Un’aspra fiaba voyeuristica,
autoriale anche a luci rosse

Walerian Borowczyk
La Bestia
Cast principale: Sirpa Lane,

Lisbeth Hummel, Pierre Benedetti
Elisabeth Kaza, Guy Tréjan,
Roland Armontel
Produzione: Argos Films, Francia, 1975
Distribuzione (home video):
Cecchi Gori Entertainment, 2024

Walerian Borowczyk
La Bestia
Cast principale: Sirpa Lane,

Lisbeth Hummel, Pierre Benedetti
Elisabeth Kaza, Guy Tréjan,
Roland Armontel
Produzione: Argos Films, Francia, 1975
Distribuzione (home video):
Cecchi Gori Entertainment, 2024


Nobiltà d’animo, etica corretta, eleganza e raffinatezza… Ecco, prendete tutto questo e lasciatelo a casa. Nella sua filmografia, Walerian Borowczyk preferisce mettere in scena i desideri umani più perversi nonostante la pesante censura, ormai assente, applicata sulle sue pellicole più famose.
La Bestia, suo capolavoro del 1975, è l’emblema della sua poetica e torna adesso in versione rimasterizzata 4k e con audio migliorato, insieme ai suoi altri due lavori Racconti Immorali (1974) e Goto – l’isola dell’amore (1968). Autore di genuina formazione surrealista, Borowczyk approdò al lungometraggio dapprima con l’animazione con cui si era fatto le ossa girando diversi corti, tra cui va annotato Les Astronautes (1959) firmato assieme a Chris Marker che di lì a poco avrebbe realizzato un’autentica pietra miliare come La Jetée (1962), poi con Le Théâtre de Monsieur & Madame Kabal (1967) e di seguito a un’opera di finzione con artisti in carne e ossa proprio con il succitato Goto – l’isola dell’amore. Anche La bestia aveva radici nel cortometraggio coevo La véritable historie de la bête de Gévaudan e soprattutto formalizzerà come strutturale quella dimensione onirica che rappresenta l’autentico patrimonio della tradizione surrealista e che attraverserà tutto il cinema del regista polacco. Ne La bestia, quegli elementi eticamente giusti tipici del cinema anni Sessanta in realtà ci sono, ma vengono brutalmente ripudiati man mano che la pellicola va avanti. All’interno di un castello di una casata nobiliare, il giovane Mathurin (Pierre Benedetti) sta per sposare Lucy Broadhurst (Lisbeth Hummel), una ricca donna inglese. È in questo contesto che prendono vita le azzardate fantasie dei protagonisti. La Bestia esce in sala in un periodo in cui nei cinema italiani regnavano film sensualmente comici, con protagonisti come Lino Banfi, Anna Maria Rizzoli, Renzo Montagnani ed Edwige Fenech. Tali pellicole, comunque, erano decisamente soft rispetto alla pellicola di Borowczyk, la quale venne immediatamente classificata come pornografia e accorciato delle scene più spinte (cfr. MM40, 2012).

L’esplicita mossa del cavallo…
La prima di queste che osserviamo è una sequenza di accoppiamento tra cavalli. C’è modo e modo per portare sullo schermo una sequenza simile; il regista polacco sceglie decisamente il peggiore: genitali in primo piano, discutibili movimenti di macchina, orgasmi non censurati… tutti elementi che da una parte disgustano lo spettatore (il sempiterno épater le bourgeois), dall’altra lo preparano a ciò che verrà dopo. L’eccessiva componente esplicita della scena è come se fosse un avvertimento a un pubblico più impressionabile: questo è un film esplicito, fai ancora in tempo ad uscire dalla sala. Il film si intitola La Bestia, e per la maggior parte del tempo lo spettatore si chiede se questa creatura si vedrà mai. Bene, forse una volta vista quello stesso spettatore preferirà non averlo fatto. Dalle prime inquadrature in cui si intravede questo mostro, emerge un parallelismo nei cuori dei cinefili più ferrati. La condizione di vedo e non vedo ricorda vagamente quella di Jaws (1975) di Steven Spielberg, che guarda caso esce in sala nello stesso anno del film di Borowczyk (1975). Piano piano, si inizia a capire che la creatura non si nasconde, anzi, si vede benissimo perfino laddove non avremmo voluto vedere…

La scena in questione è una sequenza onirica di Lucy, la quale si eccita sognando un’avventura erotica tra Romilda (Sirpa Lane), madre di Mathurin, e la creatura. La ragazza viene sottomessa dalla creatura come se stesse subendo una violenza sessuale. Così come nella scena iniziale, lo spettatore è in grado di osservare qualsiasi elemento anatomico dei due personaggi in questione. All’apice dell’azione, la ragazza si arrende alla creatura. Non osserviamo più una violenza, ma una vera e propria scena intima tra due entità che non hanno niente a che vedere tra di loro. Qui si apre un altro parallelismo, questa volta interno alla pellicola e soprattutto di natura razziale. Così come la relazione fra la bestia e Romilda appare agli occhi dello spettatore sbagliata, allo stesso modo appare la relazione tra il servitore Ifany (Hassan Falle) e Clarissa de l’Espérance (Pascale Rivault), figlia del marchese. Il film prende in questo modo una tinta antirazzista che ricorda molto il tema trattato in Indovina chi viene a cena (1967) di Stanley Kramer.
La differenza tra le due pellicole è la volontà di esplicitare tali relazioni. Borowczyk non sente questa necessità; i rapporti, specialmente quelli intimi, vengono nascosti agli occhi degli altri personaggi. In molte occasioni crea addirittura dei siparietti comici nei quali il servitore, impegnato in un rapporto sessuale con l’amante, viene chiamato dal padrone. Nel campo largo successivo osserviamo il ragazzo rivestirsi per tornare al lavoro e la ragazza proseguire il rapporto intimo da sola. Discutibile è la scelta di ribadire tutto questo nel rapporto tra la bestia e Romilda. Nonostante ciò, il messaggio è chiaro e forte. Quello che non è immediato del mondo diegetico creato da Borowczyk è l’ambientazione cronologica. Lo spettatore è distratto dal richiamo fiabesco del castello, tanto da non capire che in realtà la storia si svolge nell’attualità (nel 1975, per intenderci). La macchina fotografica è lo strumento che da un pugno in faccia al pubblico per svegliarlo da quell’illusione storica che piace tanto agli appassionati dei film di Peter Jackson. Un leggero schiaffo gli era già stato dato con l’automobile che trasportava la protagonista. Fa strano vedere che questi elementi vengono posti in un film dove la colonna sonora è scandita dalle note di un clavicembalo, che, tra l’altro vediamo anche in scena.

Smarrimento sonoro
La musica è l’illusione più grande; non a caso le composizioni che si ascoltano sono da due sonate di Domenico Scarlatti, musicista italiano di età tardo barocca famoso proprio per il suo monumentale corpus di sonate (ben 555) scritte per clavicembalo o in alcuni casi per fortepiano. È una categoria musicale che richiama molto al passato, in particolare a quel periodo in cui il cinema era ancora allo stadio primordiale, dove i fotogrammi al secondo erano sedici e non ventiquattro. D’altronde, la dimensione grottesca che assume il film non potrebbe richiedere colonna sonora diversa, siccome la pornografia proposta supera decisamente i limiti ordinari fino a diventare surreali. Qual è dunque la necessità di mostrare ogni cosa nel modo più crudele possibile? Perché unire l’onirico al realismo? Sul catalogo del sito di Mubi, l’autore polacco è descritto in poche righe dalla Redazione: “Al contempo spiritose e ossessive, le mancanze peccaminose dei film di Walerian Borowczyk catturano anche un desiderio di libertà e di espressione sensuale e artistica”. L’arte può dunque spingersi verso qualsiasi confine, anche in quelli che nel quotidiano preferiremmo non esplorare. Se questo non fosse vero, al giorno d’oggi non potremmo osservare film di spessore, ma indubbiamente controversi, come Un film serbo (2010) di Srđan Spasojević o Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, che condivide lo stesso anno di nascita de La bestia.
Il messaggio è l’obiettivo, la trama è la rotta. Sta all’autore tracciare questa rotta, in qualsiasi modo egli creda.

Letture
Visioni
  • Walerian Borowczyk, Goto – l’isola dell’amore, CGE, 2024 (home video).
  • Walerian Borowczyk, Racconti Immorali, CGE, 2024 (home video).