importante fiera internazionale sulla tecnologia broadcasting e sui nuovi media” (ibidem), vede l’attiva di collaborazione e partnership di alcune delle aziende più illustri al mondo tra cui YLE, BBC, EBU e Microsoft.
A seguito di un divertente gioco di realtà virtuale nel quale, grazie a un green space disposto appositamente per gli spettatori dell’esposizione era possibile immergersi in diversi sfondi che spaziano dai futuristici studio televisivi Rai a inaspettati sbarchi su Marte, si pone il pannello conclusivo che racchiude tutte le anime della Rai, la presentazione dell’archivio Rai Teche grazie al quale è stato possibile organizzare una mappa viva della storia che la Rai ha costruito in un secolo e raccogliere i germogli di un futuro in divenire che costituisce la fertile base che dovrebbe permettere all’ente concessionario del servizio pubblico di continuare a esercitare un ruolo preminente all’interno della società. Al termine della mostra, ai visitatori appare chiaro che la radio e la televisione sono sempre stati organi la cui coesistenza e reciproca ossigenazione ha garantito il sostentamento dell’intera industria della Radiotelevisione italiana.

“Dunque, la Rai era riuscita in un intento che sembrava impossibile anche semplicemente concepire: coniugare due anime mediali attraverso approcci, format e personalità distinte. L’avvento della televisione aveva inevitabilmente rivoluzionato tutto ciò che la precedeva e che ne sarebbe scaturito in seguito. Persino le figure presenti all’interno dei programmi principiarono a differire da quelle puramente attoriali che fino ad allora avevano dominato ogni possibile scenario. […] A suffragio ulteriore dell’asserzione di cui sopra inerente al prospero sodalizio radiotelevisivo, vi è una meticolosa ricerca virata dalla teoria all’empirica attività svolta all’interno della redazione del programma Radio 2 Happy Family trasmesso in simulcast su Radio 2 e Rai 2” esaminata nel precedente articolo Onda su Onda i media mutano. Il caso di Rai 2 & Rai Radio 2
(Siciliano, 2024b).

Questo perspicace esperimento è stato vitale affinché si potesse mettere in luce quanto la fratellanza tra radio e televisione sia stata e continui ancora a essere uno dei vessilli su cui si erge la pantagruelica identità di un ente che racchiude in sé una chiave in grado di aprire contestualmente le serrature di ogni tempo, non soltanto del futuro storico del nostro Paese, ma anche del tempo scandito dalla nostra anima, parafrasando Sant’Agostino d’Ippona. Precisamente in questa dimensione, un’intera popolazione si ritrova a vivere alcuni dei momenti più felici ma mai troppo lontani dal cuore… O dagli occhi. Ed è proprio grazie a questa funzione di collante di anime che quella della Rai è una social catena forgiata con la più forte delle leghe, la fiducia, che vivrà sempre nitidamente nell’immaginario collettivo di una società che ha ritrovato le prime tracce di unione e solidarietà nella soave melodia dell’Opera 7 di Haydn.



Ascolti
Letture
  • Steven Connor, La voce come medium. Storia culturale del ventriloquo, Luca Sossella Editore, Roma, 2007.

  • Simona Siciliano, All the world’s a stage: evoluzione della figura del performer tra Teatro, Radio e Televisione. Tesi di laurea magistrale, Sapienza Università di Roma, 2024.

  • Simona Siciliano, Onda su Onda i media mutano. Il caso di Rai 2 & Rai Radio 2, Quaderni d’Atri Tempi, 22 novembre 2024.
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