“Non ho mai conosciuto un sopranista che sia rimasto indifferente al modo in cui Bechet affrontava il proprio strumento. John Coltrane, Steve Lacy, Evan Parker e altri sopranisti di ambito jazzistico hanno sviluppato identità del tutto diverse da quella di Bechet, esercitando un’influenza così forte che, dagli anni Sessanta, ben pochi giovani musicisti si sono rivolti a Bechet in cerca di ispirazione. Questo non significa che i citati innovatori del soprano non abbiano saputo apprezzare lo stile di Bechet, tanto che alcuni di loro – compresi John Coltrane e Archie Shepp – hanno inciso dei brani in omaggio a colui che è stato il capostipite dello strumento. Secondo Albert Ayler la musica di Bechet mostrava una grande forza spirituale e incarnava l’essenza del jazz”. Ad affermarlo è Lol Coxhill, che in compagnia del sax soprano ci ha trascorso una vita.
Si tratta di un articolo che Coxhill scrisse su una leggenda del jazz, Sidney Bechet (New Orleans, 14/5/1897 – Parigi, 14/5/1959), pubblicato nell’estate del 1984 dalla rivista Jazz Ensuite diretta da Jean Rochard e anni dopo in italiano su Musica Jazz (novembre 2012). Il testo viene riproposto nel booklet inserito nella ristampa di un disco del 1992 dell’etichetta nato, che prendeva a prestito il titolo delizioso dell’articolo di Coxhill: Vol pour Sidney. La nato è l’etichetta creata da Rochard e questo chiarisce meglio l’intreccio. Si tratta di un omaggio a quello che Joachim-Ernst Berendt ha definito il Louis Armstrong del sassofono soprano, musicista con una vita piuttosto avventurosa, che in pratica introdusse lo strumento nel jazz. Infatti, per quanto sembri oggi impossibile, c’è stato un tempo in cui nel jazz il soprano era ignorato, collocato in un limbo all’ombra del clarinetto; fu proprio Bechet a farne uno strumento solista al pari degli altri nella sua vita battagliata, girando il mondo, Urss compresa. Andò in Francia una prima volta nel 1929, lavorò con Josephine Baker e rimase coinvolto in una sparatoria che lo portò dietro le sbarre per diversi mesi. Il creolo Bechet sarebbe tornato nel dopoguerra a Parigi dove si stabilì definitivamente, spopolando al punto di essere denominato “le Dieu”.
Petite Fleur nella versione di Lol Coxhill e Pat Thomas.
Un personaggio/mito che partito dall’originario sound di New Orleans aveva dato al suo strumento pari dignità tra le ance, amplificandone l’eco in numerosi film ai quali partecipò per circa un decennio. Nel catalogo della francese nato dunque l’omaggio era quasi inevitabile. L’etichetta di Rochard non era nuova a simili operazioni. Nel suo periodo d’oro, un decennio partito a metà degli anni Ottanta, vennero realizzati prima e dopo Vol pour Sidney (aller), diversi lavori a tema e veri e propri omaggi da parte di più musicisti, talvolta a cura di un singolo artista; in alcuni casi vennero pubblicati dall’altra label di Rochard, la chabada, dal nome di uno dei suoi gatti all’epoca, così come nato (motivo dei nomi in minuscolo). Tutti serissimi divertissement. Dischi innanzitutto dedicati alle glorie di Francia: Erik Satie (Sept Tableaux Phoniques), Charles Trenet da parte di Steve Beresford (L’Extraordinaire Jardin de Charles Trenet), Brigitte Bardot (Kazuko Hohki Chante Brigitte Bardot) e il fumetto Spirou, con brani che ne raccontavano liberamente in musica le peripezie (Bandes Originales Du Journal de Spirou). Altri album vennero concepiti per rileggere le musiche di Henry Mancini (Mainly Mancini di Tony Coe), di Doris Day (Eleven Songs For Doris Day) ancora grazie a Beresford e perfino carole natalizie (Joyeux Noël) sigle di celebri telefilm, a cura dei beffardi Melody Four (T.V.? Mais Oui!) e memorie cinematografiche (Six Séquences Pour Alfred Hitchcock, Godard ça vous chante?, Les Films De Ma Ville) per finire con due grandi concept: uno dedicato ai nativi americani a cura di Tony Hymas, Oyate, e un secondo (un omaggio collettivo) a Buenaventura Durruti, l’eroico combattente anarchico della guerra civile spagnola.
Nel corso degli anni Duemila, l’etichetta ha ridotto le pubblicazioni, ma ha iniziato a ristampare alcune gemme del suo catalogo. Ultimo recupero a oggi è appunto Vol pour Sidney, quattordici cover (ma le composizioni sono undici) di brani tratti dal repertorio di Bechet. Si tratta della prima e unica volta in cui la nato si è cimentata con un grande del jazz e la scelta cadde su Bechet, sostanzialmente per due motivi. Il primo, si è detto, va ricercato nella celebrità del personaggio in terra di Francia; il secondo va ricercato nella difficile scommessa di poter conciliare la tensione jazzistica con la musica leggera, tentativo che fu proprio del Bechet del periodo francese e che costituisce il denominatore comune di tutti i lavori, ai confini tra il troppo facile e il troppo difficile, pubblicati dalle etichette di Rochard. Per l’occasione vennero chiamati a raccolta le migliori firme della casa e un’eterogenea pattuglia di ospiti.
Impazzano i soprani e non poteva essere altrimenti. Ad aprire le danze è Coxhill con il best-seller di Bechet: Le Petite Fleur, proposto in due versioni. La prima, scolastica nell’esposizione del tema, ha dalla sua l’usuale timbro lunare di Coxhill ben assecondato dall’accompagnamento percussivo sbilenco, si direbbe a passo di zombie, di Pat Thomas. Una versione che funge quasi da antefatto alla riproposta del brano in chiusura della raccolta, definita version non contrainté. Qui il sassofonista si consente una misurata e pregevole improvvisazione, esaltata dallo spiritato accompagnamento percussivo e anche vocale (la voce in prestito è quella di Muddy Greene), sporcando sufficientemente il brano.
Blues In The Cave affidata a Lol Coxhill, Evan Parker, Brian Lemon, Dave Green capitatati dallo Stone, Charlie Watts.
Coxhill è ancora di scena in compagnia di un altro peso massimo del sassofono soprano, Evan Parker, del pianista Brian Lemon e del contrabbassista Dave Green, per eseguire Blues In The Cave, alle dipendenze di Charlie Watts, il batterista dei Rolling Stones che non ha mai fatto mistero del suo amore per il jazz. I cinque danno luogo a un’esecuzione godibilissima, con Coxhill, sbilenco come sempre, in veste di solista e Parker sempre sulfureo, ma rigorosamente inquadrato. Il quintetto si esibisce anche in una gigionesca versione di Laughing In Rhythm, tutta a base di swing e risate. Spicca per tensione e fascino la versione fornita da Michel Doneda al soprano ed Elvin Jones alla batteria dell’Egyptian Fantasy, sulle orme del sodalizio di Bechet con il batterista Kenny Clarke e all’ombra di un altro duo soprano/batteria che ha fatto storia: quello dell’ultimo disco registrato in studio da John Coltrane (con Rashied Ali): Interstellar Space. Non entusiasmante invece la prova di Konitz, coadiuvato dal pianista Ken Werner al quale è affidata una breve e non indimenticabile improvvisazione nella rilettura di As-Tu Le Cafard?. Steve Beresford, a sua volta offre in Lastic e Lastic (version élastique) una prova a dir poco schizofrenica, proponendo prima, in compagnia di Hugh Burns e Francine Luce, rispettivamente chitarre e voce, una versione dance(reccia), che costituisce l’episodio meno felice dell’intera raccolta, ma riscattandosi poi in compagnia di Han Bennink, con una surreale performance in bilico tra free e cabaret, come nella migliore tradizione dell’improvvisazione olandese.
Il resto della raccolta abbandona invece il terreno jazzistico, scivolando da più parti, a iniziare dal blues emozionante di Taj Mahal (Sidney’s Blues), che si avvale di sovraincisioni, tecnica di cui Bechet fu un vero antesignano suonando già nel 1941 tutti gli strumenti (clarinetto, sax soprano e sax tenore, piano, contrabbasso e batteria) in due brani: The Sheik of Araby e Blues of Bechet. Lasciano il segno anche il frizzantino pop-soul di Pepsi & The Blue Spiders in Blue For You Johnny, terzo dei brani in doppia versione e la friabile edizione confezionata dai British Summer Time Ends di La Nuit Est Une Sorcière, che ne rende ancor più trasparente la trama da colonna sonora, con lo shakuhachi (il flauto dritto giapponese) e il flauto di Pan nelle mani di Clive Bell a stregare l’ascoltatore; ancora, seduce il sound ovattato dei Lonely Bears (Tony Coe sornione al soprano, Tony Hymas alle tastiere, Hugh Burns alla chitarra e Terry Bozzio alla batteria) alle prese con Si Tu Vois Ma Mère. Invece, altro mezzo scivolone in Make Me A Pallet On The Floor, dove Tony Hymas, pur apprezzabile al pianoforte, si ingolfa a quattro mani con Ursula Dudziak (voce ed elettroniche) opprimendo il brano con giochini sonori di scarso respiro.
Chissà quali brani preferissero nato e chabada, che immaginiamo ora da qualche parte in compagnia di Sidney e di Lol a commentare questa raccolta piccola come un fiore.
- Autori vari, Bandes Originales Du Journal de Spirou, nato, 1989.
- Autori vari, Godard ça vous chante?, nato, 1996.
- Autori vari, Les Films De Ma Ville, nato, 1997.
- Autori vari, Six Séquences Pour Alfred Hitchcock, nato, 2005.
- Autori vari, Sept Tableaux Phoniques, nato, 2011.
- Autori vari, Buenaventura Durruti, nato, 2011.
- Steve Beresford, Eleven Songs for Doris Day, chabada, 1992.
- Steve Beresford, L’Extraordinaire Jardin de Charles Trenet, chabada, 2005.
- Tony Coe, Mainly Mancini, chabada, 1995.
- Kazuko Hohki, Kazuko Hohki Chante Brigitte Bardot, chabada, 2005.
- Tony Hymas, Oyate, nato, 2005.
- Melody Four, T.V.? Mais Oui! chabada, 1993.