C’è il protagonista de Il cineamatore (Amator, 1979), il secondo lungometraggio di Krzysztof Kieślowski, sull’immagine ufficiale della quarantunesima edizione del Bergamo Film Meeting, l’ormai storica rassegna che nell’occasione nasce all’interno di un contesto inedito, essendo quest’anno Bergamo e Brescia capitali della cultura 2023. È Filip, uomo qualunque colto al tramonto del socialismo reale polacco ritratto mentre inquadra con le mani una porzione di realtà preso com’è dalla febbre, dalla passione per il cinema da quando ha acquistato una cinepresa 8 mm da 5 zotly per poter riprendere la crescita della figlia in procinto di nascere. Rapito da quella magnifica ossessione avrà successo di pubblico ma mieterà disastri nella vita privata altrui, fino al coraggioso finale quando girerà l’occhio della macchina da presa su di sé. A interpretare questa moderna parabola, incarnando “in maniera magistrale la coesistenza di sentimenti contrastanti nell’animo del protagonista” (Murri, 2014), è Jerzy Stuhr, il volto appunto del BFM 41, attore (di cinema e di teatro) e autore (sceneggiatore e regista) al quale è dedicata la consueta grande retrospettiva. In cartellone anche le successive collaborazioni con Kieślowski, l’esordio per entrambi in un lungometraggio, ovvero La cicatrice (Blizna, 1976) e due opere più note in Italia presso il grande pubblico: il decimo episodio del Decalogo (Dekalog, dziesięć, 1989) e Tre colori – Film bianco (Trois couleurs: Blanc, 1994). Inoltre, nel 1997 Stuhr dedicò a Kieślowski, scomparso l’anno precedente, il suo secondo film da regista, Storie d’amore (Historie miłosne).
Jerzy Stuhr in Il cineamatore (1979) di Krzysztof Kieślowski.
La carriera da regista avviata con il film per la televisione List of Lovers (Spis cudzołożnic, 1995) tratto da un romanzo di Jerzy Pilch, conta a oggi altri quattro film, tutti inclusi in questa personale assieme ad altre prove d’attore, a partire dalle incursioni nella fantascienza a opera di due connazionali, Juliusz Machulski e Piotr Szulkin, rispettivamente registi di Seksmisja (Sexmission è il titolo internazionale) del 1984 e O-bi, O-ba – Koniec cywilizacji/O-Bi, O-Ba ovvero The End of Civilization, del 1985. Da segnalare anche la collaborazione con Nanni Moretti, avviata nel 2006 con Il caimano, dove interpretava il ruolo di un produttore cinematografico, proseguita nel 2011 con Habemus Papam e rinverdita nel prossimo film di Moretti Il sol dell’avvenir, la cui uscita è prevista in primavera.
Le sezioni della manifestazione orobica tornano tutte puntuali anche quest’anno, proponendo in nove giorni di programmazione oltre 150 film tra lungometraggi, documentari e corti, tra personali e sezioni competitive. Quest’ultime sono le classiche Mostra Concorso riservata ai lungometraggi di finzione e Visti da Vicino, dedicata al cinema documentario. Sette i titoli scelti per la prima sezione, tutti inediti in Italia, caratterizzati da stili e approcci eterogenei, dalla commedia al dramma, dal disincanto all’impegno. Due lavori si soffermano sul tema della migrazione, mai come in questi giorni tornato luttuosamente d’attualità. Si tratta di Le prix du passage di Thierry Binisti e The Good Driver di Tonislav Hristov che narrano di marginalità e rifugiati su registri diversi. È il totalitarismo opprimente della Bielorussia a fare da sfondo, invece, in Minsk di Boris Guts. Un’altra coppia di film rivolge il proprio sguardo ai temi legati alla disabilità: A Cup of Coffee and New Shoes On di Gentian Koçi e Backwards di Jacek Lusiński, focalizzandosi sugli ostacoli all’integrazione dei soggetti loro malgrado coinvolti, nel primo una coppia di gemelli monozigoti e sordomuti, nel secondo un ragazzo autistico.
La dimensione esistenziale e le relazioni interpersonali fungono a loro volta da motore della vicenda narrata in Amore mio di Guillaume Gouix, storia di un lutto e della necessità di elaborarlo. Infine, un lavoro italiano: Le proprietà dei metalli di Antonio Bigini, storia di un bambino dai poteri telecinetici, nello scenario affascinante dell’Appennino tosco-romagnolo. Liberamente ispirato al fenomeno dei cosiddetti “minigeller”, i bambini che alla fine degli anni Settanta, dopo aver assistito in tivù all’esibizione dell’illusionista Uri Geller, apparentemente in grado di piegare chiavi e cucchiai con la forza della mente, cominciarono a manifestare fenomeni simili.
Temi e linguaggi dei documentari in concorso
L’altra sezione competitiva (Visti da Vicino) è quella dedicata al cinema documentario, che realizza nell’insieme una sorta di giro del mondo in dodici tappe alla ricerca di storie incredibili ma vere, di autentica umanità, spesso dimenticate, poste ai margini, anche in queto caso tutte opere inedite in Italia. Ecco quindi le vicende di un gruppo di hooligans della squadra di calcio bulgara della città di Pernik nel lavoro di Nikolay Stefanov, No Place for You in Our Town e quelle degli epigoni della comunità ebraica vissuta per duemila anni nella città di Cochin, nel sud dell’India documentate da Klára Trencsényi in Emlékek őrei (La storia mancante). Emigrazione italiana e identità lungo l’asse che va da Torino a un paesino della Vallata dello Stilaro in Calabria, fanno da filo conduttore di Ombre a Mezzogiorno di Enrico Carnuccio, mentre emigrato nel regno Unito è il rom Štefan Pongo protagonista di Pongo Calling girato da Tomáš Kratochvíl.
La visita y un jardín secreto di Irene M. Borrego.
Ritratti d’artisti ci conducono in Spagna sulle tracce di Isabel Santaló, pittrice oggi dimenticata e che la regista Irene M. Borrego prova a liberare dall’oblio in La visita y un jardín secreto, mentre in Dear Memories – A Journey with Magnum Photographer Thomas Hoepker di Nahuel Lopez a essere protagonista è il grande fotogiornalista anziano e affetto da Alzheimer, che affronta la malattia sfidandola in una sorta di avventura, un viaggio on the road per gli States assieme alla moglie. In Dogwatch di Gregoris Rentis, invece, si seguono le vicende di militari mercenari un tempo ingaggiati dalle compagnie di navigazione per proteggere le loro navi dai pirati, ma oggi alle prese con un nemico implacabile: la noia. Shabu di Shamira Raphaela, a sua volta, segue il sogno di diventare musicista inseguito in quel di Rotterdam da un quattordicenne, Shabu, appunto. Ricerca le proprie radici, un’identità genuina, la giovane Priyangika adottata dallo Sri Lanka in Norvegia quando aveva soltanto sette mesi. È la vicenda narrata da Emilie Beck in No Place Like Home.
Due vicende a loro modo rivoluzionarie, o almeno di opposizione al sistema, costituiscono il materiale reale di base di Machines in Flames di Andrew Culp e Thomas Dekeyser e di Die vergangenen Zukünfte (Futuri nel passato) di Johannes Gierlinger. Il primo documentario segue le tracce invisibili lasciate dal collettivo CLODO attivo a Tolosa nei primi anni Ottanta e poi dissoltosi nel nulla dopo una serie di attentati luddisti ai computer (la sigla sta per Comité Liquidant ou Détournant les Ordinateurs). Il secondo opera una riflessione sul senso stesso della rivoluzione tra testimonianze e filmati d’archivio, monumenti e targhe atte a commemorare chi nel passato ha perso la vita difendendo i propri ideali, a partire dagli eventi del 1848, in una Vienna attraversata tutt’oggi da manifestazioni d’ogni genere, per festeggiare il 1° maggio o per opporsi al razzismo. Infine un bizzarro caso che vede protagonista un sessantenne serbo, ex attore porno, in attesa di giudizio nelle carceri maltesi dopo l’arresto per atti osceni in luogo pubblico, raccontato da Svetislav Dragomirovic in Niko vredan pomena (Io sono una persona, io non sono nessuno) tra solitudine, disperazione e atmosfera kafkiana.
Talenti europei oramai affermati
L’altra classica sezione del BFM è quella dedicata al cinema europeo contemporaneo, Europe Now!, che quest’anno propone le personali della svizzera francofona Ursula Meier e del belga Jaco van Dormael. Si tratta di autori assai diversi tra loro. La prima agisce talora ai confini tra finzione e documentario, e va ricordato innanzitutto l’esordio nel lungometraggio, Home (2008) con Isabelle Huppert, in cui racconta le vicissitudini di una famiglia che vive in un villino isolato situato nei pressi di un’autostrada chiusa, che con loro grande sorpresa e preoccupazione sta per essere riaperta, con tutto ciò che di spiacevole comporterà.
Home (2008), il primo lungometraggio di Ursula Meier.
Del 2012 è L’Enfant d’en haut (Sister), storia dei fratelli Simon e Louise, che riceve una menzione speciale per l’Orso d’argento al Festival di Berlino e rappresenta la Svizzera nell’ambito dei film proposti per l’Oscar 2013 al miglior film straniero. Nel 2014 fa parte dei tredici registi che realizzano il film collettivo I ponti di Sarajevo, girato in occasione del centenario della prima guerra mondiale e presentato al Festival di Cannes; il suo segmento, Tišina Mujo, si svolge durante un allenamento di calcio nello stadio Zetra, dove il piccolo Mujo fallisce un calcio di rigore mandando il pallone oltre la recinzione. Da ricordare anche Ondes de choc – journal de ma tête (2018), lungometraggio con Fanny Ardant, in cui un giovane uccide i genitori dopo aver inviato il proprio diario segreto alla sua professoressa di francese. La ligne (La ligne – La linea invisibile) è il suo ultimo lavoro, presentato in concorso al Festival di Berlino 2022 con protagonista Valeria Bruni Tedeschi.
Tutt’altro registro quello prediletto dal belga van Dormael, che dopo alcuni corti e documentari, si è imposto nel 1991 con il pluripremiato Toto le héros – Un eroe di fine millennio, dove il protagonista, l’anziano Totò, convinto di essere stato scambiato ancora in fasce con il suo vicino di casa, decide di vendicarsi per essere stato derubato della sua vera vita. Nel 1996, presenta L’ottavo giorno, Palma d’oro a Cannes per i due protagonisti, Daniel Auteuil e Pascal Duquenne, che interpretano sullo schermo la speciale amicizia tra un uomo qualunque e un ragazzo Down. Nel 2009 arriva Mr. Nobody, ambientato in un ipotetico futuro dove Nemo Nobody, l’ultimo dei mortali nonché uomo più vecchio al mondo, ripercorre le possibili versioni del suo passato, in un intrico di vite vissute o immaginate, condizionate da scelte individuali e casualità.
Catherine Deneuve in una scena di Dio esiste e vive a Bruxelles (2015) di Jaco van Dormael.
Nel 2015 è il turno dello scoppiettante Le tout nouveau testament, da noi conosciuto come Dio esiste e vive a Bruxelles, storia fantastica e surreale, dove un Dio dispotico e piuttosto sadico tormenta e controlla i destini degli umani attraverso un vecchio computer, un film impreziosito dalla bizzarra storia d’amore tra Martine (Catherine Deneuve) e una specie di King Kong in sedicesimo. L’ultimo lavoro di un regista non molto prolifico è Bovary (2021), film piuttosto anomalo nella sua filmografia. Nato da un adattamento teatrale del romanzo di Gustave Flaubert, scritto da Michael De Cock, direttore artistico del Royal Flemish Theatre di Bruxelles, lo spettacolo originale venne cancellato a causa della pandemia. Pur di consegnarlo a un pubblico, Van Dormael non si arrese, decidendo di dargli vita sullo schermo: “In cinque giorni ho provato a fare qualcosa che non è un film e che non è teatro”, ha dichiarato, sperimentando e fondendo assieme la passione per il cinema e per il palcoscenico.
Immancabile, inoltre, lo spazio dedicata al cinema d’animazione che vede quest’anno proposta la filmografia completa della regista ceca Michaela Pavlátová: ventisei titoli, tra corti e lungometraggi, comprese due live action. Un’artista il cui talento si è fatto conoscere assai presto grazie a Řeči, řeči, řeči (Words, Words, Words, 1991), con il quale ottiene nel 1993 la nomination agli Oscar per il Miglior cortometraggio d’animazione.
My Sunny Maad (2021), primo lungometraggio d’animazione di Michaela Pavlátová.
Arriva nel 2021 a dirigere il suo primo lungometraggio d’animazione My Sunny Maad, primo lungometraggio d’animazione: una storia attualissima di conquista della libertà e dei propri diritti, attraverso gli occhi di una donna europea che, per amore, si trasferisce a Kabul. Altro appuntamento è quello con il cinema di Kira Muratova, regista dapprima censurata dal regime sovietico, sin dall’esordio Korotkie vstrechi (Brevi incontri) nel 1967, per via di scelte autoriali anticonvenzionali, affini alla nouvelle vague francese. In seguito alla glasnost gorbacioviana i suoi film iniziarono a circolare in Occidente nei maggiori festival. A metà anni Ottanta arrivano i suoi lavori maggiori, tra cui in particolare Astenicheskij sindrom (Sindrome astenica) del 1989, per il quale riceverà l’Orso d’argento al Festival di Berlino. La sindrome astenica del titolo è la rielaborazione della melanconia nera o ipocondria, malessere che Muratova scorge nella società sovietica mentre questa si avvicina alla fine. In totale sono cinque i lungometraggi in cartellone, inclusi i due citati.
Infine, da segnalare, la sezione Kino Club, dedicata ai più giovani; Prospettiva Olmi, omaggio al regista bergamasco Ermanno Olmi; la sezione Incontri: Cinema e Arte Contemporanea, insieme ad anteprime, proiezioni speciali (i cult Acque del sud e Il grande sonno di Robert Hawks, La guerra dei mondi di Byron Haskin, tra gli altri) e il Daily Strip, l’appuntamento con alcuni tra i migliori illustratori del panorama italiano del fumetto.
- Serafino Murri, Krzysztof Kieslowski, Il Castoro, Milano, 2014.