“Un prezioso reperto archeologico del primo Antropocene”. Probabilmente non esistono parole più appropriate ed efficaci di quelle usate da Roberto Paura nella sua densa prefazione per descrivere questo elegante volume di Matthew Phipps Shiel, La nuvola purpurea (1901), riproposto da D Editore nella collana Strade Maestre, curata da Valerio Valentini e dedicata alla riscoperta dei classici “che hanno dato forma al nostro tempo”.
Scritto all’alba del XX secolo, in piena febbre artica (sei le spedizioni fallite al Polo Nord tra il 1893 e il 1900), il romanzo di Shiel è impregnato del gusto decadente della sua epoca e della lezione di un maestro come Edgar Allan Poe, che già gli aveva ispirato il personaggio del principe Zaleski, protagonista di un ciclo di racconti di successo scritti negli anni immediatamente precedenti all’uscita di questo romanzo, e che su queste pagine incombe con l’ombra lunga della sua Storia di Arthur Gordon Pym (1838). Se in quest’ultimo erano i ghiacci dell’Antartide a fare da sfondo alle peripezie del protagonista, La nuvola purpurea fa delle distese artiche il suo portale d’ingresso all’inesorabile e progressivo abbandono di Adam Jeffson alle spire della follia.
Karl Brjullov, The Last Day of Pompeii (1833). L’impatto catastrofico delle eruzioni vulcaniche influenzò l’immaginario del XIX secolo, anche grazie alla ripresa degli scavi di Pompei. Un’eruzione vulcanica è forse la causa della nuvola di Shiel.
Al culmine di dieci anni di tentativi frustrati, in cui si sono succedute non meno di ventisette spedizioni che si sono misurate invano con l’impresa di conquistare il Polo Nord, Adam si aggrega alla missione organizzata dal suo vecchio amico Clark, spinto più che dal gusto dell’impresa e dall’impulso alla scoperta, dalla bramosia della sua promessa sposa, la contessa Clodagh, che non esita a eliminare fisicamente un suo congiunto pur di liberare un posto sul Boreal che sta per salpare per l’Artico. A muovere la donna, e di riflesso il protagonista, è certamente il sogno di gloria che avvolgerà per sempre il nome del primo uomo a mettere piede al Polo, ma sicuramente giocano un ruolo anche i 175 milioni di dollari che un eccentrico magnate americano ha messo a disposizione dell’impresa.
Il viaggio, che nasce sotto i più funesti presagi e sotto il peso delle maledizioni di un predicatore scozzese, si presenta fin dal principio disseminato di insidie. Non mancheranno gli incidenti, casuali e procurati, e l’agognata conquista del Polo Nord si rivelerà per Adam nient’altro che il prologo di una vera e propria discesa all’inferno.
Al ritorno dalle nevi artiche l’esploratore troverà infatti l’equipaggio del Boreal sterminato da un fenomeno misterioso, lo stesso che sembra aver spazzato via l’umanità dalla faccia della Terra. Qui c’è tutto un sistema di valori che viene improvvisamente messo in discussione. Il positivismo che scaturì dagli esiti della seconda rivoluzione industriale, la missione civilizzatrice che legittimava lo slancio coloniale delle nazioni europee, e in particolare l’affermazione dell’Impero britannico, l’espansione commerciale resa possibile dal clima di relativa pace tra le grandi potenze, vengono improvvisamente meno, spazzati via da una catastrofe di portata globale tanto imprevista quanto inspiegabile. Un evento che toglie al protagonista tutti i punti di riferimento di un borghese dell’età vittoriana, fin dalle prime avvisaglie di ciò che lo aspetta:
“Avrei potuto raggiungere molto prima la terraferma, ma non osavo. Avevo troppa paura. Ero ormai abituato al silenzio dei ghiacci ed ero abituato al silenzio del mare. Ma avevo paura del silenzio dell’Europa”.
Le città sono cosparse di cadaveri, e così anche i porti, le case di campagna e le miniere, tutti i posti in cui i profughi hanno cercato prima una via di fuga per allontanarsi dall’avanzata della nuvola venefica che ha inghiottito il pianeta, e poi un ultimo rifugio in cui tenersi aggrappati alla speranza di potersi sottrarre ai suoi effetti letali. Nessuno è sopravvissuto, tranne Adam, che si ritrova nella sventurata condizione di ultimo uomo in vita sulla Terra. Da buon figlio della sua epoca, Adam Jeffson non può fare a meno di interrogarsi sulle cause del cataclisma. Ma dopo aver tentato con le ipotesi più razionali, mentre si aggira per il paesaggio silenzioso dell’Inghilterra devastata, si fanno strada in lui pensieri sempre più febbrili (si è trattato forse di una vendetta della Terra stessa contro l’umanità?
Niels Moeller Lund, The Heart of the Empire (1904). Il quadro restituisce l’immagine della maestosità della Londra tardo-vittoriana, non senza accenni inquietanti alle grandi folle e allo smog, temi che tornano nel romanzo di Shiel.
Forse, come ammoniva il pastore nelle sue prediche contro l’immoralità di un’impresa che ambiva a violare la sacralità del Polo Nord, è stata la giusta punizione per l’arroganza degli uomini?), fino a maturare un’insana ossessione per i resti della civiltà caduta. Non riuscirà a stemperare i suoi propositi nemmeno la scoperta in una casa ai confini del mondo in Cornovaglia del cadavere illustre di Arthur Machen, espressione delle più elevate aspirazioni umane al punto da farsi trovare intento a scrivere i suoi ultimi versi, mentre nella stanza accanto sua moglie e il loro figlio di pochi mesi si abbandonavano a un sonno senza risveglio (“È chiaro che se tutti i lettori fossero morti, i poeti avrebbero continuato a scrivere, dal momento che scrivevano perché li leggesse Iddio”). La pace idilliaca delle regioni rurali assume connotati sempre più macabri nelle città, dove l’esodo delle masse rivive ormai trasfigurato in una folla di cadaveri o, ancora peggio, in un “pantano di carne umana”, al punto da ispirare ad Adam sinistre visioni:
“Siccome la luna non si vedeva, e quelle vecchie stradine erano abbastanza buie, dovevo guardare bene dove mettevo i piedi per non profanare i morti. Avevo paura che, a un tratto, si sarebbero alzati tutti, urlando e dandomi la caccia”.
L’ultimo uomo rimasto sulla Terra matura così l’idea di completare l’opera del caso o della natura e, in un impeto di furore implacabile, incendia Londra e percorre in lungo e in largo il pianeta per radere al suolo ciò che resta dei più grandi monumenti costruiti dalla civiltà estinta: le città. San Francisco, Pechino, Calcutta, Nagasaki, Costantinopoli: niente si salva al suo passaggio. Sennonché, al termine dell’ennesima scorribanda, viene colto da un’illuminazione: basta con la distruzione e le devastazioni, dovrà lasciare sulla Terra un segno tale da rendere il Signore orgoglioso della sua opera.
Precursore della fantascienza post-apocalittica, uno dei filoni di maggior successo del genere al di là delle specificità di ogni epoca, La nuvola purpurea è un libro attuale più che mai, in un periodo in cui gli effetti dell’azione umana sulla natura stanno lasciando segni irreversibili e in letteratura, nell’ambito della cosiddetta climate fiction (anche nota come cli-fi), si afferma una tendenza sempre più riconoscibile rappresentata da opere che s’interrogano sugli esiti del cambiamento climatico.
Matthew Phipps Shiel (1865-1947), personaggio eccentrico e autore prolifico che firmò diversi romanzi (tra gli altri, Il pericolo giallo e L’isola degli inganni) e racconti fantastici, grotteschi e avventurosi (alcuni dei quali raccolti ormai tre decadi fa nell’antologia Xelucha e altri racconti), presenta attraverso le peripezie di Adam Jeffson una prospettiva capovolta, approdando a conclusioni non meno catastrofiche:
“Se ciò fosse vero, bisognerebbe dedurre che la semplice presenza dell’uomo esercita un certo effetto mesmerizzante sulla turbolenza della Natura e che uno dei risultati della sua assenza sia stato oggi quello di togliere ogni freno. Credo che, entro cinquant’anni, le forze della terra si scateneranno definitivamente, e questo pianeta sarà infine annoverato tra le palestre dell’Inferno. La nostra casa assisterà a sconvolgimenti immensi come quelli osservati su Giove”.
Troviamo in Shiel una consapevolezza in netto anticipo sui nostri tempi, ma anche un certo disilluso pessimismo sul futuro della specie umana: capace di tali imprese come costruire città immense e imperi di respiro mondiale, di assoggettare le leggi della fisica con i prodigi della tecnologia e conquistare anche le zone più remote del pianeta, eppure così vulnerabile da venire spazzata senza appello nell’arco di pochi giorni.
Su un piano metaforico, la nuvola purpurea che compare dal nulla e cancella l’umanità dal pianeta proprio mentre il primo uomo raggiunge il Polo Nord, al di là dei sermoni del predicatore di Kensington, non può non suggerire una riflessione sulle finalità dell’impresa, quasi che l’aver perso di vista la conoscenza come obiettivo vanifichi il risultato della spedizione in termini di avanzamento e progresso per l’umanità.
Allo stesso tempo, la graduale discesa all’inferno del protagonista fa pensare all’ultimo sogno febbricitante di un uomo condannato alla morte dopo mille fatiche. Quale che sia la verità che si cela dietro la nube tossica così come dietro la sua presunta follia, confrontatosi con le molteplici forme del cataclisma e sopravvissuto alla sua stessa pazzia, Adam avrà un’ultima occasione per guadagnarsi la redenzione.
Il romanzo di Shiel fu celebrato da molti suoi colleghi dell’epoca, non ultimo H. G. Wells che proprio in quegli anni si cimentava in altre opere di portata storica nella definizione dell’immaginario fantascientifico di stampo catastrofista (la prima edizione de La macchina del tempo risale al 1895, quella de La guerra dei mondi al 1897). E anche se non risultano confermate influenze dirette, le assonanze con lavori successivi di penne del calibro di Jack London (La peste scarlatta, 1912) e Arthur Conan Doyle (La nube avvelenata, 1913) sono singolari e, al netto dell’atteggiamento non proprio progressista espresso da Shiel verso popoli stranieri e donne, testimoniano la cuspide inventiva raggiunta da un talento visionario, precursore di tutta la feconda tradizione britannica del filone post-apocalittico (da John Wyndham a John Christopher, da Charles Eric Maine a Nevil Shute, fino a James G. Ballard con la sua tetralogia degli elementi), di maestri della letteratura dell’orrore come Richard Matheson (Io sono leggenda) e Stephen King (che ne riconosce l’influsso sul romanzo L’ombra dello scorpione), come anche dei disaster movie che da sempre sono una delle vene aurifere del cinema di fantascienza.
Non desta stupore che nel suo fondamentale saggio sul fantastico (L’orrore sovrannaturale nella letteratura, 1927) lo stesso H. P. Lovecraft, che avrebbe poi scritto un altro libro fortemente indebitato con la Storia di Arthur Gordon Pym (Le montagne della follia, 1936), abbia speso parole di elogio su La nuvola purpurea, riconoscendone l’importanza nella definizione della letteratura weird:
“Shiel descrive con straordinaria efficacia una maledizione discesa dall’Artico per distruggere l’umanità, e che sembra […] aver risparmiato un solo abitante del nostro pianeta. I sentimenti di questo superstite solitario man mano che realizza la sua condizione, mentre vaga per le città disseminate di cadaveri e piene di tesori da padrone assoluto del mondo, sono rese con una capacità e una maestria che rasentano la genialità.”
(Lovecraft, 2011).
Tralasciamo il giudizio del maestro di Providence sulla seconda parte del romanzo, anche per non anticipare nulla al lettore. Sia sufficiente qui dire che al culmine del furore solipsistico che si è impossessato di Adam Jeffson, sarà una svolta imprevista, anche per il lettore più smaliziato dei nostri tempi, a far emergere dagli abissi del caos e della pazzia un’isola insperata, riuscendo a dare finalmente un significato alla sua sopravvivenza.
- Arthur Conan Doyle, La nube avvelenata, Newton, Roma, 1994.
- Stephen King, L’ombra dello scorpione, Bompiani, Milano, 2017.
- Jack London, La peste scarlatta, Adephi, Milano, 2009.
- Howard Phillips Lovecraft, Le montagne della follia, il Saggiatore, Milano, 2018.
- Howard Phillips Lovecraft, Teoria dell’orrore. Tutti gli scritti critici, Bietti, Milano, 2011.
- Richard Matheson, Io sono leggenda, Fanucci, Roma 2017.
- Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym, Mondadori, Milano, 2017.
- Herbert George Wells, La fantascienza di H. G. Wells: La macchina del tempo – L’isola del dottor Moreau – L’uomo invisibile – La guerra dei mondi – I primi uomini sulla luna, Mondadori, Milano, 2018.